Siria, 2011. Per strada cadono gli uomini che filmano la propria morte in diretta attraverso la camera di un telefono, l’unico modo per raccontare ciò che accade al mondo intero. A oltre dieci anni dal suo debutto, The Pixelated Revolution è ancora drammaticamente attuale e coinvolgente.
Artista iconoclasta le cui opere mettono costantemente in discussione i limiti della rappresentazione, il libanese Rabih Mroué, di base a Berlino, pone l’umanità al centro del suo lavoro. Attualmente è direttore associato al Muenchner-Kammerspiele.
In questa “conferenza non accademica”, Mroué si interroga sul ruolo che hanno foto e video dei nostri cellulari nella documentazione della storia contemporanea, muovendosi tra arti visive, teatro e storia. In Siria nel 2011 migliaia di manifestanti pacifici armati di macchina fotografica o di cellulare, contrari al regime soffocante di Bashar Al-Assad, irrompono nelle strade. Nel caos, al volo, registrano l’evento stesso che stanno creando. In un attimo queste immagini appaiono su Internet, si diffondono in maniera massiccia, rivelando al mondo intero i tumulti della resistenza politica oltre che digitale. Poi la situazione si aggrava, la violenza si dispiega e le immagini diventano insopportabili: nel mirino dei cecchini cadono gli uomini che, fino all’ultimo momento, filmano la propria morte.
Mroué si lascia ispirare dalla visione di una clip che mostra un uomo siriano mentre riprende una scena con il suo telefono, con il fuoco delle armi che riecheggia sullo sfondo. Il video è traballante e quando l’inquadratura si ferma su un cecchino, il siriano continua la ripresa, anche se il tiratore prende la mira e gli spara. Non ha mai cercato di correre. Perché? «Perché – risponde Mroué – l’occhio vede più di quanto non sia in grado di interpretare. Forse non capisce che è testimone della propria morte. Sono molti i girati da telefono su scene di gravi ferimenti e decessi, come se la morte accadesse solo fuori dal video, come se fosse l’unico veicolo per mostrare la rivoluzione agli occhi del mondo».
Mroué definisce la rivoluzione siriana “una guerra contro l’immagine”, contrapponendo i vecchi metodi del regime di Assad (torture e soppressioni medievali) ai moderni approcci digitali e wireless dei manifestanti. Riflette inoltre sul rapporto tra l’atto di documentazione del “qui e ora” con la morte, e il modo in cui viene percepita dal resto del mondo che osserva.
Scritto da LR