Da dieci anni esatti, l’Università di Ostia sta mettendo in crisi alcuni capisaldi della stratigrafia. Il dibattito più controverso è quello sulle datazioni del Carbonifero. Fino al 2009 si considerava che questo periodo geologico facesse parte dell’alto Paleozoico, ben evidenziato dalla comparsa dei conodonti della Montagne Noire. Da Ostia invece si scorge una montagna ben più massiccia. Il nuovo “Carboniferous” compare nel 2009, svelato da una trivella nucleare chiamata Zu, che a furia di scavare, menare, detonare e vaporizzare è arrivata a festeggiare i 10 anni di un disco che se non fosse facilmente databile con metodi scientifici si direbbe uscito domani.
Un disco che all’inizio mica l’avevamo capito del tutto, quando gli Zu erano la cosa più importante che la musica radicale potesse proporre tra i sedimenti d’Europa, già decollati per un successo senza pari (si pensi che “Carboniferous” stesso ha venduto più di 10mila copie!), eppure quel giacimento che avevano raggiunto era disorientante. “Carboniferous” è il disco che sposta gli Zu dal jazz-core verso il metal, verso la dura roccia, verso le viscere del pianeta; un composto esplosivo in cui Ornette Coleman convive con Aphex Twin e i Meshuggah. Oggi le ceneri si sono depositate: possiamo ammirarlo e celebrarlo.
Perché la Terra è piena di tesori, basta mettersi a scavare. Basta non recidere le radici, quelle che i Mamuthones hanno ben piantate tra la psichedelia, il punk e il post-moderno. Basta ascoltare il sussurro delle onde sismiche, l’elettricità dell’aria, come fa Mieko Suzuki addentrandosi nelle miniere del suono, incrociando analogico e digitale. Basta non arrendersi quando ci si ritrova dinnanzi a un substrato roccioso che pare definitivo. E invece basta una carica di dinamite, basta riaccenderla.
In serata anche il concerto degli Uochi Toki.
Written by Filip J Cauz