La realizzazione delle nuove ciclabili a Bologna ha aperto un acceso dibattito. Nodo della questione è la loro presenza in carreggiata senza alcun tipo di separazione fisica, caratteristica che ha generato da un lato le critiche di chi lamenta l’assenza di sicurezza (o addirittura un peggioramento), dall’altro l’entusiasmo di chi intravede comunque una conquista. Ne abbiamo parlato con Simona Larghetti dell’associazione Salvaiciclisti, provando ad andare oltre le semplici polarizzazioni per analizzare il tema da un punto di vista più ampio.
Partiamo dalle cose semplici: ci dai la tua definizione di pista ciclabile?
Spesso parliamo di piste ciclabili immaginando uno spazio sicuro e riparato dal resto del traffico urbano, una specie di infrastruttura di secondo livello avulsa dal contesto. Un desiderio giusto che vediamo realizzato quando pedaliamo lungo le grandi ciclovie turistiche, come quelle lungo i fiumi del Trentino, ma nelle nostre città medievali questo non è semplicemente possibile. L’idea di ricavare uno spazio tutto per noi in passato ha generato molti mostri, dalle terrificanti ciclopedonali su marciapiede che ci hanno semplicemente reso odiosi ai pedoni costringendoci a una guerra fatta di grandi spaventi e scampanellate, a mastodontiche corsie bidirezionali separate molto costose e spesso anche molto brevi, perché lo spazio per farle nelle strade semplicemente non c’è, a meno di non voler eliminare le auto. La pista ciclabile è semplicemente uno spazio della carreggiata destinato alla circolazione delle biciclette, in uso esclusivo (doppia linea continua) o promiscuo quando parliamo di corsia ciclabile (linea tratteggiata).
La prima chiacchierata che facemmo fu all’epoca della nascita di Dynamo che coincise con l’arrivo della tangenziale delle biciclette. In quel momento si prospettava un grande futuro “ciclabile” per Bologna. Poi come sono andate le cose secondo te e a che punto siamo oggi?
Allora avevamo un assessore veramente speciale, Andrea Colombo, che si è anche politicamente sacrificato per portare avanti con coraggio una visione di città che allora sembrava troppo ardita e infatti fu ostacolato in tutti i modi, demonizzato dai media e certo poco aiutato anche all’interno del suo partito, tradizionalmente abbastanza conservatore sul tema mobilità. Eppure i progetti ciclabili di allora sono quelli che oggi ci hanno permesso di realizzare le corsie ciclabili di emergenza e che ci portano ad essere la città metropolitana con il maggiore uso della bici in Italia. Colombo ha fatto anche degli errori (come non aver bloccato il People Mover), ma le basi gettate in quegli anni, e alimentate da un’opinione pubblica sempre più favorevole ai cambiamenti, stanno rendendo realtà tutte le cose immaginate allora. Priolo inizialmente ha frenato l’esecuzione delle ciclabili, ma con il PUMS (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile) si è data una cornice che oggi rende possibile il progetto del TRAM, a mio avviso fondamentale per abbattere la mobilità privata, che a suo volta prevede un corredo importante di percorsi ciclabili. Mazzanti sta facendo un buon lavoro, salvo qualche eccessiva timidezza sul fronte della moderazione del traffico: ricordiamoci che ciclabilità non vuol dire solo piste ciclabili, ma l’insieme delle strategie che rende facile e sicuro usare la bici. Servono zone30, controllo della velocità, pedonalità diffusa. Sono ancora troppe le zone della città in cui non è sicuro nemmeno camminare sul marciapiede e i picchi di velocità sono la vera piaga della nostra mobilità, inutili per la fluidità del traffico visto che poi ci si incolonna ai semafori, aumentano la sensazione di paura per pedoni e ciclisti e sono anche effettiva causa di incidenti. Ad agosto, in piena pandemia, sono morti 3 cittadini bolognesi investiti sulle strisce pedonali. Questo è inaccettabile.
Sono molti quelli che stanno puntando il dito contro la mancanza di sicurezza delle nuove ciclabili in carreggiata. Tu che ne pensi?
Il nostro lavoro di attivisti in questo momento è molto difficile, perché finalmente il dibattito sulle ciclabili è uscito dalla nicchia: sono sempre più persone a usare la bici e quindi è normale che la discussione diventi più generalista. Purtroppo la sicurezza stradale non è una materia intuitiva, e la percezione della sicurezza ci tende molti inganni. Mentre pensiamo che sia pericoloso andare in bici al buio, in strada, contromano. La verità è che la maggior parte degli incidenti, dati alla mano, avvengono in pieno giorno, dove le ciclabili in careggiata non ci sono, con auto che provengono nella stessa direzione di marcia del ciclista che lo investono perché „non lo vedono“, cioè perché non si aspettano che lì possa esserci una persona in bici, e a causa dell’alta velocità hanno la visuale ristretta. In questo quadro è chiaro che la prima cosa da fare, per salvare vite, è disegnare degli spazi di rispetto e visibilità per chi in bici si muove già e lo fa (ce lo dicono i dati delle app che registrano i percorsi degli utenti). In generale anche a livello europeo si tende ormai a evitare la separazione fisica (alcuni separatori sono stati vietati dal Codice della Strada) perché causano incidenti in caso di contatto con la bici; inoltre la separazione fisica diminuisce la capacità degli automobilisti di percepire la presenza dei ciclisti, questo porta a molti investimenti nelle intersezioni, quando il ciclista esce dalla pista ciclabile e – non visto – viene investito. Anche nelle sempre citate capitali della ciclabilità ormai si procede, in determinati contesti, a preferire corsie miste. Su Bologna abbiamo visto i dati di come le ciclopedonali e le piste separate siano quelle dove avvengono più incidenti, alle intersezioni. Il problema vero delle corsie ciclabili è la sosta abusiva, ma dobbiamo necessariamente fare una lotta di civiltà su questo tema, l’alternativa è semplicemente non fare queste corsie. Io spero che il ciclista medio questo lo capisca.
Dovremmo accontentarci quindi?
Assolutamente no, non vorrei che il mio giudizio positivo venisse scambiato con una piena soddisfazione. Le corsie ciclabili sono ottime lungo le principali radiali e sono necessariamente una tappa intermedia alla realizzazione di una mobilità più giusta ed efficace. L’unica possibile, in una città dove ancora il 60% dei cittadini usa l’automobile privata anche per spostamenti brevissimi e non tutti sono disposti a lasciarci lo spazio che serve. Certo serve una politica più coraggiosa di disincentivo dell’uso dell’auto e un aumento dell’offerta del TPL (trasporto pubblico locale). Sulle strade secondarie ben vengano infrastrutture più ampie e anche separate, se ce ne sono le condizioni, soprattutto in extraurbano e in periferia, dove abbiamo lunghi stradoni senza intersezioni. Spero che si continui a investire anche su percorsi verdi, che abbiano una funzione anche turistica e per il tempo libero. Per chi invece usa la bicicletta tutti i giorni bisogna ragionare non solo sulle infrastrutture, ma anche sui comportamenti. Si è parlato fin troppo e spesso a sproposito di „ciclisti selvaggi“, ma intanto i morti in incidenti stradali non diminuiscono in nessuna categoria di utenza. Sui comportamenti veramente criminali non c’è una politica di controllo reale. Siamo in una città dove il tema sicurezza viene affrontato in modo retorico, mentre la gente muore sulle strade. Dobbiamo creare una cultura della mobilità più efficiente e meno emotiva, dove andare veloce non vorrà dire usare il mezzo che ci fa alzare il tachimetro, l’adrenalina, e il tasso di inquinamento dell’aria, ma quello mezzo migliore, quello dimensionato sui nostri spostamenti. Quanti ancora usano l’auto per fare 2-3 km impiegando più tempo a parcheggiare che a spostarsi?
«…la grande sfida è lavorare sull’insieme del sistema mobilità. Non possiamo accettare un’amministrazione che da un lato fa le ciclabili e dall’altro costruisce il Passante»
Tutta la discussione accesa tra pro e contro mi pare comunque una cosa positiva. A parte le ovvie polarizzazioni e pregiudizi, mi pare ci sia anche una grande quantità di vedute diverse. Ma quello che ti chiedo è: basta una bicicletta a fare di qualcuno un ciclista? Ovvero: come facciamo a uscire da queste inutili categorizzazioni che non tengono conto della complessità della faccenda?
Sicuramente è positiva, non si parla più di essere pro o contro la realizzazione delle ciclabili ma di come vanno realizzate: ormai tutti danno per ineluttabile che il futuro delle città le prevede. Per accompagnare questa fase di transizione dobbiamo fare 3 cose: sperimentare, dandoci il tempo e l’occasione di provare queste nuove realizzazioni e cercare di affrontarle senza preconcetti (questo possono farlo i cittadini e utenti della strada), approfondire, monitorando i risultati in termini di sicurezza, incidenti, aumento dell’uso della bici (questo deve farlo l’amministrazione, preoccuparsi di coinvolgere e divulgare presso i cittadini) e tenere duro, senza mai stancarsi di spiegare, anche con campagne di comunicazione e strumenti dedicati, in attesa di capire se questa, come penso, sia la strada giusta (questo possono farlo tutti, a partire da noi attivisti). Io ricordo quando le opposizioni dicevano che la tangenziale bici era un’opera inutile e soldi collettivi sprecati, abbiamo tenuto duro e oggi contiamo 2 milioni di passaggi l’anno e un aumento spropositato dell’uso della bici a Bologna, +40% dal 2011.
Quali saranno le vostre prossime richieste?
Ora, pur tenendo sempre un occhio allo sviluppo del Biciplan, la grande sfida è lavorare sull’insieme del sistema mobilità. Non possiamo accettare un’amministrazione che da un lato fa le ciclabili e dall’altro costruisce il Passante, un allargamento autostradale che aumenterà il numero di automobili che passano vicino a una città che ha già fin troppi problemi di qualità dell’aria. Il cerchiobottismo in mobilità non funziona: sarebbe come mettersi a dieta di giorno e abbuffarsi di dolci la sera. Ci vuole un progetto coerente per la città, che sia davvero rispettoso della salute dei cittadini e non cerchi di accontentare tutti. Mi aspetto una politica capace di mettere in piedi risposte credibili al bisogno disperato di cambiamento che abbiamo. Il Covid sta mettendo in discussione in maniera profonda il modello città come luogo ideale in cui vivere, vogliamo tutti scappare. Bisogna fare qualcosa, e avere il coraggio di combattere la tentazione dei grandi interessi. Ricordiamoci che l’Emilia-Romagna rischia di essere sommersa dall’Adriatico tra qualche decennio.