Ad could not be loaded.

Venezia è un magnifico e caotico porto di mare, un po’ come questa Biennale Danza

Uno sguardo cosa è già stato e a cosa ha in serbo il programma della prossima settimana

Geschrieben von Giada Vailati il 30 Juli 2024

SANKOFA DANZAFRO - Behind the South - Dances for Manuel

Venezia è unica, lo dice anche la tessera per i trasporti, lo dice chiunque appena sceso dal treno, lo diciamo anche noi, che la conosciamo abbastanza bene ma che abbiamo sempre tanto da scoprire. Ci troviamo sull’isola per immergerci nel ritmo di questo posto e per seguire in modo devoto questa edizione di Biennale Danza

L’unicità di Venezia nel tempo le sta costando cara ma è impossibile non sentire i brividi muovendosi fra le sue calli e i suoi canali, perdendosi fra il costante marasma di corpi, le voci dei turisti, gli insulti dei veneziani ai turisti, gli stop per i selfie e quelli per il tour nei baretti, in questo magnifico e sognante porto di mare.
Non ci sono veli in questo posto, ti incontri per strada, ti siedi a bere e ti conosci, punto. Senza appuntamento, succede e basta ed è bellissimo. Tra un incontro e l’altro ci stiamo godendo il festival Biennale Danza, iniziato da una settimana e in corso ancora fino al 3 agosto, e ci stiamo rendendo conto che il direttore Wayne McGregor, al suo quarto anno di mandato che teoricamente sarebbe dovuto essere l’ultimo, è stato rinnovato per altri due (evento successo poche volte nel corso della storia del festival, quindi, evidentemente, al di là delle motivazioni politiche che stanno dietro al rinnovo di una carica del genere, ci sta azzeccando con il lavoro), sta riproponendo nel luccicante contesto della Biennale esattamente l’essenza di Venezia, cioè l’essere un magnifico e caotico porto di mare.

Lo si deduce già dal claim di questa edizione, “We Humans”, che è un contenitore vasto e multiforme proprio come le proposte che abbiamo visto in questa prima settimana tra i palchi dei teatri dell’Arsenale, il teatro Malibran e altri luoghi sparsi di Venezia, Lido e Mestre. L’intento del direttore è quello di indagare l’essenza umana attraverso la danza, vista come “atto filosofico di comunicazione”, come canale espressivo che esiste dagli albori della presenza umana sul pianeta, capace di comunicare quando le parole non bastano e di trasmettere informazioni più istintive, sincere e non mediate: da corpo a corpo. Spinto dal desiderio di portare a Venezia artisti, sia di fama che meno conosciuti, capaci di esaltare il più possibile questa potenza espressiva e vitale, il coreografo inglese ha voluto costruire un programma fatto di interventi molto diversi fra loro, firmati da artisti molto lontani sia culturalmente che nell’estetica, apparentemente non accomunati da elementi che facciano riconoscere un fil rouge nella scelta: come sopra, un magnifico e caotico porto di mare. Per provare a orientarci qui dentro partiamo dalle origini, dal capitano: Wayne McGregor è un coreografo di fama mondiale, amante e fautore di una danza estremamente tecnica, virtuosistica, esplosiva e che richiede al corpo dei danzatori un’incredibile preparazione e uno sforzo notevole per portare in scena uno stile difficile e deliziosamente artificiale, in più è un grande sperimentatore di tecnologie applicate alla scena, nei suoi lavori si trovano infatti ambienti digitali immersivi, visual, musiche generate dall’intelligenza artificiale, oltre a questo ha sempre studiato profondamente il costume e il design della scena.

Ciò giustifica in parte la scelta molto sorprendente di consegnare il Leone d’Oro alla Carriera a Cristina Caprioli, artista italiana residente in Svezia, che per prima, dice, si è sentita sorpresa, smarrita, incredula e profondamente felice di fronte a questa nomina: «mai nella mia vita avrei potuto immaginare di ricevere un simile riconoscimento. Io, così intrinsecamente marginale, assolutamente precaria». Oggi settantenne, Caprioli ha costruito la sua carriera nell’estremo nord dell’Europa, indagando il gesto in molteplici forme che ha riassunto in TUNG, un libro di composizione coreografica comodamente scaricabile in pdf dal suo sito, e affiancando alla danza, sempre in relazione diretta con l’inafferrabile, un acuto lavoro di design dello spazio e di indagine sulla tecnologia in dialogo con il corpo. Nel festival ha una presenza massiva con tre dei suoi spettacoli più recenti, in programma quasi quotidianamente, in particolare Flat Haze, performance durational di nove ore che viene attivata ogni giorno in Arsenale, dando quindi la possibilità di conoscere a fondo il suo lavoro e le sfaccettature della sua produzione. 

Meno sorprendente è stato invece il Leone d’Argento a Trajal Harrell, coreografo e interprete nato e cresciuto in Georgia, che negli ultimi anni sta facendo rumore in tutto il mondo con la sua presenza nei festival, nei musei e nei teatri più prestigiosi d’Europa e d’America. La sua produzione mescola linguaggi come il vogueing a forme di danza preesistenti, indagando temi come la razza, il gender e la politica nell’America coloniale, sempre con una delicatezza e una presenza scenica contemporaneamente penetrante e mai invasiva, che destabilizza non poco il pubblico. Anche lui presenterà a Biennale Danza diversi lavori di cui l’ultimo, Tambourines (2024), sarà in programma negli ultimi due giorni di festival.

Poi ci sono state le serate „dei contrasti“, così ribattezzate in quanto a distanza di poche ore sono stati in scena i Sankofa Danzafro prima, compagnia esplosiva afro-colombiana guidata da Rafael Palacios, seguiti da Shiro Takatani, artista giapponese ultra minimal che ha creato una dimensione quasi ultraterrena grazie a un sapiente utilizzo di elementi scenici e sound design. Qui il pubblico ha mostrato le sue molteplici facce, con reazioni entusiaste alle danze tradizionali dei Sankofa contro le flotte che abbandonavano la sala di Takatani: forse non sempre ci si sente all’altezza di cosa si sta vivendo, soprattutto quando il gradiente intrattenimento è basso.

Manca ancora un’intera settimana di festival fittissima di appuntamenti, dove troveremo anche gli artisti italiani (cioè, praticamente l’unica compagnia italiana in programma, brutta mossa questa) invitati al festival, tra cui con grande sorpresa i VIDAVÉ, coppia nella vita oltre che nel lavoro, che presenteranno Folklore Dynamics, uno spettacolo dove proverbi, superstizioni e gesti presi da diverse tradizioni verranno elaborate in una danza corale. Negli stessi giorni ci saranno i Lost Dog che ci incuriosiscono con il loro umorismo nero, poi i tre coreografi emergenti che hanno seguito il college e che presenteranno il risultato della loro ricerca, infine la grande chiusura al Lido di Venezia, nel Palazzo del Cinema, con l’attesissimo appuntamento firmato McGregor, che presenterà WE HUMANS ARE MOVEMENT, spettacolo realizzato con i danzatori che hanno seguito il college negli ultimi tre mesi e che andranno in scena insieme ai danzatori della Company Wayne McGregor.

Ci vediamo al tavolino del bar, o in riva ai canali, o in sala in uno dei prossimi spettacoli del festival, o nei vari eventi diffusi sull’isola che abbiamo scovato per voi.