«Play this music loud». Qualcuno ricorderà questa “raccomandazione” a girare la manopola a volume massimo impressa nelle note di alcuni dischi usciti tra Ottanta e Novanta. Musiche tutt’altro che noise, ma la cui ricchezza di sfumature necessitava un ascolto importante e imponente per coglierne tutti i dettagli. Fu il caso (anche) di “Disintegration” dei Cure, che in termini di grande trasporto emotivo del suono, di immaginario costruito attraverso la musica e le grandi melodie, anche prescindendo dai testi, e di quantità di dettagli e stratificazioni tra chitarre e sintetizzatori, ha più di qualcosa in comune con l’ultimo, e ancora una volta bellissimo, album di Alessandro Cortini, “Volume Massimo” – che poi Robert Smith e soci siano stati recentemente introdotti alla Hall of Fame da Trent Reznor è ovviamente solo un caso.
Sebbene non nasconda mai la sua passione primaria per il rock, sebbene la sua musica abbia una grande componente melanconica e il precedente “Avanti” fosse una sorta di hauntology personale, Alessandro Cortini non è un artista nostalgico. A parte il suo cv incredibile dalle mille collaborazioni – dai NIN a Lawrence English, da Merzbow alla musica per i commercial – la sua grandezza sta nella capacità di far parlare i sintetizzatori, possibilmente vintage o modulari. In “Volume Massimo” li fa addirittura urlare, dialogare con la chitarra, scoperchiare scatole interiori – stavolta anche quelle degli altri – chiuse da anni. Una narrazione emotiva che lo vede “esordire” su Mute – per dirla con NME, questo disco potrebbe essere una sorta di Suzanne Ciani plays Depeche Mode (a tratti via Carpenter) – a cui si aggiunge la solita componente visiva, tangibile durante l’ascolto, disarmante durante i live, che supera ancora una volta ogni riferimento col passato. Che poi, a giudicare dal suo profilo Instagram, lontano dal palco sia un tipo tutto gatti e i ragazzi di MAGMA non possono che farcelo stare ancora più simpatico.
Scritto da Chiara Colli