Ogni disco di Kaos è l’ultimo disco: l’ultimo match contro il nemico, l’ultima gara di resistenza, uscire tra gli applausi e poi basta. Almeno in teoria. Nella pratica è sempre lì. Il copione si ripete inalterato da quando ho memoria. Non l’ultima volta: nuovo album uscito in sordina, nessun proclama apocalittico, repentino più di una stilettata a tradimento. Un colpo di teatro, più che un Coup de Grâce. Resta il titolo (come sempre) mortifero, poco importa: al lupo al lupo non è il centro del discorso, il fulcro del problema, non lo è mai stato.
Alla menata dell’ultimo disco non crede più nessuno, nemmeno lui, era ora e meno male: con Neffa da mo’ in altre faccende affaccendato, Deda in silenzio dal 2000 (ma attivo più che mai dietro ai piatti come Katzuma, ora pure con Okè), la resistenza fiaccata, decimata, la “nuova scuola” nel migliore dei casi una barzelletta triste, oltre all’immortale Gruff a tenere viva questa fiamma sono rimasti lui e Noyz Narcos. È la sua cosa, il rap il suo elemento, Kaos sempre sulle mappe a fare quel che sa. Con un microfono collegato alle casse resta la cosa più viscerale sia mai successa all’hip hop con le rime in italiano; dal vivo un flusso di coscienza spietato, inarrestabile, un’unica ininterrotta seduta psicanalitica dove decenni di militanza, storia personale, lacrime sudore e rabbia vengono ipercompressi fino a rendere il tempo una variabile da plasmare.
Scritto da Matteo Cortesi