Il 26 agosto 2016 a Istanbul viene inaugurato il terzo ponte sul Bosforo, denominato Yavuz Sultan Selim. Più o meno nello stesso periodo ad Amsterdam il bassista Jasper Verhulst con gli amici di origine turca Erdinç Ecevit Yıldız e Merve Daşdemir danno vita al progetto Altın Gün, letteralmente “giornata d’oro”.
L’idea tanto semplice quanto geniale che li caratterizza fin dagli esordi, è quella di prendere il repertorio folk tradizionale turco e traghettarlo nel presente, se non nel futuro, con nuovi arrangiamenti a base di psichedelia, funk ed electro pop. Un abbinamento apparentemente azzardato e un po’ kitsch che invece funziona benissimo. Un ideale ponte musicale tra oriente e occidente, sul quale ballare fino all’alba di un nuovo mondo. Brani dalla chiara connotazione locale che diventano inni globali, nella migliore accezione possibile. Un crossover perfetto un po’ come succede nella bellissima miniserie “Ethos”, sempre turca, di Netflix.
Una discografia che vanta già cinque album con picchi assoluti come “Gece” (2019), non a caso nominato ai Grammy, fino all’ultimo “Ask” (2023), pieno di trovate melodiche, ritmi travolgenti e atmosfere fluttuanti e sensuali. La doppietta iniziale “Badi Sabah Olmadan” e “Su Siziyor” è un perfetto esempio delle qualità e possibilità della band. Dal vivo, in formazione a sei, riescono ad amplificare ulteriormente i propri punti di forza, trascinando il pubblico in un luogo ideale dal quale non si vorrebbe mai fuggire. Tornano in Italia e per chi non li conoscesse ma apprezza i nostrani Nu Genea o i Khruangbin, è un appuntamento da non mancare. Per i molti che c’erano e già sanno, verrà meno l’effetto sorpresa, bilanciato se non surclassato dal piacere di rivivere l’incantesimo firmato Altın Gün.
Scritto da Matteo Quinzi