Gigantesche sculture e installazioni realizzate con materiali di recupero, come scarti di ferro arrugginito, tubi, bulloni, pezzi di automobili in disuso e ruote: sono le opere dei Mutoid, compagnia di artisti fuggiti dall’Inghilterra della Tatcher negli anni 80 e da molti anni di base a Mutonia, un piccolo villaggio sui generis nato nell’estate del 1990 in una cava ai bordi di Santarcangelo di Romagna. Profondamente influenzati dai film di Mad Max e dai fumetti di Judge Dredd, accanto alla loro attività artistica di riassemblaggio dei rifiuti c’è sempre stato il richiamo della musica, soprattutto della prima scena rave dove le loro sculture semoventi presero talvolta vita creando uno scenario memorabile.
Negli anni Mutonia è diventata un simbolo di Santarcangelo, ma le sue sorti sin dal 2013 sono sempre state appese a un filo per via della contrarietà all’insediamento di un vicino residente che da allora è andato avanti a colpi di ricorsi al TAR denunciando presunti disagi e rischi per la vicinanza al fiume Marecchia. Per proteggere il villaggio, il Comune di Santarcangelo si era anche mosso per dichiararlo parco artistico protetto, ricevendo il sostegno di molti e molte cittadine e l’ok da parte delle Soprintendenze per i beni culturali dell’Emilia-Romagna. Ma nel 2021 è arrivato il ricorso al Consiglio di Stato che pochi giorni fa ha autorizzato la demolizione del campo.
A sostegno di Mutonia si è subito attivato Santarcangelo Festival, che nel 1990 invitò i Mutoidi all’evento favorendone l’insediamento che, in principi, avrebbe dovuto essere temporaneo e solo per la durata della manifestazione. Le varie direzioni artistiche del Festival, dal 1978 a oggi, si sono unite per esprimere supporto alla comunità. Attraverso una dichiarazione congiunta ribadiscono l’importanza di Mutonia come luogo culturale identitario per la città di Santarcangelo, e per il suo Festival.
Scrivono: Crediamo fermamente che il ruolo dello Stato sia quello di proteggere il patrimonio culturale e non di sostenere i processi che lo mettono in discussione […] Quando nel 2013 la permanenza della compagnia fu messa in pericolo per la prima volta, un’azione di enorme solidarietà da parte della comunità santarcangiolese, e il sostegno delle autorità locali e regionali, permisero il riconoscimento di Mutonia come parco culturale, e non solo zona abitativa. In questo senso, vediamo la sentenza del Consiglio di Stato come un intervento legislativo che riguarda il diritto – o la mancanza di diritto – ad occupare uno spazio, ma soprattutto come una decisione contro la diversità e la libera partecipazione alla cultura nel suo senso più vasto.
I Mutoid nascono in un momento in cui i grandi movimenti artistici e politici del Novecento procedevano verso una trasformazione in qualcosa di diverso, sulla spinta della prima grande crisi economica globale degli anni Settanta e dell’ascesa di un liberismo economico sempre più sfrenato, che – nel Regno Unito e altrove – incideva pesantemente sulle fasce più deboli della popolazione come sulle pratiche della controcultura e della contestazione.
“Mutate or die” è il motto di Mutoid Waste Company: abiti, musiche, estetiche potevano essere nuove o differenti, ma il punto era sempre lo stesso: creare alternative concrete a quello che stava diventando la società. Se i movimenti di protesta del Novecento reclamavano un futuro diverso e migliore, i collettivi di fine secolo ribaltavano completamente il disperato “No future!” urlato dal punk nel ben più propulsivo “Do it yourself”: proclamando, non che non esiste un domani, ma che ci sarà soltanto se ce lo si costruisce assieme, da sé. Così, il disinnesco, l’appropriazione, il riassemblaggio – ideale e/o materiale – degli elementi propri della civiltà industriale diventano con i Mutoid i principi di base di una nuova forma possibile di impegno, nell’idea di un’arte, di una politica, di una tecnologia libere, accessibili, partecipate, alla portata di tutte e tutti.
I Mutoid sono sempre state e stati un’avanguardia nei confronti dei cambiamenti sociali e politici. Le loro idee e pratiche diventano oggi, soprattutto nel contesto della crisi climatica, una proposta da cui abbiamo molto da imparare. Crediamo fermamente che il ruolo delle istituzioni culturali, della cittadinanza santarcangiolese e dello Stato possa proteggere questa esperienza e garantirne la possibilità di un continuo sviluppo, non la demolizione, in una concezione plurale della cultura e della cultura teatrale, una necessaria “biodiversità” culturale che definisce da sempre lo spirito del Festival