KAS è una mostra collettiva di natura performativa che costituisce il terzo episodio di “Trilogia anti-moderna”, ciclo di esposizioni che Centrale Fies dedica da alcuni anni alla relazione tra gli oggetti e le loro attivazioni, rivalorizzando forme di sapere (affettivo, somatico, visuale) censurate o soppresse dalla modernità sesso-coloniale occidentale.
Dopo la mostra collettiva “Storia Notturna” (2020) dedicata all’esplorazione di prassi di stregoneria performativa e la bi-personale di Josefa Ntjam e Joar Nango (2021) impegnata nella decostruzione del concetto eurocentrico di genealogia e delle versioni orientalizzanti e depoliticizzate dell’idea di indigeneità, KAS riflette insieme ad un gruppo di artisti e artiste internazionali sulla funzione di topoi mitologici e della fabbricazione collettiva immagini di “urbanità primigenie” nei processi fondativi delle “comunità immaginate”.
Il titolo prende infatti le mosse da Kas, un città premoderna che sarebbe esistita nel sito di Fies prima della grande frana che creò nella preistoria il biotopo delle Marocche e testimoniata dal ritrovamento di un laterizio – sulla cui “veridicità” e “autenticità” gli storici ancora dibattono – e tenuta viva da fabulazioni popolari e dalla produzione pittorica del farmacista locale Alfeno Liboni.
Kas diventerà il punto di partenza di artiste ed artisti per articolare una serie di questioni sociopolitiche che sottendono a tali immaginari, spesso considerati innocui, ma in realtà innervati da forme di lotta critica nei confronti di architetture oppressive: archeologia e orografia speculativa come fonte di legittimazione dei nazionalismi o la loro ri-appropriazione funzionale in funzione anti-nazionalistica; violenza simbolica e materiale dei processi di fondazione nonché della loro trasmissione e riproduzione attraverso archivi materiali e visuali o attraverso nozioni egemoniche di patrimonio e eredità culturale; l’artificialità del tempo della storia e della sua tripartizione in passato, presente e futuro; l’affermatività della nozioni speculative di futurità e catastrofe; la riforma del concetto artificiale di “oggettività” e le possibilità della sua erosione.
Come le altre due mostre della triologia, KAS avrà una durata “statica” di due mesi e sarà attivata con un ciclo di performance in occasione di Live Works Summit 2022.
Nel giorno di apertura, il 26 maggio, e in quelli successivi, è possibile anche visitare la mostra personale di Binta Diaw, dal titolo The Land of Our Birth is a Woman, che racconta delle relazioni ancestrali tra natura e corpi femminili. La ricerca plastica di Binta Diaw fa parte di una riflessione filosofica sui fenomeni sociali che definiscono il nostro mondo contemporaneo come la migrazione, la nozione di appartenenza o la questione di genere, attraverso corpo e spazialità. Alimentando la sua ricerca attraverso contributi sull’intersezionalità e sul femminismo, Binta Diaw ci porta nell’esplorazione di molteplici livelli di identità; la sua come donna nera, in un mondo europeizzato; la nostra e quella di un continuo crocevia di storie e geografie.
Sempre giovedì 26 maggio 2022 spazio anche alle antologie performative di CollettivO CineticO, tra cui X No, non distruggeremo Centrale Fies (ore 20.15) un dispositivo coreografico interattivo che permette al pubblico di determinare i movimenti dei performer. Gli spettatori hanno a disposizione una particolare tastiera per guidare tre ragazzi bendati alla mappatura del luogo tramite una mazza da baseball. Il codice di istruzioni è basato sul sistema vettoriale ed il pubblico ha trenta minuti per decifrarlo ed apprenderlo per tentativi, osservando e gestendo le conseguenze dei comandi impartiti. Compositivo o distruttivo, timido o goliardico, passivo o ludico questo meccanismo performativo lascia emergere il carattere e le scelte di ogni assortimento di pubblico in un passaggio continuo di responsabilità tra autore, performer e spettatori.
Scritto da Redazione Venezia