Accoppiata da paura Detroit-London!
A 55 anni suonati Andy non accenna a prendersi pause, se non quella definitiva, a suo dire, dalle droghe pesanti (ma non dall’adorata ganja). Ributtatosi a capofitto a scrivere musica, esplorando i confini della cosmic disco, lì dove si fa dub techno e post rock, Andy sta vivendo uno dei periodi più creativi della sua carriera. Un esempio? Ascolta i synth alieni sulla linea dub e il riff di chitarra di “Making friends with the invader”, uscito in questi giorni: puro Weatherall, tempo, ritmo e costruzione musicale ineccepibile.
Due album di inediti e uno di remix, tre EP, svariati dj mix (cerca quello recente su NTS Radio) e uscite irregolari “vinyl only” in due anni. La fuga da Shoreditch e il nuovo studio a nord Londra, lontano dall’invasione di turisti e locatori assassini. I soliti impegni “on the road” e le lunghe sudate che contraddistinguono ogni sessione di “A love from outer space”.
Lo stesso adagio vale per i dj set: negli ultimi anni Andy ha virato su un mood più chilled, su un’unione organica di slow house e cosmic disco, tra le solite gemme sconosciute (l’ultima volta che l’ho sentito era in vena di rarità giapponesi anni Ottanta) che non cerchi nemmeno su Shazam tanto sei sicuro del “No result”. Vorrà dire che stasera ricorreremo alla classica sbirciatina alla valigetta dei dischi.
Detroit come città post industriale, come caposaldo dell’automobile, ma, soprattutto, della techno. E già, la techno di Detroit, quante volte avrete sentito o pronunciato questa espressione? La techno di Detroit, quella di cui Juan Atkins è il fiero pioniere e sicuramente tra le figure più influenti della scena, già dai primi anni Ottanta, quando cominciava a muovere i primi passi come Cybotron, come Model 500, fino alle ultime collaborazioni con Moritz Von Oswald.
Jazz e soul sono state sempre componenti vitali per Detroit, tanto importanti quanto il clangore viscerale dell’industria automobilistica, e, vuoi o non vuoi, tutti questi elementi rappresentano un po’ il telaio musicale di Atkins, che ha contribuito a rafforzare l’introito cosmico e circolare del jazz sull’elettronica.
Quello che ne vien fuori è qualcosa di lussuoso e profondamente coinvolgente, in un continuo saliscendi di robo-funk accelerato e campioni jazz mandati in loop, mentre in superficie continua a graffiare la techno.
Written by Raffaele Paria + Fabrizio Melchionna