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Se i bandi per gli spazi culturali servono a mascherare scelte politiche

Geschrieben von Salvatore Papa il 28 November 2024

Foto di Margherita Caprilli

Il caso riguarda stavolta l’assegnazione della Sala Teatro Centofiori all’interno del complesso “William Michelini” in via Gorki nel quartiere Corticella.

In breve: il 3 ottobre viene pubblicata una manifestazione di interesse per la gestione di due anni del teatro („l’unico teatro di proprietà del Comune di Bologna; l’unico teatro dei Bolognesi“, si legge sulla pagina facebook).
Il gestore affidatario, da alcuni anni, è il proprietario di un bar lì vicino, la “Caffetteria del centro” e la programmazione è composta in particolare da match di improvvisazione teatrale ed eventi vari, come il Festival della Magia o incontri di wrestling.
Al bando, da anni sempre deserto oltre all’affidatario, decidono perciò di partecipare compatte quattro associazioni e una rodata compagnia teatrale. Tra queste anche il Circolo Granma, associazione legata alla Rete dei Comunisti ormai molto nota in Bolognina che da anni organizza eventi indipendenti come l’ultima e molto apprezzata rassegna L’isola verde nel Parco della Zucca.
Nonostante le condizioni stringenti dell’avviso, la proposta della nuova cordata viene presentata e parrebbe avere tutte le carte in regola: 20 giornate di spettacoli, 45 giornate ad ingresso gratuito, ulteriori eventi negli spazi esterni e almeno 5 addetti primo soccorso, sicurezza e antincendio, 2 tecnici audio, un elettricista, service esterno e un ingegnere della sicurezza per eventi.
Ma, secondo i tecnici del Quartiere Navile non basta, e per soli 3 punti vince nuovamente l’attuale gestore, la Caffetteria del Centro.

„Quei 3 punti di svantaggio – denuncia il Circolo Granma – non sono riferibili all’ampio progetto presentato per il teatro e per i residenti del quartiere, quei 3 punti rappresentano ancora una volta, in maniera inequivocabile, quello che sosteniamo da anni e che viene puntualmente riconfermato: in questa città gli spazi ci sarebbero, ma non c’è un centimetro quadro a disposizione per chi non è allineato con la visione dell’amministrazione„.

Questa vicenda, come altre simili, solleva il solito dubbio: ha senso utilizzare i bandi per gestire le politiche culturali?

Non importa se la valutazione effettuata sia corretta o no, ma il metodo lascia sempre spazio a troppe ambiguità. Soprattutto in un’ambito come quello culturale, poi, il margine di discrezionalità su questioni che riguardano, ad esempio, la qualità artistica di un progetto o le sue ricadute sociali è troppo ampio. Ovvero: dietro ad ogni punteggio assegnato, c’è sempre una scelta o addirittura il gusto personale di chi deve esaminare. Nulla di male, potremmo dire, ma perché nascondere una scelta dietro uno strumento spacciato per oggettivo?

Al contrario di quello che spesso si pensa o si controbatte, infatti, i bandi non sono l’unica modalità prevista dalla legge per regolare i rapporti con l’associazionismo. Per i beni pubblici è, infatti, possibile anche ricorrere all’assegnazione diretta come previsto sia dal codice nazionale del Terzo Settore che invita le amministrazioni ad aprirsi a forme di collaborazione e co-progettazione (D.Lgs. 117/2017 art. 55) – vedi gli stessi Patti di Collaborazione già presenti in città – sia dal Testo Unico sugli Enti Locali (D. Lgs. 267/2000) che consente l’utilizzo delle convenzioni in particolare per spazi destinati ad attività sociali o culturali. Ricordiamo, a solo esempio, che Atlantide aveva avuto una convenzione di questo tipo, così come XM24.

Il bando, peraltro, come dimostrato qualche mese fa per Làbas, può essere un’arma a doppio taglio che talvolta si ritorce contro le amministrazioni stesse. In quel caso è stato il TAR a dire che il Comune aveva assegnato i punteggi in maniera troppo discrezionale, ribaltando la classifica finale a favore di un altro raggruppamento di associazioni che aveva partecipato al bando (sentenza poi sospesa dal Consiglio di Stato).

Si può, inoltre, affermare che siccome ogni bando è scritto per includere taluni ed escludere altri, allo stesso modo ogni bando per attività culturali e/o sociali produce la messa in competizione tra soggetti no profit in una logica perversa che oppone progetti che, sul piano dell’interesse pubblico, potrebbero essere parimenti meritevoli in un contesto dove comunque gli spazi inutilizzati non mancano, anzi.

Per concludere: se quello che si chiede alla politica è di fare delle scelte e prendersene la responsabilità, così le politiche culturali non possono nascondersi dietro assurdi calcoli aritmetici. In questo senso Circolo Granma ha ragione, perché l’assegnazione del teatro corrisponde a una scelta e ogni scelta è politica.

Resta chiaro che in mancanza di un assessore alla Cultura risulta più semplice affidarsi alle calcolatrici.