Qualche anno fa, quando uscirono con l’esordio “Full Communism”, qualcuno Oltreoceano li aveva addirittura definiti «La band più rilevante d’America». E forse, anche se da qui ci sembrò esagerato, quel qualcuno aveva ragione.
I Downtown Boys sono quel genere di gruppo punk come non se ne sentivano da un pezzo, con addosso un’incazzatura che è politica, ma anche culturale, sociale e che neanche per un istante sembra costruita. In cinque – da Providence, Rhode Island, e tutti attivisti – i loro testi parlano di razzismo, capitalismo, omofobia e sono attraversati da un sax furioso che, unito alle origini sudamericane di alcuni di loro, li trasforma in una bomba latin-punk a orologeria.
Dopo l’esordio esplosivo con un titolo che parlava da sé, la band guidata dalla voce irresistibile e furente di Victoria Ruiz è tornata nel 2017 con un album ancora più arrabbiato, Cost of Living, e una serie di tour in cui hanno letteralmente ribaltato i palchi di mezza Europa. Probabilmente vi ricorderanno un incrocio tra i Pixies e gli X-Ray Spex, in realtà sarebbero la nuova band preferita di Joe Strummer. Arrivate carichissimi per il pogo.
Scritto da Chiara Colli