La mostra Time Machine. Vedere e sperimentare il tempo ideata da Michele Guerra e curata da Antonio Somaini con Eline Grignard e Marie Rebecchi ha inaugurato Parma Capitale Italiana della Cultura 2020. Sarà un anno ricco di iniziative dall’alto valore culturale, tra le quali spiccano i progetti dello CSAC, la mostra Opera dedicata al melodramma, e il progetto site specific Hospitale dello Studio Azzurro realizzato all’Ospedale Vecchio, uno degli edifici più belli della città.
Abbiamo, quindi, approfittato di Time Machine per incontrare Michele Guerra, che oltre ad essere assessore alla Cultura di Parma è anche professore di Teorie del cinema, Storia e critica del cinema e Teorie e tecniche del cinema e dell’audiovisivo. Con lui abbiamo parlato non solo della mostra, ma anche delle dinamiche e forze cittadine che hanno permesso questo progetto.
Il filo conduttore di tutto il programma culturale di queste manifestazioni è “La cultura batte il tempo”. Ci dai una tua personale definizione?
Siamo partiti da una visione urbanistica della città per cercare di capire come poter costruire un programma culturale che tenesse conto dell’idea dello sviluppo della città stessa. Nei materiali relativi ai distretti socio culturali della città ricorreva sempre il concetto della rigenerazione dello spazio e con un gioco di parole abbiamo spostato l’attenzione sull’idea di rigenerazione del tempo.
Partendo dal concetto di tempo abbiamo iniziato ad interrogarci sul tempo storico di Parma, e quindi su come si è evoluta e cresciuta: dalla Parma romana a quella contemporanea.
Dalla riflessione sui palinsesti storici della città siamo passati a ragionare sul tempo sociale dei quartieri. Attraverso questo processo è emersa l’idea che la cultura dovesse essere da un lato il metronomo della città, quindi battere il tempo nel senso del ritmo, e dall’altro dovesse anche sconfiggere i limiti che il tempo erige a livello storico e sociale. “La cultura batte il tempo” è pertanto un concetto molto malleabile. In fase di progettazione è stato importante dare un tema monografico al dossier, per non disperdere le energie e per lavorare su una parola che diventasse anche un campo di forze e di riflessioni, una parola che potesse servire a indirizzare il lavoro in una direzione precisa.
Come è stato il processo che ha portato Parma a diventare la capitale della cultura italiana nel 2020? Quale credi sia stato l’indice di differenziazione - rispetto alle altre proposte culturali - che ha fatto vincere la città?
Parma ha una struttura culturale molto forte, grazie al fatto che esistono in città dei patrimoni culturali importanti, non soltanto a livello storico artistico, ma anche patrimoni produttivi soprattutto negli ambiti del teatro e della musica.
Senza questo sistema non saremmo diventati capitale della cultura, e infatti nel dossier che abbiamo presentato c’erano tutte queste realtà; in qualche modo questa vittoria ha certificato la forza culturale della città.
Ci sono comunque stati due elementi molto importanti che sono entrati nella motivazione della commissione e in questo modo ci spingono a dire che sono stati elementi fondamentali nel giudizio.
Uno è il modello pubblico-privato, costruito su un patto reale e amministrativamente innovativo tra le forze pubbliche e private della città e fondato su una condivisione profonda e non strumentale di obiettivi di progresso precisi. Questo è stato un passo decisivo da cui poi è nato il Comitato per Parma 2020. Stiamo continuando a lavorare in questi termini, anche se è un sistema difficile che necessita di continui confronti e azioni per consolidare questo rapporto.
L’altro elemento che ci ha fatto vincere – evidente anche nelle motivazioni del MIBACT – è il rapporto con l’Ateneo di Parma.
Non solo un coinvolgimento dei dipartimenti umanistici, ma soprattutto anche di quelli scientifici per il sostegno e la divulgazione di una cultura di ambito scientifico, che spesso gli assessorati in Italia non considerano. Questo processo ha portato, ad esempio, ad un ambizioso progetto dedicato alle scienze e curato da Giacomo Rizzolatti. Ovviamente anche l’ambito umanistico è ben rappresentato nei progetti dell’Ateneo, come nel caso delle mostre e delle residenze CSAC.
L’anno della cultura ha inaugurato con una grande mostra ideata da te a Palazzo del Governatore, “Time Machine”...
La mostra è un’idea che mi è venuta d’estate mentre lavoravamo al dossier, ma che non potevo certo curare direttamente, anche perché sapevo che l’amico e collega Antonio Somaini, che insegna all’Université Sorbonne Nouvelle – Paris 3, l’avrebbe fatto meglio di me.
Questa esposizione parte da un concetto molto semplice: con la nascita del cinema, lo sviluppo delle immagini in movimento, e quindi delle tecnologie di manipolazione del tempo e della durata, il nostro modo di pensare e immaginare il tempo è cambiato, così come è cambiato il modo di sperimentarlo. La mostra parte dalle origini del cinema, addirittura dal pre-cinema, perché la Cinémathèque française ci ha prestato degli oggetti veramente rari e che difficilmente escono da Parigi, come ad esempio il fucile cronofotografico di Étienne Jules Marey e altri dispositivi pre-cinematografici di fine Ottocento.
Si parte quindi da quel periodo per approdare ad un cinema scientifico e sperimentale, ma anche al cinema mainstream e alle operazioni video artistiche come Twenty Four Hours Psycho di Douglas Gordon.
Time Machine è una mostra colta e profonda, ma anche divertente, aiuterà a riflettere su queste tecnologie e quindi sui dispositivi che hanno manipolato il concetto di tempo.
Da cosa nasce questa riflessione sulla manipolazione dell’immagine? Rientra nell’ambito dei tuoi studi accademici?
Io personalmente non mi sono mai occupato di tempo, ma devo dire che nell’ambito neuro-cognitivo di ricerca sul cinema c’è un filone molto profondo che lavora sulla percezione del tempo.
Per questo progetto ho pensato subito a Antonio Somaini, con cui avevamo già avuto scambi su questi temi. Antonio ha messo insieme una bella squadra chiamando due giovani studiose come Eline Grignard e Marie Rebecchi che avevano già affrontato questo tema nelle loro ricerche.
Insieme alla mostra è stato pubblicato anche un libro da Skira, in edizione sia italiana che inglese, che contiene saggi di grandi intellettuali che si sono occupati di questi temi in campo cinematografico e in campo storico artistico, come ad esempio Georges Didi-Huberman, Noam Elcott o Raymond Bellour.
Credo che la mostra segnerà anche la ricerca in questo ambito.
Quali saranno i personaggi che verranno “celebrati” durante quest’anno di eventi?
Ci sarà una mostra importante organizzata dalla Diocesi su Antelami, una sul melodramma che parte dall’archivio storico del Teatro Regio e una dedicata ai Farnese che si terrà al Complesso Monumentale della Pilotta.
All’Ospedale Vecchio è prevista invece una mostra paradigmatica dal titolo “Hospitale” con Studio Azzurro. Dico paradigmatica perché parte dalla riqualificazione di un organismo architettonico unico fondato nel 1201 e che occupa una parte rilevante dell’Oltretorrente. Questo progetto mette in relazione le infrastrutture tecnologiche di Studio Azzurro con la storia dell’ospedale e del quartiere, unendo la massima sperimentazione artistica contemporanea e la storia di un edificio che ha avuto nel corso dei secoli diverse funzioni. Un’operazione che tiene insieme più tempi creando un cortocircuito: raccontare il nostro tempo storico attraverso la multimedialità contemporanea.
In che modo hanno collaborato alla programmazione le altre realtà del territorio emiliano?
Siamo arrivati nella top ten delle città finaliste insieme a Reggio Emilia e Piacenza e a quel punto è venuto del tutto spontaneo tentare di fare un esperimento che permettesse una progettazione condivisa. Questa operazione credo sia di grandissima rilevanza e ha permesso di lavorare insieme attraverso un protocollo e in sinergia con la Regione Emilia-Romagna.
Questo percorso comune non potrà certamente esaurirsi con il 2020.
Oltre alle città limitrofe anche la provincia di Parma e i suoi comuni si sono messi in rete per proporre dei progetti che sono stati inseriti nel programma ufficiale con il nome “Energie del territorio” e cui si collega anche il grande bando promosso dal Comune di Parma, che ha raccolto oltre 280 progetti (di cui resi idonei 142) provenienti dal territorio, da altre città italiane e perfino europee.
Come è già cambiata la città e come invece prevedi possa rinnovarsi ulteriormente? A tuo avviso cosa lascerà sul territorio quest’anno della Cultura? Ci saranno delle ripercussioni sulle politiche culturali? Nel 2021 ci saranno alcuni eventi che saranno la restituzione, o il proseguimento, di Parma 2020?
Credo che la città in parte sia già cambiata. Se vogliamo utilizzare un dato quantitativo il biennio 2018/2019 ha visto un grande incremento di presenze, in parte dovuto sicuramente alla visibilità di Parma2020 che sta avendo un’ottima esposizione mediatica e rassegne stampa già molto imponenti.
Lo scopo è però quello di coinvolgere prima di tutto la città e il mio desiderio sarebbe sapere che i cittadini di Parma almeno una volta a settimana sentano il bisogno, quasi fisico, di uscire di casa per partecipare alla vita culturale della loro città. Vedo molto entusiasmo, sono infatti tante le realtà che si sono messe in cammino con noi con grande passione e noi ovviamente seguiamo loro perché questa è una partita che si gioca tutti insieme nello stesso campo.
Se il 2020 non riuscirà in parte a cambiare le nostre vite, avremmo perso una preziosa opportunità.
Il 2021 sarà poi l’anno del monitoraggio e del consolidamento delle nostre azioni, decisivo per comprendere cosa è andato bene e che cosa si può invece accantonare.
Oltre alle mostre, come dicevamo, ci saranno una serie di eventi di varia natura, tra musica, teatro, cinema, insieme ovviamente all’attenzione per l’alimentazione. Se dovessi consigliare un solo evento “imperdibile”, quale sarebbe?
Direi il progetto all’Ospedale Vecchio di Studio Azzurro “Hospitale”. Per noi è molto importante perché racchiude la storia del recupero di una struttura storica che ha addirittura rischiato di diventare un luogo commerciale. Il progetto inoltre esplicita alla perfezione il paradigma del tempo ragionando appunto sul doppio registro di passato e presente attraverso il recupero dell’edificio e il dialogo con la tecnologia contemporanea.
Chiudiamo con una domanda fondamentale per ZERO: quali sono i posti che frequenti a Parma?
Se dovessi consigliare un posto dove andare a fare un aperitivo direi il “Tabarro”, lo trovo molto affascinante che riesce quasi a farti sentire “fuori Parma”, ti senti in una dimensione quasi ucronica, locale e allo stesso tempo internazionale.
Se invece devo andare a cena con qualche amico o collega ti dico “I due Platiani”, anche se è difficilissimo trovare posto, è sempre pieno.