La prima e unica volta che ho visto un live di Pop X è stato quattro anni fa al Fanfulla di Roma, per il Babafestival. Quella volta era sul palco come Re Artù – il suo “alter ego” – e devo dire che fu decisamente travolgente: iniziò il live con due cassette da frutta in testa – poi prontamente demolite via cranio – e degli occhiali con luci strobo, a cui si aggiungevano bidoni suonati a mo’ di percussioni, elementi di abbigliamento alpino e altre cose fuori di testa. Musicalmente, una cosa pazza a metà tra l’happy hardcore e Raoul Casadei, che comunque faceva intuire una certa padronanza della materia musica e un’inclinazione per il pop (elettronico) d’autore, in cui suonavano bene anche cori da osteria come “One, two, tre, tira for l’osè(l)”. Tutto questo veniva consegnato alla dimensione della riproducibilità attraverso le varie piattaforme web musicali e dei video sempre calibrati tra follia istintiva e genio ragionato. Trasferire questo mondo su album è un processo che invece si può ipotizzare essere complicato: magari fai un greatest hits dei brani vecchi con qualche cosa nuova (e a questo ci ha pensato I Dischi Di Plastica nel 2015), o magari decidi di fare qualcosa di diverso, ancor più vicino al (synth) pop d’autore, piallando le asperità. Per me con Lesbianitj si è verificato il caso b – vedi la vecchia Io Centro Con I Missili, messa a confronto con la nuova Sparami – e Pop X ha perso molto di quello che di lui mi era piaciuto. Tra poco esce il nuovo “Musica per Noi”: da vedere se la verve del live è rimasta immutata.