Sobillatore, sovversivo, nappista, brigatista, irrecuperabile, irriducibile: sono state tante le etichette attribuite dai giudici a Sante Notarnicola. Per Bologna e per il Pratello, invece, Sante è sempre stato il poeta e lo scrittore combattente dal quale era possibile ricevere lezioni di storia e di vita dietro il bancone del suo Mutenye.
Sante se n’è andato a 82 anni due anni fa, il 22 marzo 2021. Nei giorni scorsi sono apparsi in città molti manifesti con le sue poesie e il 24 e il 25 marzo i suoi compagni e le sue compagne lo ricordano in una due giorni di proiezioni e incontri all’ExCentrale. Qui il programma.
Nato nel tarantino, a Castellaneta, nel 1938, Sante trascorse i primi anni della sua vita nella miseria. “Ho ricordi molto vaghi – scriveva in Versi elementari (Edizioni LYRIKS, 2020) – di quel tempo, almeno fino al giorno in cui mio padre se ne andò con una vicina di casa anche lei sposata. Tra tutti e due abbandonarono una decina di figli. Com’è costume dalle mie parti, queste cose toccano il limite della tragedia. Il disonore ricade su tutta la famiglia, figli compresi. E naturalmente è la parte più debole, la donna e i figli, che ne porta il peso maggiore. Per me fu un duro colpo. Mio padre era estremamente severo, tra lui e noi non ci fu mai confidenza, ma distacco. Nel paese era uno dei pochi che portava la camicia bianca, si dava un contegno, ci teneva a dimostrare che era un educatore rigido. Quando se ne andò non perse il mio affetto, che non aveva potuto nascere, ma il mio rispetto; tutta la sua austerità era naufragata miseramente”.
Dopo alcuni anni in un Istituto per l’Infanzia Abbandonata, a 13 anni raggiunse la madre emigrata a Torino e lì sotto l’influenza dello zio ex partigiano iniziò la sua militanza politica prima nel FGCI, poi nel PCI. Ma fu nei primi anni 60 che la sua lotta per la rivoluzione salì al livello successivo, organizzando con alcuni compagni una serie di espropri proletari per raccogliere denaro a favore dei movimenti di liberazione nei paesi coloniali. Proprio durante una sanguinosa rapina a Largo Zandonai a Milano nel ’67 venne arrestato insieme a Piero Cavallero e altri due compagni e condannato all’ergastolo.
Nel 1995, in regime di semilibertà, aprì il Mutenye continuando a dedicarsi ai più giovani e a numerosi progetti sociali, solidali, culturali, ottenendo poi la totale libertà nel 2000. Tanti i libri e le sue poesie che rimangono; uno dei più noti è L’evasione impossibile edito nel 1972 da Feltrinelli, il racconto del suo gruppo noto come banda Cavallero e degli ideali che resero mitica la loro vicenda ripresa anche dal film Banditi a Milano di Carlo Lizzani.
Riportiamo una delle sue prime poesie contenute nel libro Con quest’anima inquieta, Edizioni Senza Galere – 1979
IL GUARDIANO DELLE MACCHINE
Venni dal Sud
con la mia valigia di cartone
Il padrone
gettò al volo cinquanta lire
al guardiano delle macchine:
“Tieni ragazzo, divertiti!”
Le cinquanta lire rotolarono
sull’asfalto fermandosi
vicino ad un tombino.
Soddisfatto il padrone
entrò nell’Hotel
con la sua puttana.
Guardai la moneta
allungai il piede
spingendola nel buco.
Pioveva. Lunga,
lunga la strada
per la periferia. Quella
sera non presi il tram,
mi mancavano cinquanta lire.
Venni dal Sud
con la mia valigia di cartone.
S. Vittore 25 marzo 1970