Affrontare la psichedelia granitica dei Black Mountain, fatta di saliscendi hard e perlustrazioni cosmiche, è un’esperienza in bilico tra la proiezione della Montagna Sacra di Jodorowsky e un giro sulle montagne russe. Nella sua scalata verso l’Olimpo dello psych-rock contemporaneo, la band di Vancouver è tra le più dichiaratamente e consapevolmente revivaliste delle tante talentuose formazioni canadesi esplose negli ultimi dieci anni. Estetica seventies vagamente sci-fi, Led Zeppelin ma più slacker, allucinazioni da peyote e una colata lavica di riff che non lascia scampo. Il nuovo album si intitola IV, esce puntualmente su Jagjaguwar e alla produzione ha messo mano Randall Dunn dei Sunn O))). Altro giro altra corsa: gli elementi per mandare in estasi i fan e continuare a lasciare indifferenti i detrattori ci sono tutti. La variazione su tema heavy-psych con lampi elettrificati e synth astrali, rende però la pozione meno prevedibile che in passato. E il rollercoster sulla montagna nera vale il prezzo del biglietto.
Scritto da Lorenzo Yawp Giannetti