I personaggi di Martina Sarritzu, cesenate classe 1992, li riconosci subito. Non solo per il tratto, ormai inconfondibile, ma perché attraggono e repellono allo stesso tempo, proprio come certe assurdità che Martina indaga da sempre con sguardo antropologico, divertito e disturbante. Tutto nel suo immaginario nasce dalla Romagna, almeno quella che ha vissuto prima sulla propria pelle, poi da adulta con sguardo più maturo e distaccato: il kitsch, il corpo, il desiderio, l’adolescenza, l’imbarazzo delle prime volte, l’esagerazione e tutto il tragicomico umano.
Un condensato di tutto questo è la sua Marina Godolina, lavoro nato per la tesi di laurea all’Accademia e diventata nel 2021 una pubblicazione per Strane Dizioni. Marina Godolina offre un ritratto grottesco e ironico della fauna che popola il paesaggio della riviera adriatica nella stagione estiva, tra lavoro stagionale, serate in discoteca e un mare ben poco appetibile.
In occasione di A Occhi Aperti, durante il quale Martina è in mostra nella collettiva Rosa Masticato da Titivil, ne abbiamo approfittato per fare due chiacchiere.
Partiamo dal principio e dal tuo rapporto con il disegno.
È stato un rapporto a intermittenza. Il disegno era molto presente nell’infanzia, direi fino alle medie, poi è scomparso completamente dalla mia vita perché ero interessata ad altre cose, ovvero a fare l’adolescente romagnola e a fare tutto quello che facevano le amiche del mio gruppo, che non disegnavano.
Quand'è che è tornato?
Dopo la laurea in psicologia. In quel momento ho capito che non sarebbe stata quella la mia professione, ma che mi ero iscritta a quella facoltà più che altro per autocomprendermi.
Da lì ho iniziato a ragionare e ho capito che l’ultima cosa che avevo sentito davvero mia e che mi dava gioia era proprio il disegno, che avevo abbandonato 10 anni prima. Allora ho iniziato a informarmi sul percorso che potevo intraprendere e tutti mi hanno consigliato l’Accademia di Belle Arti di Bologna, indirizzo Fumetto e Illustrazione.
Eri appassionata di fumetti?
No, tutt’altro, non ne avevo mai letti. Mi interessava solo disegnare. Il mondo del fumetto e dell’illustrazione l’ho conosciuto solo una volta entrata in Accademia.
Lì, diciamo, ho re-imparato a disegnare e ho un po‘ costruito il mio immaginario che viene molto dalla riviera e dalla mia adolescenza.
Il tuo stile è molto riconoscibile, quando lo hai sviluppato e quali sono state le influenze?
Devo dire che non è mai cambiato molto, perché è simile a come disegnavo da bambina, nel senso che sono sempre stata molto dettagliata, molto minuziosa, con degli elementi comici e grotteschi e con una linea molto chiusa e molto precisa. La mano è rimasta quella, anche se nel tempo ho imparato a cambiare e adattarlo ai diversi lavori.
Nella prima parte dell’Accademia, in realtà, volevo imparare a dipingere, ero molto interessata a imparare a usare l’acrilico e a dare volume. Ero legata all’idea del disegno come una tecnica meno nobile, ma ero troppo lenta e mi stava passando la voglia. Quindi ho provato a tornare al disegno ed è stata un po‘ un’esplosione perché ho visto che ero molto più prolifica, riuscivo a mettere su foglio le idee che avevo molto più velocemente. È stato un po‘ come liberare un cane in un parco.
Torniamo alla Romagna, che mi pare di capire sia la tua principale fonte d'ispirazione.
Sì perché lì ho vissuto quella che considero ancora la parte più interessante della mia vita. Sono stata una tipica adolescente romagnola, il mio interesse si limitava ad avere il fidanzato, uscire con le mie amiche e andare a ballare; eravamo talmente bombardate di serate che c’era la possibilità di andare a ballare tutti i giorni e a volte lo facevo.
Una volta arrivata a Bologna ho iniziato a guardarmi indietro e, con più consapevolezza, mi sono resa conto delle assurdità romagnole. Ancora oggi d’estate, quando torno a casa, faccio le mie ricerche antropologiche da cui è nato l’archivio di foto e impressioni costruito durante alcune passeggiate ed esplorazioni che utilizzo per sviluppare i miei lavori.
Marina Godolina com'è nata?
È la mia tesi di laurea che mette insieme tutte queste impressioni con alcuni testi che sono più realistici e più autobiografici, ricordi di mie esperienze da lavoratrice stagionale. Ecco: il lavoro stagionale è un’altra cosa peculiare della Romagna perché tutti vanno a lavorare al mare a 15 anni, non solo chi ha bisogno; è praticamente obbligatorio. Avendo fatto tante stagioni e tanti lavori diversi, la gelataia, la cameriera, l’animatrice, sono entrata in contatto con molte tipologie di persone che sono poi diventate anche parte di Marina Godolina.
E devo ringraziare Strane Dizioni perché mi ha permesso di pubblicarlo senza snaturarlo. È un’edizione molto curata, stampata in serigrafia e con dei libretti estraibili che invece sono stampati in fine art, dove si vedono bene le matite, cioè l’effetto della grafite. Sono praticamente tre libri in uno.
Altro tema sempre presente è la sessualità, non solo in Marina Godolina.
Anche quella è una cosa che viene molto dall’infanzia. Nei disegni di quand’ero piccola si notava già molto. Mi piaceva il modo in cui veniva performata un certo tipo di femminilità e le dinamiche del rapporto tra gli adulti, da cui io ero ovviamente esclusa, ma che volevo capire. C’era un desiderio che non potevo comprendere, ma che non vedevo l’ora di mettere in pratica. Ma è stata una cosa sempre molto naturale; anche a livello culturale, in Romagna, anche in famiglia, ci sono molti scherzi a sfondo sessuale e si respira una libertà sessuale che è più presente rispetto ad altri posti.
Come racconteresti la Romagna a chi non la conosce?
Quando sono arrivata a Bologna mi sono accorta che è veramente un mondo a parte. È un territorio molto sfaccettato e, ovviamente, bisogna sapere dove andare a cercare l’assurdo, ma è comunque come se le persone seguissero norme di comportamento diverse. A partire dal modo di stare in spiaggia che è molto buffo e un tipo di divertimento molto anni 80, molto kitsch. C’è un gusto che è rimasto fermo a quegli anni. Ma anche lì le cose stanno cambiando in fretta. Con il bonus 110%, ad esempio, stanno rifacendo tutti gli alberghi e quei colori acidi e pastello stanno sparendo per lasciar posto al bianco e al grigio.
Cos'è invece che ti trattiene a Bologna?
A Bologna c’è una bella rete di persone. Una rete che ti alimenta anche, perché ti consente di fare tanti lavori e di mantenerti dal punto di vista economico. Ma è anche una città piccola, quindi ogni tanto sento che avrei bisogno di fare un giro altrove. Ma per il momento vince lei.