Da orgoglioso profano, ciò che mi ha sempre scandalizzato della cosiddetta performative art è che non la si può stringere in mano, né vendere o archiviare come una qualsiasi tela di Van Gogh. Niente possesso, niente collezionismo o semplice contemplazione. Che farsene allora? Tino Sehgal (passaporto inglese, residenza berlinese e studi in economia), che su questa bizzarria della performance ci ha costruito su una carriera e guadagnato un Leone d’Oro a Venezia nel 2013, spiega in un’intervista a Flash Art:
“Quello a cui sono interessato è ciò che si potrebbe definire un puro beneficio, un prodotto che è solo la trasformazione di azioni il cui luogo non è più una cosa materiale, ma i nostri corpi, nella più vasta accezione del termine”. In bella sostanza, deduco io, se l’opera d’arte come oggetto è diventata un’esperienza a cui siamo assuefatti, per la facilità con cui è possibile vedere, godere, far esperienza dell’opera (grazie ad internet, le mostre in 3D, le edizioni economiche della Taschen), quale prodotto artistico può ancora stupirci, poiché in grado di sfuggirci e quindi condurci alla sua disperata quête? Risposta: l’esperienza. Non ci resta che cercare di stringere, fermare ogni istante di memoria memorabile e collezionarne il più possibile. Così Sehgal – curato da Luca Cerizza – allestirà alle OGR una – pare straordinaria – performance, basata sul continuo movimento di uno sciame di 50 corpi, i quali interagiranno tra loro in un continuo gioco di incontri cangianti e irripetibili. Il fruitore potrà solo esserci o non esserci in quel preciso momento e cogliere l’opera nel suo esistere nell’istante stesso, prima di divenire, mutare, svanire. Rendere opere d’arte i ricordi: a pensarci bene, forse è il futuro.
Orari di apertura: lunedì – mercoledì: 7.00 – 1.00; giovedì – sabato: 7.00 – 2.00, domenica: 8.00 – 24.00.
Scritto da Angelo Manganello