In queste settimane, complice la necessità di rispettare il distanziamento fisico, si è sviluppato in città un ampio dibattito sullo spazio pubblico. Allo stesso tempo, sono cresciuti gli interrogativi rispetto alle forme di mobilità che possano garantire maggiore benessere alla città, anche perché un’emergenza potenzialmente più grande del Covid-19 incombe all’orizzonte e già ci preannuncia i propri effetti. Molti scienziati, infatti, ci ricordano che, se non riusciremo a contenere l’aumento della temperatura sotto il grado e mezzo, la Terra affronterà gravi sconvolgimenti e i bambini d’oggi potrebbero ritrovarsi a vivere una crisi mai vista, capace di mettere in discussione la loro stessa sopravvivenza.
Non a caso, pochi mesi fa il Consiglio Comunale di Bologna ha approvato la dichiarazione d’emergenza climatica. E la mobilità è, fra gli altri, uno dei nodi (non l’unico) sui quali lavorare per abbattere le emissioni climalteranti e rafforzare la resilienza. D’altra parte, l’aggettivo “sostenibile” è diventato ormai imprescindibile per qualunque amministratore voglia declinare il proprio pensiero sul futuro, e anche dichiarare l’emergenza climatica rischia di essere vissuto dai più come l’ennesima azione di greenwashing, se alle parole non seguiranno fatti concreti e determinanti.
Dobbiamo, per questo, fare chiarezza, e abbandonare quell’abitudine poco pragmatica di dare un colpo al cerchio e uno alla botte. La mobilità sostenibile porta con sé un obiettivo che deve essere esplicitato: dobbiamo abbattere il numero delle automobili pro-capite presenti. Fino a quando ogni strada e ogni piazza sarà riempita di auto in transito e in sosta, semplicemente non ci sarà posto per guardare allo spazio pubblico in modo alternativo. E, per varie ragioni, continueremo a muoverci in auto, senza considerare che in una città di pianura come la nostra la bicicletta è il mezzo più efficiente.
Chi ci amministra deve dirci la verità: dobbiamo scegliere se salire ogni mattina sull’auto, contribuendo a peggiorare la nostra qualità di vita, oppure cambiare abitudini per dare un futuro a chi verrà domani.
Il modello che viviamo, nel quale gran parte delle automobili circola con un solo passeggero e molti dei mezzi privati passano la maggior parte del tempo parcheggiati lungo una strada, non è compatibile con le scelte che siamo chiamati a fare per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Ed è ben poco efficace sommare i chilometri di piste ciclabili realizzate quando non facciamo i conti con questa realtà: se vogliamo cambiare, dobbiamo essere in grado di spiegare agli automobilisti che la loro vita al volante sarà più difficile, ma la loro quotidianità in città sarà più facile. Servono politiche urbane che ci mettano nelle condizioni di dedicare meno metri quadri alle auto in transito e dobbiamo rinunciare a migliaia di parcheggi, per dare spazio e sicurezza a quanti si sposteranno in bici, a piedi o in monopattino. Sono necessarie, è chiaro, azioni che permettano a tutti di muoversi liberamente, rispettando vite e limiti individuali: il trasporto pubblico deve accompagnare questo cambiamento, che non è solo infrastrutturale e avrà bisogno di tempo, pur essendo già in drammatico ritardo. Ma serve anche il coraggio di adottare politiche attive che spingano la maggioranza a modificare le proprie abitudini, sapendo che non sarà semplice, perché sarà anche una rivoluzione culturale.
Se Bologna ha davvero l’ambizione di diventare un riferimento europeo, è tempo di fare una scelta di campo che anche i nostri amministratori sono chiamati a compiere: l’obiettivo di una città nella quale – come già succede in altri centri urbani europei – le bici in circolazione siano un multiplo delle auto deve uscire dal libro delle utopie per diventare una sfida collettiva.