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La montagna si fa museo: il Museo Nazionale della Montagna

Portare la montagna in un museo significa avvicinarla dal panorama al cuore della città, a portata di mano e pensiero, trasformarla in stimolo per studi, insegnamenti e nuove produzioni artistiche e culturali

Written by Irene Caravita il 4 November 2025

Dalla specola del Monte dei Cappuccini, 1925 ca. Centro Documentazione Museo Nazionale della Montagna-CAI Torino

L’Italia ha, per sua conformazione, un legame unico con le catene montuose: il nostro territorio infatti è attraversato a nord delle Alpi, che collegano il Paese con gli stati confinanti e, lungo tutto tutto il corpo della penisola verso sud, dagli Appennini. Le montagne delineano e connotano il nostro sguardo verso l’orizzonte. Queste sono narrate dal patrimonio conservato al Museo Nazionale della Montagna, sul Monte dei Cappuccini a Torino. Eppure, ci siamo chieste, come fa un museo a raccontare le montagne, a contenerle? Risponde puntuale a questa domanda il volume Collezionisti di montagne, pubblicato nel 2014, nel 140° anniversario dalla fondazione, per raccontare il ricco patrimonio del Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi” – CAI Torino. Dunque, per capire come ha avuto origine un museo che ha “collezionato” le montagne e ne accoglie la storia e il presente, bisogna tornare là dove è nato, nel 1874.

“Il museo è per noi oggi il luogo in cui si raccolgono le arti […]. Ma il museo è stato anche il luogo in cui si conservavano i figli della memoria, le tracce viventi del ricordo collettivo”, scrive Federico Ferrari in Il silenzio dell’arte (Luca Sossella Editore, 2021), ricordandoci che il museo è originariamente la casa delle muse, figlie di Mnemosyne e dee della memoria prima che delle arti: Ferrari ci invita a pensare il museo come luogo chiave per la formazione dell’identità di una società, di un popolo, di un luogo. Il percorso virtuoso che vede uno spazio di raccolta e cura di storie civiche, tradizioni e miti, evolversi in una fucina di nuove idee grazie alla concezione, commissione, produzione ed esposizione del frutto di pratiche afferenti a diverse discipline, è esemplificato a meraviglia dall’attività ramificata del Museo Nazionale della Montagna. Ovvero un museo che indaga la cultura della montagna attraverso diverse chiavi di lettura come l’alpinismo, l’esplorazione e i loro protagonisti e protagoniste e, parallelamente, affronta i grandi temi della contemporaneità nello scenario specifico delle terre alte e delle sue comunità ecologiche e sociali, con una particolare attenzione per il tema della sostenibilità.

Nell’agosto del 1871 alcune stanze del convento dei frati cappuccini sull’omonimo monte diventano di proprietà del Comune di Torino: sarà il primo passo verso il Museo della Montagna. Infatti, tre anni dopo, il consiglio comunale si rivolge al Club Alpino Italiano – CAI perché allestisca un osservatorio. La “libera associazione nazionale” del Club Alpino è nata a Torino nel 1863, dopo la salita al Monviso di Quintino Sella, Giovanni Barracco, Paolo e Giacinto di Saint Robert, con lo scopo di diffondere l’alpinismo, studiare le montagne e difenderne l’ecosistema, prodigandosi fin dal principio in un lavoro su scala nazionale che valorizzasse tutto il patrimonio montano dell’Italia. Al Club Alpino, quindi, vengono affidati alcuni spazi dell’ex-convento e il piazzale antistante, dove, in una semplice edicola, viene posizionato un potente telescopio mobile: è la Vedetta Alpina, dalla quale tanto gli appassionati quanto i curiosi possono ammirare e studiare l’arco alpino da una quota di 283 metri.

Il vero e proprio battesimo del museo è datato 1877, quando “a maggiore incremento dello studio delle Alpi e a meglio farne godere la stupenda loro bellezza” alla Vedetta si affianca una vera e propria Stazione Alpina, dedicata a tutti gli amanti della montagna in genere. Nel 1884 viene anche aperta una funicolare, che velocizza il collegamento tra Corso Moncalieri e la Stazione, ma è purtroppo smantellata tra la Seconda Guerra Mondiale e gli anni Sessanta. Originariamente allestita come wunderkammer dal sapore ottocentesco, grazie alle continue e generose donazioni di oggetti, fotografie e mappe, la Stazione Alpina è meta di visite scolastiche, gite domenicali e numerose attività.  Negli anni acquisisce le raccolte di molte esplorazioni in diverse parti del mondo. Nel 1942 una saletta viene dedicata ai Padri Missionari della Consolata e alle loro spedizioni in Africa orientale, in Kenya e in Uganda; vengono valorizzate le testimonianze dei viaggi nel Tibet e nel Turkestan di Mario Piacenza, così come la documentazione delle spedizioni del Duca degli Abruzzi, tra cui i preziosi cimeli del viaggio al Polo Nord che, insieme al suo valore come alpinista e alla nomina a socio onorario del CAI, gli hanno assicurato la dedica del museo. Ecco che la montagna scende in città, i confini si assottigliano e le visioni si mescolano. “Gli Italiani devono conoscere le loro montagne per saperle difendere” declama un muro del museo nell’allestimento dei primi anni Quaranta, sottolineando il clima e le urgenze dell’epoca.

Negli anni successivi il museo va incontro a massicci restauri e regolari riordini delle collezioni con continui aggiornamenti. Nel 2003 accoglie la Biblioteca Nazionale del Club Alpino, parallelamente alla nascita dell’Area Documentazione, che si unisce alle aree Espositiva e Incontri, completando la struttura che il Museo Nazionale della Montagna assume all’ingresso nel XXI secolo. Oggi, circa cinquecentomila oggetti sono conservati e resi fruibili a studiosi e amatori, parzialmente esposti in una collezione permanente che ruota, allestiti in mostre temporanee e focus tematici puntuali: la mole del patrimonio consente di organizzare grandi eventi ricorrendo principalmente alle collezioni, che si rivelano, anche ai meno esperti di montagna, di sicuro fascino e rilevanza storica. L’istituzione ha ormai conquistato una salda credibilità internazionale, diventando un soggetto interlocutore imprescindibile per nuove reti, come l’International Mountain Museums Alliance (IMMA), associazione di musei e centri di documentazione delle terre alte nel mondo.

Il museo conserva manufatti e documenti di varia natura, film e fotografie. In particolare il suo patrimonio fotografico è estremamente significativo. Curato fin dagli albori, conta un numero di fototipi che si aggira intorno a 480.000. Negativi, diapositive e stampe raffigurano sì, soprattutto le montagne, ma anche i loro abitanti, gli sport praticati, le tradizioni culturali radicate nei territori, fino a documentare specie botaniche e faunistiche o rappresentare momenti storici. Lo studio dell’opera di alcuni dei maggiori fotografi di montagna ha permesso, nel tempo, di costruire un programma di mostre personali – come l’appena conclusa mostra su Guido Rey, figura poliedrica al crocevia tra alpinismo, fotografia e letteratura. Le sale del museo diventano un caleidoscopio di immagini in cui le montagne del mondo appaiono non solo in forme spettacolari o stilizzate, ma anche attraverso sguardi che ne mettono in luce temi ambientali e sociali attuali.

Al Museo Nazionale della Montagna si pensano e mettono in moto nuove iniziative, si studia, si producono opere d’arte e progetti di ricerca, digitalizzazione, didattica ed editoriali; un luogo fisico in continua espansione lungo diversi vettori e alla ricerca di risposte per le domande sempre nuove di una contemporaneità che corre veloce ma non ha mai smesso di andare in montagna. Il museo diventa così un tempo e uno spazio metaforici, un invito a riflettere sulla montagna e a condividere questa riflessione con la comunità.