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Intorno alla tavola di Baba per scoprire la cucina turca insieme a Mahmut

Written by Francesco Pattacini il 3 June 2025

Foto di Francesco Pattacini

Se passate da via Massarenti non vi sarà difficile trovare qualcuno che, seduto su uno dei tre-quattro tavoli esterni di Baba, tè caldo alla mano, osserva il via vai di macchine e passeggeri vicino alla fermata del 25. Scena introduttiva alla classe di gastronomia che, qui, si impara dalle 9 del mattino fino alle 23 della sera, no stop, perché, nel pasto turco, non c’è mai un momento giusto o sbagliato in cui sedersi a tavola e accogliere nuovi ospiti.

Questo discorso prevede anche un altro capitolo fondamentale: rivalutare la nostra conoscenza della gastronomia turca partendo dalla concezione che, il nostro primo approccio alla materia, avvenga nelle peggiori circostanze possibili. Non è soltanto un’idea passeggera, pur ben basata su quell’estetica notturna che, spesso, ricerca una salvezza calorica, i cui tratti gustativi si ritrovano persi comunque fra salse e piadine stropicciate. È, a conti fatti, proprio uno dei motivi per cui Baba nasce e sceglie di lavorare ogni giorno con materie sempre fresche. Lo rivendica col sorriso Mahmut Tastan che, dopo l’avventura su via de’ Carracci – per tanti anni l’eccezione al discorso di cui prima, punto vero e proprio di riferimento di quei pellegrinaggi -, lo ha aperto nel 2021.

«Quella turca è una cucina molto ricca, solo che non è pubblicizzata e conosciuta quanto dovrebbe», racconta Mahmut, «per questo si tende a pensarla come solo legata alla carne e al kebab ma, la verità, è che ci sono tantissimi piatti, anche vegani e vegetariani, che tante persone non conoscono. Ovviamente non riusciamo ad averli tutti, ma proviamo a fare questa introduzione preparando le specialità delle nostre zone come le çiğ köfte, o quelle della sua tradizione millenaria che possono essere semplici come un mercimek, la zuppa di lenticchie che viene servita a inizio pasto. Abbiamo lavorato per anni a queste ricette per adattarle alle materie prime italiane e alla differenza dei gusti senza, però, rinunciare a ciò che sono in origine. Cerchiamo di fare una cucina a partire da prodotti freschi e adattabili. Facendo la maggior parte delle preparazioni da zero a volte i gusti potrebbe cambiare un poco ma è normale, è questa cura che vogliamo dare ai nostri clienti. La sicurezza che, ciò che mangiano, sia genuino, pulito e riproduca quel calore della cucina che caratterizza i nostri piatti».

Nato e cresciuto ad Adıyaman nella parte sud della Tuchia, Mahmut fa parte della comunità curda ed è arrivato in Italia negli anni 2000. Stabilitosi inizialmente a Bari, dove si trovava già il padre, lavora in agricoltura, prima di trasferirsi a Trieste per aprire alcuni ristoranti di kebab insieme allo zio e trasferirsi a Bologna nel 2018. Parlando di origini, quella di Adıyaman a pochi chilometri distanza dalla Siria, è una zona consacrata a una cucina variegata che utilizza al meglio la ricchezza di materie prime a sua disposizione, soprattutto di grani e verdure. È, insieme ad Urfa, Adana – la città del tradizionale kebab cotto sulle spade – e Gaziantep, una delle capitali delle çiğ köfte, polpette di bulgur piccante servite per strada e nei ristoranti in tutto il paese. Mahmut ne parla fieramente, mentre la prepariamo insieme (la ricetta e il metodo di preparazione li trovi su Grūmi, la mia newsletter gratuita di cibo e di storie) perché è parte delle tradizioni casalinghe, comunica il calore – attraverso anche la sua piccantezza – e la mano di chi lo fa. La caratteristica è proprio la forma ovale che gli viene data, su cui rimangono impresse le falangi della mano di chi le prepara, prima di essere avvolte in insalata con una spruzzata di limone (per i più coraggiosi si può dare un morso anche ai biber sottaceto, esperienza bella forte).

«Sono stato molto fortunato», continua Mahmut, «perché quando sono arrivato a Bari, a diciassette anni, e non conoscevo l’italiano, l’ho potuto imparare direttamente lì, fra i campi, in mezzo alle persone. Non è stato facile ma è da lì che ho imparato a conoscere la cultura, i sapori e gli ingredienti della cucina italiana, da cui sono partito per trovare uno stile che potesse bilanciare i sapori della mia tradizione con quelli di qui. La cucina è una passione che ho sempre coltivato, a partire dalla mia famiglia e dalla mia città, in cui abbiamo tenuto un ristorante per una decina d’anni. Andava bene ma, poi, abbiamo deciso di investire le nostre energie su Baba. Per fare questo mestiere bisogna studiare, scoprire, lavorare, avere esperienze. Senza queste caratteristiche non si può fare nulla. Il lavoro ti prende un sacco di tempo e, quindi, se non hai un lavoro che ti piace, non sei in un posto che ti piace, è difficile andare avanti, è difficile vivere bene e fare bene».

Quello da Baba è, quindi, un’ottima occasione per provare gli elementi essenziali della cucina turca che passano sì dal kebab (in versione Adana, o come dürüm al pollo o all’agnello), ma si esprimono soprattutto nei suoi piatti accompagnati da bulgur e insalata. Il consiglio è quello di partire dagli antipasti, le meze, con il dittico di salse (l’ezme ai peperoni e pomodoro, e quella di melanzane), le immancabili içli köfte e gli involtini di vite (dolma), fino al börek e le zuppe (di cui il mercimek çorbasi di lenticchie è il classico punto di partenza). Menzioni speciali, e di necessità, per i kuru fasulye, magari per provare un’esperienza bagnata dal tradizionale raki, con ghiaccio e acqua, prima di concludere in bellezza con un çay, il tè caldo, ricostituente e basilare per ogni pasto e intermezzo. Di lasciarsi, soprattutto, coinvolgere dalla loro capacità e attenzione nell’accoglierti.

«Il nostro dovere», conclude Mahmut, «è quello migliorare sempre, di cercare di fare il massimo che possiamo. Baba è la nostra vita in Italia, l’esperienza più grande che, però, non è un punto di arrivo. Il nostro percorso ora è qui, ma vogliamo fare ancora di più, fra un paio di anni, speriamo di poter crescere ancora, continuando a far conoscere la cucina turca sempre di più, introducendo sempre nuovi piatti, creare una comunità che si esprime anche attraverso il cibo e che possa accogliere tutti e tutte, turchi e italiani, alla nostra tavola. Siamo felici di fare questo lavoro, è una responsabilità e un impegno molto faticoso ma il nostro futuro, quello dei miei figli, è qui».