Lo spettacolo-concerto per la regia di Leonardo Manzan riscrive in chiave contemporanea uno dei classici più amati del mondo teatrale. Per riuscire nella delicata operazione di riadattamento, Manzan e Placidi mantengono il celebre triangolo amoroso Cyrano-Rossana-Cristiano che infuoca la storia di Rostand, ma utilizzano un canale che avvicini i sentimenti di passione, amicizia, tradimento alle orecchie di un pubblico moderno: il rap.

L’uso delle rime in forma di dissing e barre non ha la volontà di dissacrare i classici, ma, al contrario, è una soluzione per mantenerne la verve polemica contro la società di Rostand, un
modo per rendere nuovamente fresco e fruibile un testo di fine Ottocento. Gli aedi dei nostri tempi, i cantori che parlano della realtà che ci circonda, sono spesso i rapper, quelli che la poesia la masticano e che di fronte ai versi poetici sentono il bisogno di rispondere, non di fuggire. “Cantare, sognar sereno e gaio, libero, indipendente, aver l’occhio sicuro e la voce possente”: questo si augurava Cyrano, questo e tanto altro rivive con parole diverse, ma con medesimo sentimento, nel lavoro di Manzan.