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10 anni di HMCF: la storia del collettivo bolognese in quattro strade

Il 4 settembre al Parco di Villa Angeletti la grande festa nell'ambito di BologninAlive

Scritto da Collettivo HMCF il 25 agosto 2020

Foto di @nonseguirminoncapisci

Se fosse facile non sarebbe poi così bello. Lo ripetevamo in un certo periodo della nostra vita, quello dove stavamo decidendo cosa fare delle nostre vite. Il Collettivo HMCF è nato per sopperire ad alcuni rifiuti, in primis quello radiofonico, perché fin da giovanissimi adolescenti la nostra intenzione era quella di fare radio nel mito della pirateria dei contenuti eppure, forse la mancanza di sapere o la non splendida dialettica ci hanno sempre lasciato fuori da ogni emittente indipendente, per questo abbiamo deciso di crearcela da sola, la radio. E qui che però il percorso fatto di rifiuti e velleità si incontra con i luoghi. Perché alla fine ognuno di nasce per poi vivere delle strade anche quando non si è proprio coscienti.

La prima strada da cui partiamo è proprio Via Marsala, precisamente al civico 20/3 perché decidemmo di affittare un nostro spazio. Era un monolocale soppalcato, niente di che, però da lì potevamo trasmettere con microfoni, mixer luci e computer permettendoci anche di andare in video e no, non era chiaramente uno spettacolo. Via Marsala 10 anni fa era una strada diversa di quella che è divenuta, dopo una certa ora si isolava particolarmente e noi finivamo spesso a mangiare pollo fritto in un esercizio commerciale che da lì a poco avrebbe chiuso. Allʼepoca, senza ZTL era ancora un via vai di macchine intente a ricercare nervosamente parcheggio quando parallelamente in Vicolo DeʼFacchini, qualcuno soffriva la solitudine di una città che non lʼha mai capito.

Via Marsala 20/3

Annoverate conoscenze digitali, facendo radio indipendente per conto nostro, ci buttammo nellʼorganizzazione di concerti e trovammo come primo spazio il Blogos in quel di Casalecchio di Reno (ora Spazio Eco); ampio backstage, tecnici fantastici e grande fonte di apprendimento. Il Blogos, sorgeva a pochi passi dalla casa della conoscenza al centro del paese, ci andavamo in bus, oppure in macchina quando qualcuno finalmente riuscì a compiere la maggiore età. Partire da un luogo decentrato nella produzione di concerti resterà sempre lʼorgoglio più grande, aldilà degli artisti che spesso hanno avuto un discreto successo. Casalecchio era scendere con lʼautobus e raggiungere a piedi il luogo dove avremo trascorso la giornata. Casalecchio è sempre stata la California Bolognese o almeno così lʼabbiamo sempre ironicamente vista, vuoi per il Lido ma soprattutto per quel gran traffico di auto costose di nostri coetanei che credevano di vivere in una piccola Orange County.

Blogos

Terminata lʼesperienza biennale al Blogos ci spostammo nel centro storico. In Arterìa. Domenico (meglio conosciuto come Mimmo) ci faceva una gran paura. Tipo tosto di poche parole e come un perfetto Batman aveva il suo Robin in Guglielmo, ora al Mikasa come fonico. Vicolo Broglio non era male. Al tempo, Via San Vitale aveva davvero una miriade di persone fare avanti e indietro, spostandosi da un locale allʼaltro ma grosse problematiche non cʼerano. Una convivenza tra esercizi commerciali assai complicata, che si manteneva su un filo sottilissimo però, per quel periodo durato quasi 3 anni, ha funzionato, nonostante un lento e fisiologico declino dettato anche da politiche discutibili sul centro storico. Arterìa è stata casa e famiglia per oltre 200 concerti. Due volte a settimana, a volte tre, in quello che era divenuto un vero e proprio lavoro e che forse, più di così, per davvero non poteva dare. Cʼè stato il coraggio di investire in un lavoro duraturo, premiando soprattutto il contenitore e mai lʼospite. Portare un pubblico, che allʼepoca era una nicchia in espansione a prendersi quelle due ore a settimana per passare a vedere un concerto a ingresso gratuito. Non era importante chi suonasse, era importante esserci e supportare. È stato bello. Il centro sembrava Chicago e poi tutto è andato a rotoli con le varie multe, chiusure e guerre fratricide tra locali che non ci potevano riguardare.

Arteria

La fortuna però ci portò a lavorare internamente ad alcuni progetti musicali. Non solo a concerti. Crescevamo noi e molti ragazzi che suonavano. Da qui un giorno di 5 anni fa finimmo al Covo Club con uno dei nostri artisti. Fu bellissimo, fu sold-out, fu una grande festa. Qualcuno di noi prese pure uno schiaffo in faccia ma lʼidea di poter collaborare con il Covo Club era, sicuramente, un piccolo punto dʼarrivo. Daniele e Gnappo furono i nostri primi ambasciatori, vedendo giovani randagi con una grande voglia di fare. Il primo concerto riducemmo il camerino a brandelli e non si incazzarono neanche, la seconda volta che tornammo lì con altri ospiti della nostra scuderia ci fu fatto capire che si poteva fare meglio della volta precedente. E da lì insomma, tuttora, sarà che con Marco e James ormai siamo una famiglia allargata, ma quello è il nostro luogo dʼarrivo ma anche punto di partenza per ambiziose idee che magari non prenderanno mai forma, ma no, il movimento diciamo, non è fermo, nonostante il periodo storico. E poi San Donato è cambiata, ma San Donato è sempre il posto migliore della città anche se mentre lo diciamo qualcuno ci sta prendendo già per il culo.

Covo Club

Di luoghi, strade e parole, i percorsi sono fatti. La nostra città avrebbe tanti altri personalissimi spazi da poter raccontare che ci hanno accompagnati ad esempio OFF Bologna in via Testoni, dove Alessio ogni giovedì sera decideva di darci spazio per portare dei contenuti quantomeno bizzarri, però per concludere è doveroso citarne un altro in particolare che non fa parte di nessuna storia professionale e anzi, penso che se lo ricordino in poco più di cento ragazzi ora di età compresa tra i 25 e i 30 anni. Con le nostre paghette e qualche piccola entrata economica derivata da microsponsor squallidi, non riuscivamo più a mantenere il nostro monolocale di Via Marsala. Facemmo collette tra tutti gli speaker assoldati, ma le spese erano piuttosto alte considerando che molti di noi stavano per cambiare città e pagare altri affitti e non sarebbero stati presenti. Venne fuori un debito di un paio di mensilità, nulla più, però aveva una scadenza il tutto, altrimenti si andava fuori e addio sogni velleità ambizioni e quelle cazzate li. Allʼepoca seguivamo molto la scena rap quella meno integralista (Ghemon, Mecna ndr.) e decidemmo di organizzare un concerto allʼinterno di un appartamento seminterrato di fronte allʼospedale Maggiore. Il posto era bellissimo, i dottori passavano da lì finito il proprio turno e cʼerano svariate stanze, quello che accadeva non può essere di dominio pubblico altrimenti perdiamo la possibilità di curarci negli ospedali della nostra città. Venne fuori un concerto abusivo in salsa rap molto delicato, con un impianto rivedibile e molti ragazzi piuttosto contenti di aver conosciuto il prossimo futuro beniamino. Mangiammo una pizza fredda, prendemmo i soldi e festeggiammo. In quel posto non ci abbiamo più messo piede, ma ogni volta che si passa da lì, qualcuno ancora sorride. Servono luoghi per rimanere vivi, necessari per scrivere parole, fondamentali per raccontare storie. E la nostra è anche di queste strade.