«Dobbiamo salvare l’ambiente!», urla all’improvviso, nel bel mezzo della performance audio/video di Morton Subotnick, uno spettatore seduto in platea, in portoghese. Morton, 86 anni, coadiuvato sul palco da Lillevan al video, non fa una piega. L’impressione del pubblico che affolla il Theatro Circo, è che la cosa faccia parte dello show. Plausibile, penso io, che dall’alto del loggione, dove sono salito per godermi meglio il colpo d’occhio di questo magnifico teatro, cerco di individuare l’autore delle grida. Subotnick non abbandona gli occhi dalle macchine di fronte a sé, alle prese con l’evolversi di atmosfere sonore di ambient minimalista. Alla seconda, ora è chiaro a tutti, intemperanza, Subotnick alza gli occhi, scuote la testa e il pubblico reagisce contro il disturbatore, zittendolo. Non male come primo atto del festival.
Alessandro Cortini, fresco di stampe di “Volume Massimo”, comincia il suo live come ce lo si aspettava: a volume massimo. Il potente sound-system avvolge il teatro e, sullo schermo, i video dai colori saturati di danze coreografate fanno da accompagnamento ipnotico alle tracce. C’è molto del nuovo album ma anche un sapiente mix dei lavori precedenti: il risultato è un live potente e omogeneo. Il pubblico apprezza e gli applausi sono scroscianti.
Semibreve è ciò che si definisce un boutique festival: poco più di una dozzina di artisti in tre giorni e solo due venue, a poca distanza l’una dall’altra, in una città di poco più di centomila abitanti nel nord del Portogallo. Come si può immaginare, la curatela del festival è essenziale, così come è accudire gli spettatori (maturi, molti stranieri, con una discreta rappresentanza di italiani – a orecchio) con cortesia e professionalità. Durante il festival Semibreve organizza talk e workshop con artisti in distinte zone del centro cittadino, tutto improntato alla tranquillità, privilegiando aspetti di community building e networking. Ad esempio, cercando una galleria d’arte, per puro caso mi sono imbattuto un talk con Suzanne Ciani nel bel mezzo di un giardino ottocentesco.
A tarda sera, dopo il teatro, ci si sposta verso un palazzo labirintico e vagamente claustrofobico, in passato sede della gendarmeria cittadina, ora laboratorio culturale, per la parte più danzereccia del festival. Incredibile qui il set di Avalon Emerson del venerdì sera, una sequela di techno onirica, trance e big-room electronica senza momenti di tregua. I cambi, sempre perfetti e originali, il mix di tracce unreleased (complice la consolle molto alta per una decina di minuti ho pensato fosse un live set) e club classics ci ha accompagnato fino a chiusura e ai piacevoli cinque minuti a piedi per raggiungere casa.
La programmazione del sabato offre un discorso/improvvisazione tra il chitarrista Oren Ambarchi e il synth modulkare di Robert Aiki Aubrey Lowe (aka Lichens) in un teatro completamente buio, e la performance di quel gioiello cult di „Time Machines“ dei Coil (1998) da parte del duo scozzese Drew McDowall e Florence To. Un live potente, synth intrecciati a costruire cascate di suono coadiuvati da visual composti da linee colorate impazzite che sparano in ogni angolo dello schermo e illuminano ferocemente il teatro. Originale e convincente il dj set di Rian Trainor, a giocare con il beat dei synth pitchati in alto e con una sequela di sample (tra cui anche “Oh Yeah” di Yello’s). Rian ha tenuto quasi continuamente il contatore dei BPM pericolosamente alto, inoltrandosi in territorio gabber in più occasioni per la gioia delle prime file affacciate sulle potenti casse. A seguire, un Kode9 a suo perfetto agio ha spaziato dalla trap alla footwork, dall’house anni 90 nostalgica al club anthem, il tutto con un obiettivo ben definito: il divertimento.
Divertimento: obiettivo raggiunto per Semibreve 2019, ma anche una riflessione: come si preserva l’intimità e la qualità di un festival dopo nove edizioni, cercando di incrementare l’offerta? Sicuramente una scommessa avvincente per i promoter da qui al decimo anniversario, tra un anno.