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Anna Dora Dorno e il LIV performing arts centre

quartiere Barca

Written by Salvatore Papa il 21 May 2021
Aggiornato il 24 May 2021

Attività

Direttrice artistica

In un ex granaio ristrutturato di 300 mq, in via Raffaello Sanzio, c’è il LIV performing arts centre, uno dei rari presidi culturali della Barca. È un centro di ricerca e formazione nelle arti performative in cui ha sede la compagnia Instabili Vaganti, che ne cura la direzione artistica. Fondata dalla regista e attrice Anna Dora Dorno e dall’attore Nicola Pianzola, Instabili Vaganti porta avanti un lavoro quotidiano di ricerca sull’arte dell’attore e di sperimentazione e formazione nelle arti performative, creando performance e dirigendo workshops e progetti internazionali in tutto il mondo.
Ne abbiamo parlato con Anna Dora Dorno.

 

Ciao Anna, raccontaci innanzitutto di te: chi sei, da dove vieni e perché hai scelto di vivere a Bologna

Sono nata a Taranto, quindi pugliese d’origine e attualmente posso dire di essere un’ artista multidisciplinare che lavora in diversi ambiti, in particolare nelle arti performative. Ho studiato al DAMS di Bologna e, dopo la laurea ho deciso di rimanere in questa città. Ho scelto Bologna perché rappresentava per me un luogo interessante per intraprendere un percorso di lavoro e artistico, infatti nel 2004 ho fondato la mia Compagnia teatrale, Instabili Vaganti, assieme a Nicola Pianzola.

Come lo descriveresti il LIV performing arts centre?

Il LIV è sempre stato una spazio di ricerca e sperimentazione, dove sono nati molti nostri spettacoli e progetti, la base dalla quale partono poi una serie di attività che si sviluppano non solo nella città ma anche nel mondo.
Nel tempo ha accolto artisti di diversi paesi, tantissimi allievi che da tutto il mondo sono venuti a Bologna per studiare con noi, molti dei quali poi sono rimasti in città, ma anche tante attività per bambini e ragazzi, grazie per esempio alla Scuola di Circo e teatro per bambini, la prima che è stata fondata a Bologna. Al LIV è nato l’international Workshop Festival PerformAzioni, ed è stato la base per pensare e organizzare le due edizioni del Festival TRENOff.
Al momento il LIV è diventato anche un luogo per la produzione audio-visiva seguendo la necessità del momento che ci ha costretti a restare chiusi al pubblico ma continuando quindi la sua vocazione di luogo di ricerca e sperimentazione in diversi ambiti.

Com’è iniziata la tua esperienza lì?

Nel 2009 eravamo in Corea del Sud, dove stavamo sviluppando un nostro progetto in un residenza artistica in un teatro, “Performing Arts Centre”, immerso nelle risaie coreane, un luogo votato alla ricerca e alla sperimentazione internazioanale. Ricordo ancora quando ci è arrivata la notizia che avevamo vinto il bando per l’assegnazione dello spazio dal Quartiere Reno, che poi abbiamo voluto chiamare LIV ( Live International Venue, Laboratorio Instabili Vaganti ). Eravamo felicissimi di poter finalmente avere un luogo in cui lavorare, dopo anni in cui avevamo condotto la nostra ricerca ovunque: centri culturali, spazi all’aperto nei boschi, sale di diverso tipo. Poter sviluppare progetti in un luogo specifico ci consentiva di riportare un po’ di quel mondo, che ci aveva fino a quel momento accolto, nella città in cui vivevamo.
E così quando siamo tornati dalla Corea abbiamo subito cominciato a ridipingere gli spazi, costruire un pavimento in legno, attrezzare uno spazio che non aveva sicuramente la funzione che noi avevamo pensato.

Quant’è importante un luogo del genere in un quartiere come la Barca?

Forse non sta a me dire quanto possa essere importante per il Quartiere un luogo come il LIV, sicuramente credo sia unico nel suo genere in quanto soprattutto a progettualità, formazione e internazionalizzazione del territorio. In tutti questi anni in cui lo abbiamo diretto, gente da tutto il mondo ha attraversato e vissuto il quartiere grazie a questo spazio, realizzando progetti artistici e formativi. E’ stato un presidio culturale importante da molti punti di vista: per gli studenti universitari che frequentavano i laboratori, per i bambini e le famiglie che venivano alla scuola di circo, per tutti quelli che in città cercavano esperienze culturali con un respiro internazionale. Abbiamo ospitato giovani in residenza, organizzato due format diversi di Festival: TRENOff negli spazi urbani dell’edificio TRENO e PerformAzioni, basato invece sull’alta formazione teatrale, che hanno notevolmente arricchito l’offerta culturale del territorio. Abbiamo lavorato con bambini, ragazzi, adolescenti, giovani, cercando sempre di intervenire negli spazi circostanti per entrare in contatto con la comunità locale accentrando sullo spazio anche una serie di fondi, regionali, nazionali, pubblici e privati.

Come avete affrontato il periodo di chiusure forzate?

In questo periodo non ci siamo mai fermati, abbiamo reagito subito a questa situazione cercando un modo per continuare a lavorare e a farlo seguendo la nostra vocazione internazionale.
Durante il primo lockdown abbiamo intrapreso un nuovo progetto internazionale, Beyond Borders, lavorando a distanza con artisti da ogni parte del mondo e realizzando con loro delle performance in video che in alcuni casi sono diventate delle vere e proprie serie performative: 8 e 1/2 Theatre Clips, un progetto Italia – Iran, sostenuto dall’Ambasciata d’Italia a Teheran, SIE7E, che vede la collaborazione con artisti spagnoli e la promozione dell’Istituto Italiano di Cultura do Madrid, VideoDante, che reinterpreta la Divina Commedia di Dante attraverso il teatro e la danza classica indiana, promosso dall’Istituto Italiano di Cultura di New Delhi, The New Silk Road in collaborazione con l’Istituto Italiano di cultura di Pechino.
Abbiamo deciso di continuare a lavorare sperimentando qualcosa, non di nuovo, ma in parte dimenticato: il video teatro, cercando di reinventare il nostro linguaggio in relazione alla fruizione di questi contenuti artistici attraverso uno schermo.
Siamo stati molto contenti inoltre di aver vinto il bando Incredibol 2020 con questo nostro progetto, perché grazie al contributo ricevuto abbiamo potuto allargare la nostra attività, includendo altri artisti, dialogare con partner di rilievo come il Museo Civico Archeologico e lavorare in spazi meravigliosi come il Padiglione Espirit Nouveau e cominciare ad attrezzare il LIV anche per la produzione video. Abbiamo cominciato una serie di lavori per riadattare gli spazi e rinnovarli, investendo molto in questa operazione per cercare di creare anche nuove possibilità di lavoro in ambito multimediale, creando sale attrezzate per la realizzazione di video, la registrazione e il doppiaggio. Abbiamo dovuto rinunciare all’attività laboratoriale dal vivo, a causa delle norme anti Covid, e questo ha inciso molto sulla nostra attività, a livello economico. Gli spazi del LIV non consentono di lavorare con le dovute distanze e per questo abbiamo cercato di riconvertirle per altre funzioni e attività. In realtà lo spazio necessiterebbe di lavori molto più grandi, strutturali, per poter continuare ad avere una apertura al pubblico in condizioni di sicurezza e questo è un investimento che non possiamo permetterci di fare da soli ma che dovrebbero valutare le nostre istituzioni. Per ora crediamo sia fondamentale non fermare il lavoro di ricerca, creazione e produzione. Chiaramente ci manca non poter realizzare i nostri progetti dal vivo in tutto il mondo ma è stato e continua ad essere affascinante per noi spostare l’attenzione su un’altro mezzo, che era già presente nel nostro lavoro, anche se con un’altra funzione.

Come Instabili Vaganti, invece, quali sono gli aspetti della ricerca che prediligete?

Uno degli aspetti fondamentali della nostra ricerca è la “mobilità” e il “movimento”. Come dice il nostro stesso nome, non riusciamo mai a star fermi, non solo in un luogo ma anche in una categoria, attraversiamo ambiti differenti, tra teatro, danza a e arti visive. Ci piace spaziare in diversi contesti, utilizzare linguaggi talvolta anche molto differenti tra loro. In questo momento stiamo indagando molto il confine tra il teatro e il cinema, tra creazione artistica e documentaria, sempre mantenendo la nostra visione dell’arte come qualcosa capace di intervenire sul reale in modo attivo, concreto. Nel nostro modo di fare teatro e importantissima la congiunzione tra etica ed estetica, tra contenuti e forma.
Lavoriamo rispondendo a istanze globali, usiamo più lingue in scena e continuiamo a collaborare con artisti internazionali. Ci interessa esplorare il video e le sue possibilità di espressione, ma anche le sue modalità di fruizione attraverso il web, per questo abbiamo ideato diversi progetti di web serie performative.

Quali sono state le tappe più importanti del vostro percorso nel quartiere?

Sicuramente una delle tappe più importanti è stata la realizzazione di due edizioni del Festival TRENOff, la prima nel 2012 e la seconda nel 2017.
Un progetto ambizioso, che interveniva su uno spazio di edilizia residenziale pubblica come il TRENO per rivitalizzarlo e rigenerarlo attraverso la cultura e le arti performative. Abbiamo creduto molto in quel progetto sia la prima che la seconda volta, tuttavia non c’è stata secondo noi la volontà politica di dar seguito al Festiva, forse i tempi non erano ancora maturi, chissà!
A noi rimane sempre un po’ di rammarico perché l’evento aveva avuto un grande successo di pubblico locale ma allo stesso tempo aveva fatto conoscere un luogo così particolare in tutta Italia e anche oltre i confini. La stampa nazionale aveva molto elogiato il progetto e sicuramente si sarebbe potuto pensare ad una crescita a livello internazionale dello stesso.
Crediamo però che la nostra iniziativa sia servita a far vedere quel luogo con occhi diversi e perché no, magari anche a contribuire alla sua candidatura all’Unesco.

E del quartiere stesso cosa ne pensi? Come lo racconteresti a chi non lo conosce?

Credo che la Barca sia un quartiere ricco di potenzialità che tuttavia non riescono ad esplodere, un luogo dove emergono diverse contraddizioni, a volte imprevedibile, altre scoraggiante.
Una delle sue ricchezze è la multiculturalità e tuttavia le differenti esperienze e tradizioni fanno fatica ad emergere e diventare un patrimonio da condividere.
Ci sono esperienze nascoste e talvolta poco valorizzate, come la nostra, luoghi che sembrano un po’ delle isole nel deserto, eventi che non vengono supportati abbastanza affinché si possa creare una continuità.
In alcune zone ci sono diverse problematiche, al LIV per esempio abbiamo spesso subito dei furti e con la chiusura degli spazi dedicati allo sport la zona è apparsa un po’ troppo isolata.
Al tempo stesso però è possibile godere di spazi naturali molto belli, come il lungo Reno e sembra quasi di essere in un quartiere del Nord Europa per la multiculturalità, gli spazi aperti, i musei e i luoghi di cultura come la Fondazione Golinelli e il MAST.

Quali sono i suoi simboli secondo te?

Uno dei suoi simboli è sicuramente il TRENO, un luogo che tutti conoscono e prendono come punto di riferimento, un modello architettonico di rilievo che ha il suo impatto nel quartiere, sia dal punto di vista strutturale e culturale.
C’è poi il fiume Reno che è l’elemento naturalistico caratterizzante del quartiere, con il suo parco e la natura che lo circonda, e come ho già detto il MAST e la Fondazione Golinelli, luoghi privati dediti alla cultura.

Quant’è importante la candidatura del Treno all’Unesco e come pensi che questo potrà giovare a voi e al quartiere?

Non so se questo potrà giovare a noi e al nostro lavoro, sicuramente potrà avere un riscontro sul quartiere anche in termini turistici, almeno me lo auguro. Per quanto ci riguarda ci dispiace molto non aver potuto continuare una esperienza come quella di TRENOff, per mancanza di un adeguato sostegno all’iniziativa, perché si sarebbe sposata benissimo con questa candidatura e con le finalità culturali di una location candidata come patrimonio UNESCO.

Un tema che ritorna spesso nel vostro lavoro è il superamento dei confini…

Ci interessa molto il movimento e la fluidità, il superamento dei confini è infatti per noi da intendersi in tutti i sensi: geografici, culturali, tra le arti,i generi, etc.
Noi ci sono mai piaciute le categorie fisse e nel nostro lavoro amiamo poterci esprimere in diversi modi, attraverso il teatro, la musica, la danza, il video. Siamo nati senza avere uno spazio in cui lavorare e, in Italia, non sempre il nostro lavoro è stato accolto, così abbiamo imparato a guardare oltre…a superare i confini. Il nostro primo spettacolo, per esempio, ha vinto un premio in Polonia, abbiamo lavorato in Sud e Nord America, in Cina, Corea, India, Africa ed Europa naturalmente, abbiamo insegnato nella Accademie più importanti del mondo, ma sempre abbiamo continuato a riportare su questo territorio le nostre esperienze credendo che sia importante e necessario attraversare gli spazi, le differenti culture, le arti.
Ci siamo abituati da subito a non scoraggiarci e a superare le difficoltà con la creatività ma anche con l’ostinazione e la “resistenza”, abbattendo barriere e attraversando i differenti confini che questa società talvolta ci impone in modo piuttosto restrittivo.
Potremmo dire che la nostra attitudine è diventata quindi anche uno stimolo di ricerca e di sperimentazione, la nostra etica ha condizionato e permeato la nostra estetica.

Chi altro nel quartiere svolge un’attività culturale importante? Siete in qualche modo riusciti a fare rete?

Credo che ci siano due luoghi molto importanti nel quartiere a livello culturale, entrambi nati da iniziative private: Il MAST e la Fondazione Golinelli.
Per quanto riguarda il primo abbiamo provato a proporre delle nostre iniziative ma non abbiamo mai avuto riscontri positivi. Con la Fondazione Golinelli abbiamo invece interagito attraverso la fondazione Fizcarraldo e funder35, in quanto ex-vincitori del bando dedicato alle imprese giovanili in ambito culturale. Il nostro progetto Beyond Borders è infatti stato scelto come “case study” per formare dei giovani che hanno preso parte al programma ICARO 2021 – palestra di imprenditorialità.
Purtroppo devo sottolineare che non è stato facile per noi fare rete nel quartiere, anche quando abbiamo realizzato le due edizioni del Festival TRENOff non abbiamo avuto riscontri da altre associazioni, fatta eccezione per la Banca del Tempo che da anni opera nel quartiere. Credo che sia davvero un peccato che realtà come MAST e Fondazione Golinelli non si aprano maggiormente a realtà come la nostra per creare interazioni e progetti congiunti, mentre altri spazi della città sono sicuramente più disponibili a collaborare. Per la nostra ultima web serie SIE7E, dedicata alle sette arti avevamo infatti chiesto a entrambe le istituzioni la disponibilità dei loro spazi per girare alcuni episodi legati alle arti che volevamo indagare e purtroppo abbiamo avuto dei riscontri negativi.

Quali sono i tuoi luoghi preferiti della Barca?

Oltre al TRENO, al quale siamo legati moltissimo dal progetto del Festival e dai riscontri della gente che ci fermava per strada per ringraziarci di aver realizzato un’iniziativa del genere, noi amiamo molto il lungo Reno, un’area che andrebbe sicuramente valorizzata, uno spazio verde molto suggestivo dov’è ci alleniamo spesso e dove abbiamo anche lavorato con diversi artisti e allievi. Passeggiare per le vie labirintiche dei palazzi attorno al treno è sempre divertente, a volte ti ci perdi nonostante conosci da tempo la zona. E poi c’è la gelateria di via Battindarno, con il suo chioschetto sempre aperto, un piacere andarci nei giorni d’estate dopo aver sudato nella sala di lavoro.