Faith
di Valentina Pedicini
Biografilm 2020 apre con il film più problematico, un calcio in pancia che in alcun modo si riesce a parare, gli effetti destinati a persistere nel tempo come un ematoma che non guarisce. L’allucinante quotidianità di una setta di “monaci guerrieri” abbarbicata da qualche parte nelle colline marchigiane, resa nel glaciale bianco e nero di una regia febbricitante che alterna silenzi rotti da discorsi “motivazionali” dal sapore amaro di manipolazione mentale a deliranti sessioni di workout scandite da musica industrial dance tamarrissima a palla (con testi, chissà perché, sempre rigorosamente in tedesco). Senza spiegare come e per quali motivi (se ce ne sono) siano arrivati fino a qui e abbiano deciso di restare, “Faith” non inizia: prosegue. Trascinando nel gorgo ogni potenziale spettatore, qualunque sarà la modalità di proiezione, perché una volta iniziata distogliere lo sguardo diventa letteralmente impossibile. E alla fine uscire a rivedere le stelle e sentirsi profondamente grati di potere toccare gli oggetti, avere un cellulare e un tostapane e abbastanza rotelle al loro posto.
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Kubrick by Kubrick (Kubrick par Kubrick)
di Gregory Monro
Una magistrale lezione di archivistica: organizzazione dei materiali impeccabile unita a una ricostruzione scenografica che sa essere riassunto e summa definitiva dell’opera di un grande genio visuale. Poche quanto capillari le interviste, organizzate per campi tematici – fisici e scienziati per 2001, storici per Barry Lyndon, politologi per Il Dottor Stranamore e Full Metal Jacket, Tom Cruise prima che diventasse il Gran Visir di Scientology e Nicole Kidman prima del Botox per Eyes Wide Shut, oltre naturalmente a Kubrick stesso che rivive da un magnetofono che travalica ogni spaziotempo. Incomprensibilmente mancano i primi due e Lolita, ma l’assenza non pregiudica la tenuta di un lavoro praticamente inattaccabile. La stessa storia che sentire raccontare non stanca mai, con sfumature sempre nuove ad aggiungere microscopiche enormi parti in un totale che nessuno riuscirà a vedere mai.
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This Train I Ride
di Arno Bitschy
“Life is uncomfortable in its default form, and you have to accept it.”
L’associazione mentale che scatta immediata è con Streetwise, magistrale documentario di Martin Bell che nel 1984 raccontava il desiderio di fuga di una serie di senzatetto – per scelta o costrizione – a Seattle. Qui la fuga è letterale: salire su un treno merci e lasciarsi portare in lungo e in largo per gli Stati Uniti, la differenza sta nella consapevolezza assoluta di quello che si sta facendo e perché lo si sta facendo, più e meglio di Jack Kerouac (qui niente alcol a distorcere le percezioni). Il monologo-poi dialogo tra la vecchia inquilina punk ex tossica e lo sbarbo che ha comprato l’appartamento nel quartiere “riqualificato” dice pure troppo sulla gentrificazione e su come siamo messi adesso, se il COVID-19 non ribalterà gli equilibri mondiali. Tra i migliori di Biografilm 2020.
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Irradiated (Irradiés)
di Rithy Panh
“Se vuoi vivere, preparati a morire.”
Premio per il Miglior Documentario alla 70° edizione della Berlinale, un Koyaanisqatsi della prevaricazione, della sofferenza e della fame e della miseria. Il campionario completo di quanto schifo possa raggiungere l’essere umano. La scelta di dividere lo schermo in tre parti quasi sempre con le stesse identiche immagini è incomprensibile, spesso irritante, ma avercene di film così. Finalmente Hitler di fianco a Mao di fianco all’atomica su Hiroshima senza alcun distinguo: ogni guerra è sbagliata, ogni morte è ingiusta.
“Conosco il punto più basso della Terra: è l’uomo.”
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Love Child
di Eva Mulvad
I Promessi Sposi iraniano. Stessi intoppi, stessi ostacoli, stessa fatica esasperante per arrivare alla fine all’obiettivo, con però un figlio di mezzo a esacerbare ulteriormente il livello dello scontro, le spire della burocrazia un dedalo che George Orwell 1984 scansate. È tutto vero, nessun attore, niente ricostruzioni ma per ritmo, tenuta, tensione, sembra un film di quelli che ti costringono a non pensare a nient’altro finché non finisce, con la stessa tensione di Fuga di Mezzanotte. Purtroppo qui niente colonna sonora di Giorgio Moroder, ma è l’unica reale mancanza.
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Self Portrait (Selvportrett)
di Katja Hogset, Margreth Olin, Espen Wallin
Dei tanti lavori a tema anoressia di Biografilm 2020 questo è il più brutale, straziante, inderogabile. La macchina da presa non esita né arretra né risparmia il minimo particolare degli ultimi anni di vita della protagonista – Lene Marie Fossen, fotografa norvegese che all’età di dieci anni ha smesso di nutrirsi – restituendone il corpo straziato e la scelta consapevole di auto-immolarsi nell’ultima, definitiva serie di scatti che coincideranno con la sua dissoluzione fisica, appena in tempo per vedere il film completato. Senza chiedere né offrire chiavi di lettura, senza sconti o morali: è andata così.
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The Forum (Das Forum)
di Marcus Vetter
Come documento di questi tempi infami è spietatamente perfetto: l’obiettivo si muove indisturbato nelle stanze del potere fino a ieri sigillate ai cronisti, documentando l’orrore del male con glaciale distanza da entomologo. Ci sono tutti gli artefici della tragedia umana in cui siamo costretti, tutti insieme per mano a ballare sulle macerie come i personaggi del Settimo Sigillo nella scena finale: gli sbarellati (Trump, Bolsonaro), i colletti bianchi che manovrano la finanza planetaria, i buoni ambientalisti che lucrano tanto quanto i cattivi petrolieri, qualche sottana clericale di passaggio, i nazisti affamapopoli (Merkel e il suo amichetto Macron), il kapò che dirige il baraccone, i paesi del quarto mondo, infine l’acquisto più recente, il manichino messo lì per manipolare i giovani (Greta). Che bello se gli equilibri cambiassero adesso, se The Forum rimanesse unica testimonianza di tempi antichi mai più ripetutisi.
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West of Babylonia
di Emanuele Mengotti
“Television will not be revolutionized” (scritta su uno schermo nel totem di televisori all’ingresso; esattamente quel che sta accadendo adesso)
Mutonia americana, l’XM24 americano. Spazi più vasti e panorama più suggestivo, per il resto situazioni e materiale umano sono esattamente gli stessi; per chi c’era, una boccata di ossigeno dopo anni di apnea (io c’ero). Riconoscere spiriti affini a oceani di distanza riattiva una serie di belle immagini sorprendentemente simili a queste; qui o là è uguale, ringrazio di esserci stato, ancora di più adesso che non rimane che il fastidio a tenermi compagnia e dei ricordi che non puoi portarmi via.