Questa mattina Bologna si è svegliata con un nuovo spazio occupato. Si tratta di una palazzina presente in via della Certosa 35, adiacente a un ex vivaio dismesso da molti anni (quello che si vede attraversando la ciclabile che porta alla Certosa e che è costeggiato da un canale) e risoprannominata per questo Vivaia TFQ.
Il gruppo occupante è composta da “donne, frocie, persone queer transfemministe” e “attraversabile da tutt*, anche da maschi eterocis”.
La palazzina fa parte di un’operazione di perequazione urbanistica messa in atto dal Comune nel 2019 quando la società EDILBO cedette all’Amministrazione l’area verde dell’ex vivaio Gabrielli posta tra le vie della Certosa e delle Tofane a fronte del permesso per la società di costruire “nel lotto contiguo di proprietà della medesima e l’eventuale incremento volumetrico del 10%” per “abitazioni singole permanenti e temporanee, bed and breakfast, affittacamere“.
“In una città in cui la speculazione sugli affitti, in particolare affitti brevi, – scrive il gruppo occupante in un lungo post/manifesto – compromette il quotidiano di molt* in un costante impoverimento collettivo, abbiamo deciso appena sarà possibile di rendere questa occupazione anche abitativa”.
“Siamo entrat* oggi in questo spazio – affermano – abbandonato all’incuria da anni per restituire alla città un luogo di incontro, mutualismo, condivisione di saperi e socialità slegata dalle logiche del consumo e della produttività. Abbiamo aperto questo spazio perché nel presente complesso che viviamo essere transfemminist*, froc*, pover*, migranti, persone razzializzate, persone con disabilità, in generale soggettività dissidenti è sempre più difficile, soprattutto in questa città guidata da tempo da logiche di pink-, green- e rainbowashing che strumentalizzano le nostre vite e le nostre lotte. Per questo vogliamo costruirlo e autogestirlo insieme a persone come noi, che ne vivono le difficoltà e le contraddizioni. […] Siamo transfemministe queer, antifasciste, anticapitaliste, antirazziste, antiabiliste e antiproibizioniste. Vogliamo costruire una consultoria autogestita, laboratori popolari grautiti, spazi per crescere insieme tra bambin*, anzian* e persone di tutte le età, una cucina e un bar popolari, momenti d’incontro e tanto altro: ciò che ci preme è poter pensare insieme a come abitare il quartiere e come dare vita, tutt* insieme, alle attività che vogliamo. […] Vogliamo stare in relazione con questo luogo, sottraendoci alle dinamiche di sfruttamento della biodiversità e consapevoli dei danni che la gentrificazione e la retorica della riqualificazione hanno portato anche alle aree verdi. Quando pensiamo a un luogo di cura, libertà e rigenerazione per tutt*, lo pensiamo anche affianco agli animali non umani e alla vegetazione che ci circonda, che come noi stanno subendo nell’indifferenza la cementificazione brutale della città e in generale le pesanti conseguenze del cambiamento climatico.[…] Nell’ultimo decennio abbiamo visto un inasprimento repressivo che ha sottratto alla città socialità, possibilità di incontro, luoghi di elaborazione di sapere critico collettivo, spazi di mutualismo e resistenza. Un tentativo di riassetto urbano progettato meticolosamente negli anni. Dal 2016 in poi abbiamo assistito al crescente protagonismo della Fondazione Innovazione Urbana, incaricata formalmente di progettare e orientare i cosiddetti percorsi collaborativi, diventando il baluardo progressista del governo della città.[…] Rifiutiamo questa “finta partecipazione” richiesta dall’alto, rilanciando un’autogestione dal basso, fatta di cura, ascolto, sperimentazione e orizzontalità. Non vogliamo erogare servizi in maniera assistenziale, ma costruire e condividere strumenti, eventi e attività che rispondano ai nostri bisogni e a quelli di chi ci circonda”.
Questo il programma dei primi tre giorni: