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In Bolognina la prima biblioteca italiana degli oggetti: Antonio Beraldi racconta Leila

quartiere Bolognina

Written by Salvatore Papa il 10 March 2021
Aggiornato il 11 March 2021

Place of birth

Bologna

Place of residence

Bologna

Basterebbe far caso a quanti oggetti sotto-utilizzati ci sono in casa per comprendere l’idea semplice e necessaria di Leila: condividere ciò che non utilizziamo per consentire il prestito di tutto quello che si può evitare di comprare; e così facendo, oltre a risparmiare, si riducono gli sprechi (e quindi i rifiuti) e si promuovono le relazioni.

Il progetto della biblioteca degli oggetti arriva da Berlino e a portarlo per la prima volta in Italia – e da settembre 2020 in Bolognina in via Serra 2/GH – è stato Antonio Beraldi.

Da Leila si può prendere in prestito di tutto dallo sport agli attrezzi per la cucina e il bricolage, elettrodomestici o materiale per l’infanzia; e ci sono anche la falegnameria di quartiere e i laboratori con artigiane/i e artiste/i. Per usufruire dei servizi è necessario tesserarsi con sole 20 euro annuali (15 se studenti o rinnovi) e condividere almeno un oggetto.

Qui Antonio ci ha raccontato il come, cosa, quando e perché.

(Leila è temporaneamente chiusa per le disposizioni normative anti-Covid che regolano le zone rosse.)

 

Ciao Antonio, raccontaci innanzitutto di te.

Sono nato a Bologna, ho quarant’anni, sono un operatore sociale e un papà. Quest’ultima qualifica c’entra molto con l’essere anche il fondatore di Leila Bologna. Nel 2015, quando è nata l’idea di portare la biblioteca degli oggetti in città, eravamo in pieno delirio collettivo. Era un momento molto complesso per il mondo. Attentati terroristici stavano minando la serenità della gente e il livello di sfiducia verso chi non rientrava nei così detti “canoni occidentali” era aumentato considerevolmente. La tensione nei confronti delle diversità culturali causava, con troppa facilità, sospetti e pregiudizi. A quel punto mi sono fatto una semplice domanda: questo è il mondo in cui vorrei far crescere mia figlia?

Come nasce, quindi, Leila Bologna?

Nasce proprio come risposta alla voglia di credere di poter cambiare il mondo che mi circonda. Avevo il grande bisogno e desiderio di fare qualcosa che potesse dare un segnale. Sentivo di avere il diritto di provare fiducia nelle altre persone e il dovere di proporre qualcosa in reazione all’immobilismo che quel periodo in parte aveva portato. Quindi mi sono chiesto: perché non proporre alla città un progetto basato su un nuovo modo di vivere l’economia, che porti con sé ideali ecologisti e promuova uno stile di vista basato sulla condivisione e la fiducia? Leila porta con sé una proposta di cambio di paradigma e questo è fare cultura.

Cosa vi spinge ad andare avanti?

Mi piace ancora pensare che questo possa fare la differenza. In fondo non ci caratterizza cosa facciamo, ma come. Non lo sto evidenziando per presunzione, ma per spiegare bene come sto e stiamo portando avanti questo progetto che è assolutamente ricco di contenuti, prezioso per la città, utile strumento pratico e di coesione sociale, ma che attrae pochi capitali. La passione e la convinzione per quello che stiamo facendo e per la proposta che Leila porta con sé sono il motore vero di questo progetto.

Da dove arriva il nome?

Il nome è ripreso dal progetto nato a Berlino ormai 10 anni fa. Abbiamo deciso di mantenerlo per dare l’idea di una rete e anche con la volontà di tesserla un giorno. Ad oggi i Leila in Europa si sono triplicati rispetto al 2015, ma la contrario dell’esperienza bolognese, gli altri hanno mantenuto un profilo “caritatevole”, volto per lo più a colmare una mancanza economica. A Bologna si è invece data un’accezione più culturale e quindi trasversale. Come detto il nostro obiettivo non è solo quello di essere un utile strumento ma di rappresentare un cambiamento, un cambio di stile di vita.

Perché avete scelto di stare in Bolognina?

Diciamo che siamo stati fortunati perché è la Bolognina che ha scelto noi e non viceversa. Abbiamo partecipato ad un bando per la rigenerazione di spazi comunali e lo abbiamo vinto. È capitato a fagiolo perché la Bolognina nel nostro immaginario è un luogo in cui questi ideali prendono vita. Un luogo multietnico, vivo, solidale. Meno “inquinato” rispetto a tante altre zone della città che si sono dedicate molto al turismo rinunciando alla loro identità. La Bolognina rimane un posto genuino in cui albergano ancora tante anime e sfaccettature di una Bologna che per molti versi non c’è più.

Oltre all’utilizzo materiale, cosa si attiva attraverso la condivisione degli oggetti?

Una riflessione. Staccarsi, infatti, da un proprio oggetto non è così semplice come si crede. Tante volte ho visto euforia e brio nell’ascoltare come funziona il progetto e i temi che porta avanti, poi però quando si deve decidere cosa mettere in condivisione, arriva il momento della consapevolezza. L’attimo in cui si passa dalla bellezza dell’ideale alla concretezza dello sporcarsi le mani per realizzarlo, è un momento magico in cui vediamo il seme che marcisce per far nascere la piantina attraverso le espressioni delle persone. Siamo stati educati a raggiungere l’obbiettivo di un lavoro stabile che possa garantirci una vita stabile e un’autonomia forte per poter possedere tutto ciò di cui abbiamo bisogno e non dover chiedere mai. Ma è un’illusione. Noi abbiamo bisogno delle altre persone, non possiamo fare nulla senza entrare in relazione, collaborare, e allora perché non condividere? Così vincono tutte e tutti. Dove non arrivo io, arrivi tu e viceversa. Risparmiamo soldi, tempo, e magari ci scappano anche due chiacchiere per scoprire che possiamo arricchirci reciprocamente semplicemente con la nostra presenza ed esperienza.

Chiamarla “biblioteca” anche se non ci sono libri ha in qualche modo a che fare con una sorta di sapere contenuto negli oggetti?

A essere sinceri non l’abbiamo mai posta in questo modo, ma riflettendoci è come se questa narrazione ci sia sempre stata, come un messaggio subliminale. In effetti tutti gli oggetti contengono un sapere perché, banalmente, per usarli bisogna avere idea di come funzionino. Certo, ci sono oggetti che più o meno chiunque è in grado di utilizzare, come uno spremiagrumi, ma ce ne sono altri, invece, che molte persone non sanno manco dove mettere le mani, come una sega circolare, ad esempio. Da Leila questo aspetto è molto importante, infatti abbiamo un laboratorio/officina di quartiere, dove chi vuole può venire a fare i propri lavori fai-da-te e utilizzare gli strumenti da lavoro e lo spazio a disposizione. E nel caso in cui, invece, una persona desiderasse costruire il letto a castello per le proprie figlie, ma non sa lavorare il legno? Abbiamo pensato anche a questo: ci siamo impegnati nel progettare quello spazio come un luogo capace di accogliere laboratori, workshop e corsi di svariato genere, sia organizzati da noi che proposti da persone desiderose di trasmettere il proprio sapere, ma che non hanno un posto dove farlo. Il corso di falegnameria è uno dei nostri fiori ad occhiello, speriamo di poterlo fare non appena le condizioni lo permetteranno. Uno degli aspetti più importanti per noi è trasmettere saperi in grado di rendere le persone capaci non solo di autoprodursi ciò di cui hanno bisogno, ma anche di riparare e reinventare ciò che già hanno. Infatti il primo laboratorio che abbiamo provato ad ospitare è stato quello di cucito creativo di Benedetta Artale, dove lei avrebbe fornito le basi sartoriali necessarie per creare da sé nuovi capi di abbigliamento o reinventare vecchi vestiti, basandosi sull’idea del riciclo e del recupero dei materiali. Purtroppo non siamo ancora riusciti a farlo partire, data la situazione.

Chiamarla “biblioteca” è stata una cosa naturale, infatti per spiegare come funziona Leila il paragone con le biblioteche vere (quelle con i libri) l’abbiamo sempre fatto: “è come una biblioteca, solo che ci sono gli oggetti!”. Ci siamo affidati a questa analogia con un servizio così conosciuta e comune per spiegare un qualcosa di nuovo, che ancora in Italia non esisteva: un luogo dove poter prendere in prestito degli oggetti. Più che al sapere noi abbiamo messo l’accento sulle storie contenute negli oggetti, e le loro storie sono per forza connesse con la loro vita, no? E come vivono gli oggetti? Quando vengono usati! Perciò Leila gli àa la possibilità di vivere più a lungo, e avere più storie da raccontare. Infatti una cosa che chiediamo spesso a chi prende in prestito uno o più oggetti è di mandarci delle foto durante il loro utilizzo, assieme a un piccolo testo in cui raccontano, appunto, la loro storia e quindi, inevitabilmente, anche quella dell’oggetto.

Chi sono generalmente i vostri tesserati e quali sono gli oggetti più richiesti?

Le persone che si sono tesserate da noi sono molto diverse fra loro, in realtà. Certo, condividono tutte la stessa sensibilità, ma, come dire, il target è piuttosto variabile. Se dobbiamo ragionare per categorie direi che c’è un giusto equilibrio tra studenti e studentesse, chi ha un’associazione o un’attività, persone con la passione per il mondo dell’outdoor, ma credo che la percentuale più alta sia costituita da madri e padri di famiglia.
L’oggetto in assoluto più richiesto è il videoproiettore, anche il trapano/avvitatore ha dei numeri niente male. Però gli oggetti per attività outdoor e quelli per bambini e bambine sono, in media, quelli più utilizzati.

Siete un’ulteriore dimostrazione che economia ed ecologia vanno di pari passo. Il nesso per rendere efficaci queste due cose però è la cultura, perché?

Perché è dalla cultura che nascono e prendono forma l’economia e l’ecologia. Mi spiego. Fino a una decina di anni fa i discorsi ambientalisti erano generalmente recepiti come delle argomentazioni naïf, da hippie fumatori di canne a tradimento, no? Facciamo un esempio: la raccolta differenziata. Ora se non la fai sei comunemente considerato una persona senza buon senso. Ma da quanto tempo è così? Non molto tempo fa chi proponeva questo genere di comportamenti e discorsi non veniva preso con la stessa considerazione di adesso. Cos’è cambiato? Si è sviluppata una consapevolezza collettiva data da un consolidamento di alcune pratiche e processi culturali, per cui adesso è normale ciò che prima era strano. Va da sé che l’economia segue la domanda, quindi se la maggior parte delle persone esprime un bisogno, il sistema economico non si lascia scappare la possibilità di soddisfarlo, ecco che si parla di green economy ed economia circolare, ma basta vedere come sono cambiate le pubblicità delle auto: ora sono praticamente tutte ibride. Per non parlare del discorso alimentare, di come il biologico è ormai divenuto non solo normale, ma anche di moda. Il biologico e le auto elettriche risolveranno i nostri problemi? Sinceramente non credo, basta informarsi per scoprire tante cose che fanno storcere il naso abbondantemente, però non si può negare che la direzione che si sta cercando di prendere vada verso un atteggiamento più attento alle questioni ecologiche e ambientali, e questo è innegabilmente un buon risultato.

Secondo noi il cambiamento più potente è quello culturale, quello che parte dal basso, da poche persone, poi con tutto il tempo di cui ha bisogno si allarga e prende sempre più piede, fino a quando, senza nemmeno rendertene bene conto, ciò che prima non veniva nemmeno considerato ecco che diviene scontato.

Com’è il vostro rapporto col vicinato?

Ci pare buono. Non abbiamo ancora sperimentato a pieno e non abbiamo ancora trovato il nostro ruolo per il periodo che stiamo affrontando, ma sono tantissime le persone che si sono fermate durante i lavori di ristrutturazione incuriosite a chiedere cosa stessimo facendo e questo avviene ancora oggi appena alziamo la serranda. Sono già nate alcune collaborazioni con realtà della Bolognina e speriamo di andare avanti così, anzi ancora di più.

Quali sono i tuoi luoghi preferiti della Bolognina?

Ho molti ricordi legati all’XM24. Anni fa mi ero “dedicato” alla mungitura di una mucca in un’azienda agricola dove ero andato a vivere per un po’. Facevamo il formaggio a mano, poi al giovedì scendevo a Bologna per vendere i prodotti. Un periodo bellissimo soprattutto per l’atmosfera che si respirava in quel posto così particolare e ricco.
Per il resto ho nel cuore scorci davvero affascinanti come il mercato di via Albani, il Parco della Zucca e ovviamente il DLF con i campetti da calcetto, l’Arena Puccini e il Locomotiv.

In un quartiere che cambia così in fretta che ruolo sentite di avere?

La nostra aspirazione è che Leila diventi un luogo di aggregazione sociale vissuto spontaneamente dalle persone, dove chiunque si senta come se fosse un po’ a casa. Un luogo dove ci si può incontrare e conoscere senza avere come fine ultimo quello di consumare qualcosa, dove anzi si condividano esperienze, sogni, aspirazioni, progetti, saperi (e oggetti, ovvio!).