Festival Verdi 2017, l’anno del grande rilancio. Quattro opere, l’attesa di molti stranieri e un Verdi Off con più di 160 appuntamenti. Ne parliamo con la direttrice Anna Maria Meo, arrivata a Parma per rilanciare il Teatro Regio dopo anni di lacrime e sangue. Un’impresa di certo non semplice, affrontata lavorando giorno e notte, con molto entusiasmo e il sogno di portare Parma, con Verdi, in tutto il mondo.
ZERO:Partiamo da quando eri bambina. Qual è la prima opera che hai ascoltato?
ANNA MARIA MEO: Il Parsifal! Eppure, nonostante una partenza così, ho continuato ad ascoltare musica e sempre con grande curiosità…
Che musica ascolti ora?
Ascolto soprattutto musica classica. Mio marito ama molto il jazz. Grazie ai miei figli ho cominciato ad apprezzare altre musiche ed altri artisti, come Fedez per dirne uno.
Quando sei arrivata a Parma, di te non si sapeva quasi nulla. Alcuni hanno guardato alla tua nomina con diffidenza. Ci racconti cosa hai fatto prima?
Alcuni forse erano preoccupati perché non ho mai diretto un teatro. Tuttavia non sono nuova del mestiere. Dopo la Laurea in Storia della Musica feci un tirocinio al Covent Garden e poi approdai al Teatro Romano di Fiesole per lavorare alla produzione della Trilogia da Ponte di Mozart. Poi sono stata quattro anni a Wexford, dove ho lavorato al fianco di Luigi Ferrari che ho ritrovato qui, come prezioso risanatore dei conti del teatro.
Come è stato lavorare al Wexford Festival Opera?
Un festival splendido e preparato ad accogliere artisti da tutto il mondo. C’è una fortissima componente di volontariato, anche tra i tecnici, il personale di sala, le masse. Ho visto avvocati, infermiere e operai prendere ferie per lavorare al festival. Tutti a risolvere problemi con un sorriso. Non ho mai visto un ambiente così partecipativo, non a caso in un paesino di ventimila abitanti fanno davvero un grande festival.
Poi hai lavorato con Luciano Berio, vero?
Ho lavorato per cinque anni al Centro Tempo Reale e sono stata testimone della sua ultima messa in scena, Cronaca del Luogo a Salisburgo nel 1999. Poi per dieci anni ho lavorato a Lucca al Teatro del Carretto con Maria Grazia Cipriani e Graziano Gregori, una compagnia che quest’anno la Biennale di Venezia ha finalmente celebrato nel suo programma. Un’esperienza che mi ha regalato molto, anche alcuni amici.
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Chi, per esempio?
Penso a Nicola Bernardini che ho ritrovato ora per il Prometeo al Teatro Farnese insieme ad Alvise Vidolin. Sono amicizie cementate dal lavoro. Devo dirti che in teatro nascono spesso delle relazioni speciali. Anche qui, con i miei collaboratori, si è sviluppata un’empatia davvero particolare.
Che squadra hai trovato?
Un gruppo fantastico, motivato a mille! Posso dirti, per farti un esempio, che il direttore amministrativo quest’anno mi ha telefonato il 14 agosto per dirmi che era arrivato il bonifico che aspettavamo da tempo. È stato il suo augurio di buon Ferragosto. Era raggiante e anch’io. Qui lavorano tutti con entusiasmo e l’orgoglio di far parte di un grande teatro.
D’altra parte si veniva da un periodo difficile…
Al mio arrivo l’aria era fosca. La Fondazione due anni prima era molto indebitata. La soluzione più semplice, per il Sindaco Federico Pizzarotti, sarebbe stata chiudere il teatro. Invece è stata avviata una fase difficile, ma per certi versi entusiasmante, di risanamento e di rilancio grazie alla quale, quando mi sono insediata, ho potuto lavorare al nuovo progetto di Festival Verdi.
La partenza non è stata delle più semplici.
Sono arrivata insieme a Barbara Minghetti, catapultata a Parma qui dopo alcuni colloqui. Guardandomi intorno, ho subito percepito un’atmosfera elettrica, di polemiche striscianti alimentate da più parti. Ero incredula che potessero esserci così tanti preconcetti nei miei confronti. Eppure non mi sono avvilita, anzi ne ho ricavato una bella carica.
Come lavori con Barbara Minghetti?
Siamo due donne e quasi coetanee, è stato un matrimonio combinato eppure andiamo d’amore e d’accordo! Subito siamo diventate una coppia affiatatissima. Il lavoro di Barbara è fondamentale per il progetto di rilancio del teatro e del Festival e lei ha una grande esperienza. Il programma Verdi Off quest’anno è una carta davvero importante.
Come hai fatto ad aumentare il budget in modo così significativo?
Parlando con le istituzioni ma soprattutto con gli imprenditori, spiegando che il nostro dividendo è del tutto culturale. Abbiamo una missione precisa: realizzare un progetto che si riverberi sulla qualità della vita di una città e della comunità che la abita. Una responsabilità comune a chi fa parte del tessuto economico.
Qualcuno ignora ancora l’importanza della cultura?
Il Paese è più consapevole ma il mondo corre veloce e spesso cancella alcune conquiste. La nostra è una missione che non ammette pause. D’altra parte è sempre stato così, anche nei secoli scorsi. C’è uno studio dell’Università di Parma che racconta la storia del Teatro Regio, fin dai tempi di Maria Luigia. In anni nei quali l’interesse degli impresari ha preso il sopravvento sulla missione culturale, il teatro ne ha risentito. All’opposto, ci sono stati decenni in cui il teatro è stato il vero motore della città.
Quali sono le difficoltà nel cercare di affermare Festival Verdi nel mondo?
Siamo un festival relativamente giovane, nato nel 2001. Non abbiamo certo gli anni di Salisburgo, di Glyndebourne o del Maggio Musicale Fiorentino ma proprio le vicende di quest’ultimo ci insegnano che occorre un percorso lineare, senza pause, di crescita lenta ma progressiva. Però devo anche dirti una cosa…
Che cosa?
Sono una stakanovista e non potrei fare diversamente e in questa avventura ho messo tutta l’energia possibile e così tutta la nostra squadra, perché in Festival Verdi vediamo un potenziale enorme.
Veniamo allora al programma di Festival Verdi 2017. Da dove partiamo?
Intanto vorrei ringraziare l’associazione Parma io ci sto, che ci ha dato una mano per costruire un grande programma off. Non parliamo di eventi collaterali ma dell’intenzione di far esondare il Teatro Regio per le vie della città. Penso a progetti come “27 volte Verdi”, ogni giorno alle 13 un’aria verdiana cantata da una finestra del ridotto del teatro. Abbiamo iniziato l’anno scorso, il primo giorno eravamo solo noi, il terzo abbiamo dovuto bloccare il traffico perché c’era un sacco di gente. Penso ai recital nelle case private, grazie a chi offre un salotto con pianoforte e magari un piccolo rinfresco, al Rigoletto in carcere con i detenuti e al coro dei detenuti che quest’anno partecipa a Traviata. Portiamo il Falstaff all’ospedale pediatrico, portiamo Verdi nelle case di riposo e poi avremo la Room Escape, il Cluedo, l’alba e il tramonto verdiani. Senza dimenticare la proiezione Brilliant Waltz di C999, ogni sera prima della rappresentazione sulla facciata della Pilotta, con il valzer di Verdi riorchestrato da Nino Rota per il Gattopardo di Luchino Visconti. C’è poi una collaborazione speciale con il Club dei 27 che saranno nei palchi del Teatro a raccontare la sinossi delle loro opere.
Un formidabile lavoro di squadra.
Barbara è vulcanica e abbiamo lavorato tantissimo, anche e soprattutto per coinvolgere i più piccoli. Nelle ultime due stagioni abbiamo prodotto due titoli per l’infanzia, e inventato una vera stagione musicale per i più piccoli portando 20.000 bambini a teatro. Abbiamo creato la rassegna Tracks, concerti in Ridotto o sul palco di giovani interpreti che ci hanno consentito di portare molti ragazzi per la prima volta a teatro. Lo vedi dallo spaesamento dallo sguardo, varcano la soglia e capisci che è la loro prima volta. Bastano pochi passi e diventa tutto più facile. Dobbiamo lavorare sul pubblico potenziale. L’anno scorso abbiamo aperto la generale agli under 30, c’erano 750 ragazzi della città. Faremo lo stesso anche quest’anno per Stiffelio.
Stiffelio al Teatro Farnese, una grande sfida.
Quando sono arrivata e ho rivisto il Farnese, ho pensato che fosse irrinunciabile inglobarlo nel progetto del Festival. Abbiamo trovato un accordo con la Sovrintendenza per fare tre opere in tre anni. „Grandi Maestri al Farnese“, l’anno scorso è stato Peter Greenaway. Quest’anno portiamo lo Stiffelio di Graham Vick. Occorrono regie innovative per dialogare in un luogo che ha l’invadenza espressiva barocca del Farnese.
Immagino le problematiche di ordine produttivo…
Sapevo che sarebbe stata una grande sfida. Il Teatro Farnese è tutto tranne che un teatro. È un luogo creato per un matrimonio, ci fecero una naumachia ma all’epoca solo otto spettacoli, non ha uscite di sicurezza, né camerini e rigorosissime prescrizioni antincendio. Abbiamo il permesso per soli 627 spettatori, non possiamo piantare nemmeno un chiodo e tutto ciò che introduciamo deve essere a carico incendio zero. Un fantastico delirio, soprattutto perché abbiamo deciso di dedicarlo alla sperimentazione.
Come utilizzerete il Teatro di Busseto?
Sarà il luogo destinato ai giovani talenti, quest’anno con una Traviata diretta da Andrea Bernard, il cui progetto ha vinto il premio Opera Europa, primo tra ottanta giovani talenti di tutto il continente. Abbiamo deciso, con un certo coraggio, di prendere il suo progetto e di produrlo. Andrea è giovane ma ha una lunga esperienza di assistente alla regia. Sarà una bella Traviata, non facilmente provocatoria ma di grande coerenza, supportata da un ottimo apparato critico. Ci saranno poi gli allievi del Concorso Internazionale Voci Verdiane. Insomma, abbiamo previsto una grande apertura ai giovani talenti. A Busseto, come al Farnese, avremo Orchestra e Coro del Comunale di Bologna.
Un’altra occasione per uscire dalle vecchie polemiche sull’orchestra.
Certamente. Anni di discussioni che non hanno portato a nulla. Lavoreremo invece con la Filarmonica Arturo Toscanini per le due opere al Regio, Jérusalem e Falstaff. Vorrei che questo equilibrio tra le due orchestre diventasse una consuetudine.
Cosa mi dici delle due opere al Regio?
Per Jérusalem abbiamo la regia di Hugo De Ana, una certezza, e Daniele Callegari alla direzione e poi Ramon Vargas e Michele Pertusi. Per Falstaff avremo una regia fresca e innovativa con Jacopo Spirei e la direzione di Riccardo Frizza. Insomma, mi sembra un mosaico piuttosto variopinto.
Come reagisce il pubblico?
Molto bene. Il pubblico sta crescendo. Abbiamo avuto molti stranieri, soprattutto per il festival. Presentiamo il programma con dodici mesi di anticipo e abbiamo fatto promozione in mezza Europa e a New York. Già a gennaio avevamo migliaia di prenotazioni. Quest’anno, durante il festival raccoglieremo le prenotazioni per Festival Verdi 2018 e questo, visto che si sapranno solo i titoli, è un segno di grande fiducia verso il Teatro. Anche e soprattutto da parte dei parmigiani, che amano questo teatro alla follia.
Come si vive a Parma?
Lavoro sempre! A volte esco dal teatro a mezzanotte, da sola. Nei corridoi c’è un’atmosfera thriller, sembra un film di Dario Argento, si sentono i passi sul legno e le travi scricchiolare, all’uscita cancello il mio nome dalla lista dell’uomo della sicurezza e chiudo a chiave la porta del teatro. Una sensazione indescrivibile. Mi piace poi incamminarmi verso Piazza Garibaldi. In questi due anni Parma è diventata la mia città. Ho preso una casetta in centro, proprio in via Farini, dove c’è movimento fino a tardi. L’ho scelta assieme ai miei ragazzi, così vengono più volentieri a trovarmi da Firenze.
Certo, a Parma non si vive male.
È una città operosa e gaudente, c’è un tessuto industriale ricco che porta benessere e soprattutto ci sono due elementi distintivi, il cibo e la musica che hanno un fortissimo valore aggregante. Pensa ai ricevimenti nei retropalchi durante le opere. In teatro ci sono ancora settanta palchi privati e sono il segno di una città che vuole stare e vivere ancora a due passi dal palcoscenico.
Dall’anno prossimo avrete anche un nuovo Direttore Musicale.
Roberto Abbado, questo per me è stato un grande regalo. Conosco il suo rigore e la competenza da molto tempo. La squadra poi è completata da Martino Faggiani, ormai un’istituzione con il Coro del Teatro Regio e dal nuovo Comitato Scientifico, con persone di grande spessore da Francesco Izzo a Damien Colas e Alessandro Roccatagliati. Poi abbiamo Alessandra Carlotta Pellegrini per l’Istituto Nazionale Studi Verdiani e Francesca Calciolari per Casa Ricordi.
Roberto Abbado dirigerà sempre la prima di Festival Verdi?
Non necessariamente, sceglieremo insieme. La prima qui conta relativamente. Nel primo fine settimana mettiamo sempre in scena, una sera dopo l’altra, le quattro opere del festival.
Come immagini Festival Verdi tra cinque anni?
Certamente non possiamo inseguire il modello del Festival di Salisburgo che ha un budget dieci volte superiore. Eppure, come loro, dobbiamo continuare a innovarci, stimolando una crescita sostenibile. Non possiamo permetterci di far mancare la spinta propulsiva che abbiamo avviato in questi anni.
Mi dici un festival che rimane un grande esempio?
Certamente Rossini Opera Festival, che è sempre un luogo capace di creare grandi meraviglie e poi ha una continuità davvero invidiabile.
Chi sono i tuoi eroi?
Potrà sembrarti banale ma penso ai Medici Senza Frontiere e a quelli delle ONG che operano nei teatri di guerra e poi ovviamente a tutti quelli del nostro mondo, che lavorano per difendere ogni giorno il potere, il valore e l’urgenza della cultura. La nostra battaglia è questa: non possiamo dimenticare il valore della restituzione culturale.
Quale direttore vorresti portare un giorno a dirigere un’opera a Parma?
Senza dubbio Riccardo Muti, un anello che non può mancare. Prima o poi contiamo di averlo al Festival Verdi. Certamente poi sono una grande estimatrice di Antonio Pappano, Riccardo Chailly, Daniel Barenboim e Daniele Gatti.
Qual è la sfida impossibile di Anna Maria Meo?
Essere arrivata qui!
E poi?
Sarebbe bello convincere i due grandi teatri verdiani, penso alla Scala e alla Fenice, a dare il loro contributo al Festival Verdi. Così dimostreremmo di essere un Paese che pensa davvero in grande.