Non è cosa semplice e scontata per un museo – soprattutto pubblico – preparare e presentare con anticipo il programma di un intero anno. S’è detto in conferenza stampa ed effettivamente è un fatto da ribadire con orgoglio, soprattutto in tempi di precarietà assoluta del sistema culturale. Il MAMbo lo fa per il secondo anno consecutivo dell’era Balbi, grazie – c’è da dirlo – anche al Comune, che “attualmente è il principale investitore sul museo della città”, dice l’Assessore Lepore con una punta di risentimento verso Fondazioni e privati.
L’impostazione curatoriale rimane la medesima del 2018, differenziata in base ai diversi spazi espositivi e orientata non solo all’esposizione, ma anche e soprattutto alla produzione e alla ricerca.
La Sala delle Ciminiere resta, quindi, il luogo privilegiato di quell’ambizioso progetto che punta alle nuove generazioni italiane e ai nomi emergenti del panorama internazionale. Dopo la grande collettiva That’s IT, il 2019 sarà invece l’anno delle monografiche: quella già partita della star della video-arte Mika Rottenberg alla quale seguiranno da giugno il solo show del francese Julian Cherriére (Second Suns) e da ottobre la prima antologica in un museo di Cesare Pietroiusti (Un certo numero di cose).
Il primo, classe 87, è uno degli artisti più promettenti della scena europea. Formatosi nella cerchia di Olafur Eliasson, conduce una ricerca sull’immaginario geografico contemporaneo, rappresentando attraverso video, foto e installazioni la frattura tra natura e civiltà, la crisi ecologica e le forze invisibili in grado di plasmare il paesaggio.
Pietroiusti ripercorrerà, invece, la sua carriera di artista e docente, tra microeventi, situazioni paradossali e operazioni antispettacolari (come, ad esempio, il progetto che ha portato ad Arte Fiera Artworks that ideas can buy) con una serie di oggetti-anno, ognuno per ogni suo anno di vita a partire dalla sua nascita. L’ultimo, relativo al 2019, sarà una nuova opera prodotta per la mostra grazie al contributo di studenti e giovani artisti, un insieme di sculture, dipinti, video, foto e testi che avrà poi come destinazione il Madre di Napoli.
La Project Room si conferma lo spazio deputato al contesto locale emiliano-romagnolo. Tre i progetti dedicati alle dinamiche artistiche del territorio: No, Oreste, No! Diari da un archivio impossibile (8 marzo – 5 maggio 2019) a cura di Serena Carbone, che cerca di ricostruire la storia frammentata di Oreste, ”insieme variabile di persone” – che in parte operarono anche nel primo Link di via Fioravanti e di cui proprio Pietroiusti fu uno dei principali agitatori – trovatisi non per produrre opere o mostre ma “spazi di relazione, libertà e operatività”; Bologna Rock, 1979 (17 maggio – 22 settembre 2019) a cura di Oderso Rubini, che ricostruirà lo storico concerto che ebbe luogo al Palasport nel 1979 con più di 6000 persone giunte per assistere all’esibizione di 10 gruppi pressoché sconosciuti, evento simbolo di una stagione che stimolò lo svilupparsi di molte altre culture “alternative”, non solo musicali; l’omaggio Galleria De’ Foscherari 1963-2019 che ripercorre alcune vicende che segnarono la storia e il posizionamento di una delle gallerie più importanti della città, a partire dalla mostra dedicata all’Arte Povera curata da Germano Celant che coinvolse i più prestigiosi e combattivi critici e storici dell’arte italiani.
Villa delle Rose prosegue, infine, il percorso espositivo dal taglio internazionale. Dopo la personale dedicata a Goran Trbuljak inaugurata nei giorni scorsi, seguirà dal 20 aprile la mostra di Catherine Biocca per la terza edizione di ROSE, programma di residenze ospitato presso la Residenza per Artisti Sandra Natali. La mostra reinterpreterà, attraverso installazioni multimediali e interattive, l’identità della villa e del suo passato.