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Cinque anni di desiderio: la storia del primo TPO nella trascrizione del documentario di Massimo Carozzi

quartiere Zona Universitaria

Scritto da Massimo Carozzi il 30 novembre 2021

Bologna 1988 -2000

Nel novembre del 1995 un gruppo di lavoratori dello spettacolo, di artisti e di studenti occupa gli spazi del Teatro dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nasce così la vicenda del Teatro Polivalente Occupato di Via Irnerio a Bologna.
Nell’arco di cinque anni lo spazio si apre alla città divenendo uno dei luoghi di aggregazione culturale più rilevanti a livello nazionale, ospitando le principali compagnie del teatro di ricerca degli anni ’90, proponendo concerti Jazz e di musica sperimentale, organizzando i primi rave e divenendo in breve tempo un luogo di sperimentazione politica ed esistenziale per la generazione che vedrà soffocare le proprie istanze nelle giornate di Genova 2001.
In questi cinque anni gli occupanti sperimentano modalità di autoformazione e di creazione artistica alternativa al circuito ufficiale. La programmazione del teatro diventa un’occasione per ripensare il rapporto tra arte e politica, per costruire e definire il proprio ruolo di lavoratori nella società e ripensare modalità di interazione fra gli artisti e il corpo sociale.

La storia è stata raccontata nel documentario audio Cinque anni di desiderio curato da Massimo Carozzi andato in onda a puntate su Radio Tre, all’interno della trasmissione Tresoldi. Il lavoro, realizzato con la collaborazione di Agnese Cornelio e il contributo editoriale degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, torna qui su ZERO in forma scritta per lasciare un ulteriore traccia di quei primi cinque incredibili anni.


Cinque anni di desiderio

di Massimo Carozzi
con la collaborazione di Agnese Cornelio
e il contributo editoriale di un gruppo di studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna


I. La conquista dello spazio

Ascolta “La conquista dello spazio” su Spreaker.

Andrea
Sono passati quanti? 24 anni?
E ricordarsi quello che è successo 24 anni fa non è facile.
Perché succedevano tante cose negli anni ’90 a Bologna.
Io facevo parte all’epoca di un collettivo teatrale: Teatro Situazionuatico Luther Blissett.
Facevamo parte, come gruppo teatrale, di un movimento più ampio, quello appunto di Luther Blisset, un nome collettivo che usavamo per diverse operazioni di quella che all’epoca chiamavamo “guerriglia mediatica”.

Luther Blisset

Archivio – Recycle & Radio Blissett (RCF 97.9)–Phychick A.T.A.C.
Traccia audio contenuta nel CD Luther Blissett – The Open Pop Star (1999)
Allora sono Luther
Che fate?
Noi siamo qui. C’é un poliziotto che sta aggredendo Luther! C’è un poliziotto che sta aggredendo più Luther! Ha una pistola, fate sentire alla radio, dite che è andato in diretta!
Allora la polizia ha sparato due colpi di pistola quando dei ragazzi hanno preso l’autobus senza pagare il biglietto!

Andrea
Luther Blisset è un calciatore inglese anche abbastanza mediocre, il cui nome viene preso da un intero movimento, dove tutti gli appartenenti si chiamano nella stessa maniera. E firmano le loro azioni – che siano testi, bufale mediatiche, consegne di pizze a domicilio – con il nome di Luther Blissett.
Noi eravamo la parte che faceva teatro all’interno di questo movimento.
Le nostre azioni erano tutte nello spazio pubblico, nelle strade, nelle piazze.
L’idea era quella di costruire una prospettiva diversa con la quale fare esperienza di un luogo della città: trasformare un angolo in un luogo incredibile, dove succedevano delle cose uniche in quel momento.
Delle visioni.

Archivio – documentazione video di prove del Teatro Situazionautico Luther Blissett 1995
… l’oggetto base per questo colore è questo, cazzo, il movimento base è questo, così verrebbe un lavoro stupendo.
Però si può fare, per farlo in piazza, per farlo all’aperto…

Andrea
Per cui come gruppo teatrale che faceva soprattutto azione nello spazio pubblico – cercando di tenere insieme la pratica artistica e teatrale con l’attivismo politico – a un certo punto ci siamo trovati a organizzare direttamente noi un movimento cittadino: i Teatranti Occupanti.

Archivio – documentazione video di una assemblea dei Teatranti Occupanti (1995)
… Allora dai, organizziamoci! Organizzazione ragazzi!

Anna
Ovvero, noi avevamo bisogno di spazi.
Per provare e per fare dei test spaziali.
E questo era un problema che era comune a tutta la nostra generazione.
Eravamo delle persone che stavano decidendo che il teatro era qualcosa che andava sperimentato fuori dalle istituzioni teatrali, dalle quali peraltro eravamo comunque esclusi.
Quindi, parlando con altre giovani compagnie, ci siamo resi conto che questo problema era un problema comune, e avevamo voglia di risolverlo in maniera collettiva.

Archivio – documentazione video di un’assemblea dei Teatranti Occupanti (1995)
Otto
.. affinché lo spazio venga assegnato ai gruppi teatrali che lo hanno occupato…

Nina e Anna

Nina
I gruppi erano: Teatro Situazionautico, Amorevole Compagnia Pneumatica, Amadossalto, Teatro dell’Infetto, Gruppo Elettrogeno, l’Impasto.
E poi c’erano persone che facevano parte di più di un gruppo, oppure dei cani sciolti che sarebbero andati a formare altri gruppi ancora.
Più che delle compagnie erano dei collettivi, direi.

Andrea
Nel corso di circa nove mesi siamo entrati in una scuola abbandonata, in una fabbrica dismessa, dentro uffici…
e ne stavamo visitando una serie – ne abbiamo visitati veramente tanti – però senza trovare lo spazio che ci avrebbe potuto ospitare.
Non mi ricordo esattamente la soffiata da dove arrivò…

Bettina

Nina
Era una specie di insider.
Ovvero, una studentessa dell’Accademia aveva intercettato la possibilità che con un gruppo di gente esterno all’Accademia si potesse forzare questo posto che aveva delle potenzialità incredibili.
E che lei conosceva perché ci andava dentro e fuori per le lezioni.
Ma che era inutilizzato.

Bettina
Facevo l’Accademia di Belle Arti sezione scenografia e già all’ epoca mi chiedevo che cos’era lo stabile di fronte a me.
E l’insegnante di costume mi raccontò la storia di un teatro mai utilizzato.

Nina
Un teatro che non era mai diventato un teatro.

Otto

Otto
E quindi iniziammo a ragionare sul teatro di via Irnerio 45c.
E a quel punto, dopo qualche assemblea con queste compagnie, decidemmo di occupare il teatro di via Irnerio.

Elena
Stavo camminando e cazzeggiando, avevo 19 anni, quando ho incontrato un mio vecchio compagno, Davide l’anarchico.
L’ho incontrato e gli ho detto:
“ciao cosa fai?” e lui: “Stiamo andando a occupare un teatro”

Archivio – documentazione video interna TPO (1995)
Elena
.. “sto andando ad occupare un teatro, vuoi venire”
e io, “boh, sì dai, non so cosa fare”…

Elena
Al che io ho detto: “che bello, subito, arrivo” e mi sono accodata.
Abbiamo percorso via Belle Arti, e poi ci siamo ritrovati in via Irnerio.
E da via Irnerio siamo entrati dentro al teatro.

Elena

Franceschino
Entra questa orda dal portone principale dell’Accademia, io li guardo, riconosco questa ragazza e gli chiedo dove sta andando.
“Stiamo andando a prenderci il teatro dell’Accademia”
“Ok, mi unisco a voi”

Otto
Va beh, nelle occupazioni la sera prima si va a rompere la catena, perché se c’è la Polizia mentre occupi, non ti dà scasso ma ti dà solo occupazione. E quindi non ricordo chi andò, meglio tralasciare…

Riccardo
Ci dirigemmo verso una delle porte del teatro, pensando di doverla forzare.

Andrea
Da una porta dietro, che era l’accesso ai camerini.

Riccardo
Invece io diedi una spinta e si aprì da sola.

Andrea
Era aperta.

Franceschino
E ci ritrovammo lì però a mani nude: come entriamo in un posto con le inferriate e le porte chiuse?
E mi venne questa idea qui.
Cioè io nella mia ingenuità e nella mia spontaneità andai a chiedere al mio bidello preferito un seghetto per il ferro.
Lui tranquillamente me lo diede e io iniziai a segare i passanti del cancello laterale.

Andrea
Qualcuno si introdusse all’interno del teatro arrampicandosi su questa meravigliosa parete di roccia, e dalla buca di proiezione qualcuno si calò in platea con una corda

Archivio – Archivio – documentazione video interna TPO (1995)
Andrea
… Miii che bello…..

Bettina
Un po’ di persone entrarono dentro per vedere come fare perché non c’era luce e non c’era niente.
Poi entrammo dentro l’Accademia per chiamare gli studenti.
E dirgli, guardate abbiamo occupato il teatro, venite dentro.
Mi ricordo che entrammo con una maschera antigas e con il primo nostro volantino dei Teatranti Occupanti.

Riccardo
Alla nostra vista si parò questo teatro che non era stato ancora finito di costruire.
C’era ancora tutta la gettata di cemento sulla platea…
Che proprio per questo, fin da subito, suscitò un forte fascino:
era un teatro a tutti gli effetti, ma con un’aria, appunto, da cantiere.

Elena
La prima cosa che abbiamo fatto entrando dentro non è stata metterci d’accordo, non è stata fare assemblee…
ma, stupiti da quello che abbiamo trovato dentro, abbiamo cominciato a pulire.

Nina
E pulire voleva dire ammassare delle cose, cambiargli di posto, trascinarle in giro, togliere incrostazioni, buttare cose anche da cantiere proprio, lasciate là.

Elena
E abbiamo iniziato a pulire e a immaginarci cosa avremmo potuto fare lì dentro.

Archivio – documentazione video interna TPO (1995)
Andrea
Ci siamo dati una mano incredibile a fare tutto. Lo abbiamo fatto tutti insieme in questi giorni
Voce femminile
Ma questo è un atteggiamento teatrale infatti, Andrea. Cioè il protagonista è lo spettacolo. Il lavoro che metti è nell’insieme. L’individualismo è l’insieme. Non è di uno, capito? Si è visto anche dalla metodologia che avevamo.

Andrea

Elena
Abbiamo appunto iniziato a pensarci questo spazio come un teatro.
Abbiamo detto: ma chiamiamolo Teatro Polivalente!
E l’intenzione era proprio quella di staccarci completamente dall’immaginario anni ’80, quello del centro sociale.

Anna
Ovviamente noi facevamo parte di una cultura che è la cultura dell’Autonomia.
Autonomia di spazi ma anche dei mezzi di produzione.
Ovvero creare le condizioni giuste e libere per poter fare il proprio lavoro, e quindi creare delle belle sovrapposizioni tra vita, lavoro, desiderio, spazio di creazione, spazio di invenzione, relazione.
E fare di tutto questo un universo politico.

Archivio – documentazione video di uno spettacolo di Amorevole Compagnia Pneumatica (1996)
Riccardo
Lo specifico campo magnetico di ciascun oggetto. È la nuova frontiera della realtà virtuale.
Faremo un sacco di soldi.

Riccardo
Noi occupiamo, stiamo lì 3 giorni, e poi decidiamo di lasciare tutto agli studenti dell’Accademia, che erano disposti a fare autogestione.

Franceschino
Non sapevo assolutamente niente, non ero collegato ai Teatranti Occupanti.
Scoprii lì che era un’occupazione mirata, una “tre giorni” di rappresentazioni, performance…
Infatti doveva essere un’occupazione temporanea di tre giorni.

Andrea
I Teatranti aprirono il posto, e poi…
non mi ricordo le ragioni esattamente…
non eravamo soddisfatti dello spazio…
non si voleva un teatro…non si volevano la platea e il palco…
si voleva uno spazio aperto…
Perché poi, insomma, il posto lo volevamo preciso…
E ci fu questo atto di consegna dello spazio – preso in custodia, da parte degli occupanti – a un’assemblea cittadina che in quei giorni si attivò all’interno dello spazio.
E per cui a portare avanti poi l’occupazione furono tantissime persone arrivate da dovunque: una decina di studenti dell’Accademia, vari pezzi di movimento bolognese, artisti, cani sciolti, sperimentatori folli, ubriaconi, tecnici.
Perché quello che successe e uscì fuori dai lavori di questa assemblea è che l’unica cosa di senso che ci sembrava giusto fare, era fare un teatro.

Riccardo
Sarà la produzione di desiderio a regolare nel futuro più prossimo la produzione dell’economia e del teatro.
Oggi il teatro è un mercato chiuso su se stesso, autoreferenziale, rivolto a una parte minuscola del corpo sociale.
Nel futuro già in atto invece, il teatro non avrà paura di straripare dagli attuali confini, di uscire da sé stesso, di contaminare e contaminarsi con altri media e linguaggi, compresi quelli del consumo di massa, in modo da verificare confronti con quelle fasce della popolazione che a teatro non vanno.
Ogni teatrante deve avere la possibilità di confrontarsi con il pubblico.
Nessun addetto ai lavori potrà avere il diritto di discriminare sulla qualità artistica del lavoro altrui.
Se giudizio dovrà esserci, riguarderà la capacità di creare interazione continuativa, concatenamenti con il territorio, con l’ambiente socioculturale nel quale si opera.
Il teatro secondo noi sarà presto abbastanza saturo di desiderio, di potenza autoaffermativa, che non ci sarà più tempo per atteggiamenti difensivi o resistenzialisti.
Il teatro può trovare il coraggio di eseguire gesti sacri ovunque, dall’ipermercato al cyberspazio.

Riccardo

II. Occupare per lavorare

Ascolta “Occupare per lavorare” su Spreaker.
Giangi
È come se a un certo punto noi usciamo dagli anni ’80.
Gli anni 80 per un pezzo significativo della nostra generazione sono stati eroina, sono stati l’oppressione della provincia e per noi venire a Bologna, venire a Milano, andare a Roma… – noi intendo 17enni, 18enni, 20enni – è stata una liberazione, un’esplosione di energia.
Bam.
Un’esplosione.

Giangi

Archivio – documentazione convegno spazi sociali occupati (1996)
Marco Morri
Un posto rimasto abbandonato, in pieno centro, nella zona universitaria, a fianco all’Accademia di Belle Arti, che dall’anno scorso, dal 6 novembre è stato occupato da cinque gruppi teatrali

Elena
Mi si è aperta la testa, perché avevo uno spazio vuoto da poter inventare completamente e riempire, che però era un teatro.
Cioè, era molto chiaro, c’era un palco, i pavimenti di marmo e i muri di legno. C’era il soffitto tutto in legno, quindi l’acustica era molto buona.

Andrea
Dopo i primi giorni, da quella settimana di occupazione iniziò un percorso per attrezzare lo spazio.
Per cui si fece il graticcio, si mise a posto la platea, si costruì un bancone del bar, si rifecero tutti i camerini, il sottopalco divenne un’altra sala di incontro e di ascolto di musica.

Mario
C’erano tantissimi ragazzi che stavano costruendo e stavano pulendo tutto lo stabile. Vedevo che stavano usando materiali e attrezzi di qualsiasi tipologia, ferro, legno, viti.
Non avevano dimestichezza. Notai che la maggior parte erano tutti studenti.
Io venivo dal lavoro, facevo il restauratore di mobili antichi e gli chiesi se potevo partecipare a questo gruppo di lavoro.

Mario

Archivio – documentazione interna TPO (1996)
DJ Zeta
Diciamo che sono arrivato qua all’inizio e mi sono appassionato subito a questo gruppo di lavoro. All’interno c’è un nucleo fisso di ragazzi che lavorano. Io vedo almeno sempre quelli. Comunque sia mi piacerebbe vedere sfruttare bene questo spazio che gode di un’acustica perfetta. Io vengo, in qualità di DJ Zeta, mi diverto. Il genere che faccio è generalmente Black Music e affini. A parte questo io vengo anche volentieri come utente.

Dj Zeta

Bettina
È chiaro che c’era bisogno di un incontro settimanale.
In questa assemblea settimanale si mettevano insieme dei punti di discussione.
C’erano le proposte, che si riuscivano ad accettare o meno; c’erano i punti su come portare avanti i vari lavori all’interno del teatro, e quindi la divisione dei compiti.
Anche se all’inizio eravamo sempre in quattro gatti, come in tutte le situazioni.

Archivio – documentazione video assemblea Teatranti Occupanti (1996)
Riccardo
Le porte – stavamo dicendo prima – abbiamo cambiato le serrature e lasciamo quelle. Primo, finché non sappiamo se restiamo, poi perché hanno ancora la roba dentro e sarebbe bene che arriviamo a un buon accordo per quanto riguarda il materiale che abbiamo là dentro, e quindi lasciamole adesso le serrature
Voce femminile
Si può provare
Riccardo
Proviamo però dobbiamo andare al Comune…

Elena
Lo spazio era piccolo e di conseguenza a gestirlo eravamo in pochi.
Sembra assurdo ma le assemblee prendono forma in base alla forma dello spazio, quindi più lo spazio è articolato e grande, più si fermeranno dei gruppi.

Archivio – documentazione video interna TPO (1996)
Elena
Archivio video, archivio audio, camera oscura, sapranno se c’è tutto, montaggio video…
Bettina
Montaggio video chi?

Andrea
Distinguemmo tra una assemblea di gestione, programmazione, turni, ecc, da una più di discussione generale e di indirizzo.

Meco
In quegli anni tutti i centri sociali avevano una doppia fase dell’assemblea: una fase in cui accoglievi, ascoltavi le proposte esterne e una fase in cui il collettivo di gestione poi valutava.
In alcuni spazi le cose venivano valutate insieme, in altri spazi chi era esterno poi usciva e chi era interno decideva.

Elena
Eravamo super operativi.
Poca fuffa e poca voglia di essere manieristi del discorso.
A parte qualche soggetto – che ogni tanto c’era – che gli piaceva proprio arrotolare la lingua.

Riccardo
Il meccanismo così informale dell’assemblea lasciava spazio ad elementi di gerarchia di ordine diverso, nel senso che si imponeva chi aveva più carisma.

Anna
C’erano delle persone estremamente carismatiche con una capacità retorica altissima, che potevano parlare in maniera anche molto avvincente e persone che avevano delle cose da dire ma che erano molto timide e quindi non prendevano la parola in pubblico.
Ecco noi eravamo completamente inesperti e sprovveduti rispetto a come far circolare, come distribuire la parola in modo più giusto, più orizzontale, come insomma creare un modo di gestire la circolazione della parola interna.

Bettina
Ogni tanto si sentiva qualche cane abbaiare…
C’è stato un momento in cui ci siamo chiesti: “che cosa proponiamo al pubblico?”.
Allora ognuno di noi chiaramente aveva delle idee.
Per esempio portare un certo tipo di musica che era solitamente veicolata negli spazi più istituzionali – sia per una questione di soldi, che per una questione anche tecnica – che è stata quella del jazz no?
Perché di solito certa musica si può ascoltare solo in determinati spazi.
E lì io in primis mi sono messa in gioco, ho imparato a produrre e a organizzare un concerto, a conoscere musica nuova.
C’era solo la passione.
E un gruppo forte di persone motivate insieme a me che hanno permesso questo.

Giangi
Mi piaceva, andavo a farmi dei concerti, andavo a bere, andavo a chiacchierare con dei compagni, con delle persone…
Ho visto i cani dei punkabbestia stare zitti di fronte ai tamburi di Trilok Gurtu, persino i cani stavano zitti.

Andrea
E poi abbiamo potuto fare di tutto e abbiamo fatto di tutto.
Da Enzo Iannacci ai danzatori sufi rotanti di Konya… Mutoid Waste Company, Monica Francia, i Motus, Masque Teatro, Ron Athey, Steve Lacy, il seminario di Fantascienza e Utopia, Steve Coleman, i primi rave degli anni 90…nessuno sapeva che cavolo fosse un rave.

Bettina
Diciamo che inizialmente come ogni spazio occupato e soprattutto quando giustamente tu apri le porte a tutti, tu devi costruire, costruire un concetto e dare una via, no?
Dare una forma a quello spazio.
Quindi era un conoscersi e vedere che cosa tirar fuori.

Andrea
Tutti dovevano fare qualcosa.
Ma non perché ce lo eravamo detto o era un obbligo, ma perché eravamo lì.
Ci siamo auto-formati.
Noi siamo riusciti a formarci prendendo gli strumenti e iniziando a capire come funzionavano e come potevano essere usati.

Archivio – documentazione video workshop autoformazione (1996)
Ciccio Vacca
Questo diciamo che come tipo di allaccio per una situazione solo audio è l’ottimale. Questa è una presa di tipo CEE pentapolare.

Andrea
E poi avevamo un teatro, per cui volevi capire come funzionava un mixer?
Facevi il concerto, ti dovevi gestire il concerto.
Nessuno di noi all’inizio sapeva come usare una telecamera, però poi ad un certo punto facevamo la diretta live degli spettacoli.
Avevamo tre camere, un mixer e rimandavamo su uno schermo il mixaggio di queste telecamere in tempo reale.

Riccardo
C’era un gruppo fondamentalmente di giovani che si stavano apprestando a entrare nel mercato del lavoro e che faceva una rivendicazione strettamente collegata al lavoro.
Cosa che nell’ambito – diciamo così- della sinistra del movimento si era parecchio persa nel corso dei decenni.
Dopo la fine delle relazioni col movimento operaio all’inizio degli anni 80, tutto aveva preso una piega più studentesca-giovanilistica, di tempo libero, e così via.
Si iniziò a fare una rivendicazione a partire dalla propria soggettività produttiva, dall’essere in un contesto produttivo, ancorché all’inizio della propria carriera.

Elena
Non lo so come facevo, perché lavoravo anche.
Io non provengo da una famiglia che mi manteneva quindi… l’Accademia non era ancora università quindi costava molto poco, costava tipo centomila lire iscriversi.
Ti costava magari comprare i pennelli, gli acquerelli, il materiale…
infatti tutti facevano robe concettuali, così si risparmiava.

Archivio – documentazione video interna TPO (1997)
…È intitolata Frammenti… Frammenti che tentano una ricomposizione, che parte dal sentire, dalla percezione dei colori, questi frammenti che rappresentano uno spaccato di quello, quindi anche la possibilità di chiunque di partecipare. Per me è stato…

Elena
Lavorare per noi non significava andare all’ufficio reddito – produci-consuma-crepa – ma era proprio fare cose creative che non ti erano permesse in altri spazi.
In Accademia perché non c’era lo spazio.
A me personalmente perché non avevo i soldi per farlo.
Quindi è stato il teatro che mi ha permesso di acquistare il primo computer.
Ho imparato a fare grafica grazie al TPO – e adesso faccio questo di lavoro – e a sperimentare e fare un sacco di schifezze, robe che guardo adesso e dico: “ma cosa stavo facendo?”

Andrea
Il primo documento scritto proprio il giorno dell’occupazione è questo volantino che si intitolava “Occupare per lavorare”.
Cioè era forte l’esigenza di trovare degli spazi per la propria attività professionale. Noi eravamo artisti, teatranti, e volevamo un spazio per produrre teatro e non c’erano questi spazi disponibili in città.
Per cui la nostra era una rivendicazione proprio legata al lavoro, alla sussistenza, alla professionalità.
E volevamo che questa cosa qua avvenisse in condizioni di condivisione, sia dei saperi che dei mezzi.

Anna
Quindi l’idea era di mettersi insieme e di avere uno scopo comune, di sviluppare un fare comune.
Occupiamo uno spazio perché vogliamo coesistere e in qualche modo questa coesistenza rafforza la nostra identità.
Identità di classe sostanzialmente.
Ecco, secondo me aveva già questa inclinazione politica. Un’inclinazione politica legata all’autogestione, al riappropriarsi dei mezzi di produzione, insomma un’inclinazione politica legata al lavoro.

Andrea
Tutto questo non c’era, non esisteva da nessuna parte.
E poi ci serviva un posto dove andare a bere una birra a 3 euro e non a 7, diciamolo. Anzi a 500 lire e non a 3000.


III. Come diventare adulti insieme

Ascolta “Come diventare adulti insieme” su Spreaker.
Nina
Avevamo quanto? 20, 21, 23, 19 anni… 20 anni.
Gestire tempo, gestire uno spazio fisico, negoziarlo con gli altri…
Penso che sia stata una cosa molto preziosa, molto faticosa.
Per ragazze, per ragazzi che pensavano proprio di costruire un mondo, una specie di mondo parallelo ma che ha le tue regole e tu ci abiti dentro.

Vincenzo
Le cose capitavano perché lì le cose capitavano.
Hai 19 anni, arrivi, non sai cosa sei, non sai cosa vorrai, non sai… per il momento fai.
I primi concerti che si sono fatti, mi dicono: “Tu fai la cassa”.
Io vado, mi metto in cassa, – me lo ricordo come se fosse ieri – finisce, incasso. Stiamo parlando di 1 milione e mezzo che per me erano tre mesi di soldi di mia mamma.
Me li diedero a me dicendo “tienili tu”.

Archivio – documentazione video interna TPO (1997)
– Ma cosa c’è dentro una cassa TPO? Soldi…
– Il danaro, Il danaro… 1 milione, 2 milioni, 3 milioni
– Ma ce l’avete il timbro? La ricevuta SIAE?
– La ricevuta SIAE ce l’abbiamo qua però… l’ho persa, vabbè.

Vincenzo
Nel senso: io vengo dal sud, i soldi non c’è nessuno che te li affida.
Per affidarmeli dobbiamo avere un patto di sangue.
Questa cosa mi responsabilizzò subito, mi mise nella condizione di non sentirmi più un ragazzino, ma di diventare di colpo un adulto.

Anna
Per me quello che è stato veramente grosso a livello di gestione è sentire che ci potevamo prendere delle responsabilità pur essendo pazzi.
Cioè fare delle cose folli, fare le cinque di mattina tutte le sere…
però contemporaneamente anche tenere in mano le redini.
Cioè sentire che potevamo prenderci la responsabilità di questa cosa.
Eravamo lì noi a godere della serata, ma eravamo noi a chiudere la serata.

Valentina
Quello che noi oggi chiameremmo safe space, no?
In maniera naturale qualcuno si sarebbe preso cura di me, no?
E questo secondo me ti faceva sentire sereno, no?
Sereno anche nello sperimentare con droghe, libertà sessuale…
a livello di dinamiche che si creavano anche nelle serate, è stato proprio molto liberatorio.

Anna
Cioè prenderci quel momento di lucidità in cui ti rendi conto che non c’è nessun altro a parte noi che chiuderà quel posto, che starà attento che quel posto non vada a fuoco, che nessuno si faccia male.
Che in quel posto ci sia comunque una certa qualità per cui si possa aprire con una certa bellezza il giorno dopo.
Questa cosa qui per me era elettrizzante.
Cioè sentire che si possono toccare delle situazioni molto sperimentali e contemporaneamente avere la testa sulle spalle.
Sentire che si può diventare adulti insieme.

Elena
Noi eravamo in mezzo a un cantiere.
Cioè c’era il cantiere degli operai, non so se stavano ristrutturando la pinacoteca, o non so cosa, e quindi noi avevamo questi gabbiotti dove gli operai dormivano dentro.
E infatti il TPO ha sempre chiuso presto, perché avevamo questi poveracci che dormivano lì.
Però si divertivano tantissimo, il capo cantiere ci amava.
E quindi noi avevamo sempre questo capo cantiere che entrava, gli operai che ridevano, quindi siamo sempre stati molto rispettosi comunque, nei limiti di quando hai quei 20-25 anni e capisci poco però del contesto.

Andrea
Noi eravamo dentro l’Accademia anche se in una palazzina separata, senza alcun accesso, diciamo, alle strutture dell’Accademia vera e propria.
Il rapporto con l’istituzione Accademia è molto semplice: odio. Odio per cinque anni.
Noi lì non dovevamo starci.
Dal primo giorno tutta l’amministrazione dell’Accademia (i professori, il rettore, ecc) ogni giorno hanno provato a mandarci fuori da lì.
E ci sono riusciti dopo 5 anni.
Quando facemmo questa “tre giorni” di teatro sul Corpo Inorganico, venne coinvolta l’Alfano Miglietti, che era una professoressa che seguiva proprio tutte queste tematiche del corpo post-organico, della scena teatrale estrema. C
on lei riuscimmo a portare anche Marcelì Antunes Roca della Fura del Baus, e poi Ron Athey.

Valentina
Ron Athey, artista californiano.
Lui era in una sedia, cioè in una specie di sgabello a pancia in giù, ed era in una posizione tale per cui, con queste scarpe con dei tacchi a forma di fallo si penetrava.
Analmente.
Una roba che può sembrare molto violenta, lui era riuscito a renderla in un modo gentile, non so come dire, cioè forte, perché era forte quell’atto, ma molto poetico.

Andrea
Fu forse quello uno dei pochissimi scambi con almeno pezzi dell’Accademia.

Franceschino
Io continuavo ad essere interno all’Accademia.
Infatti per l’esame di fine anno del ’95, preparai una scenografia in scala 1:1 per questo concerto-evento del Collettivo Basse Sfere.
Avevano una trasmissione in radio – non ricordo se Radio Città del Capo – che si chiamava “Orecchio di Cemento”.
Io rimasi folgorato da questi qui perché erano l’hardcore del jazz d’avanguardia che per me era proprio… wow.
Decisi di costruirgli una scenografia. Feci un orecchio di 4 metri per 6 di cartapesta e presentai il mio esame agli insegnanti con in una cassetta VHS.
Il mio professore si rifiutò, mi diede zero.
Non era molto sensibile a questi temi, a questo tipo di cose.

Bettina
Le cose che noi facevamo là dentro, tutto quello che noi tiravamo su dalle iniziative, veniva reinvestito là dentro.
Dopo un po’ di anni abbiamo deciso di farci una sorta di rimborso, perché poi non è che riuscivi a pagarti.

Archivio – documentazione video convegno spazi sociali occupati (1996)
Marco Morri
… L’essenza, la funzionalità poi di posti come questi è affidata di volta in volta alle persone che lo frequentano. Quindi la sottoscrizione o il biglietto – che sempre rientra nei prezzi popolari – non va vista come una fonte di reddito per le persone che ci lavorano, ma soprattutto come elemento che fa andare avanti, che fa crescere e continuare un posto che altrimenti non gode né di finanziamenti né di pubblicità, né di sovvenzioni…

Franceschino
Ad un certo momento eravamo totalmente auto-prodotti, auto-gestiti.
Però avvenne questa cosa proprio che… questa esigenza di diventare ancora più grossi, e per diventare più grossi una parte del collettivo si dedicò alla ricerca di fondi.

Archivio – documentazione audio di un incontro fra il direttore dell’Accademia di Belle Arti Vittorio Mascalchi e due rappresentati del collettivo TPO (1998)
– Come va?
– Abbastanza bene…
– Mascalchi, piacere
– Niente, noi volevamo avvertirla che siamo felicissimi perché abbiamo presentato un progetto l’anno scorso alla regione con un festival di teatro e due laboratori e la regione ha finanziato questo progetto che prevede appunto questo festival di teatro con interventi…Franko B, Marcelì Antunes Roca, Ron Athey…più laboratori video…
– In quello spazio?
– Sì…
– Io come le dissi, si ricorda – lei gentilmente venne a trovarmi insieme ad alcuni suoi collaboratori – bisogna che ognuno faccia il suo mestiere. Il mio mestiere, mi creda, è difficile, perché devo garantire ai miei studenti una professionalità e uno sbocco professionale nel lavoro. Per fare questo io mi sono impegnato in una serie di convenzioni internazionali con teatri esteri ecc. Io ho bisogno di uno spazio, dove vuole che faccia io le cose? Perché il comune non vi trova uno spazio, ha tanti di quegli spazi all’interno della… sennò lo dia a me.
– Ecco infatti, il problema sarebbe quello…
– Abbiamo chiesto… Lei pensi, il mio problema è adesso quando inizierà Bologna 2000 con le quattro mostre storiche. Denis Mahone ha già detto che lui i pezzi non li dà. Perché ha paura. E ha ragione.
– Ha paura di che cosa scusi?
– Ha paura della situazione. Lei capisce che noi abbiamo scassi settimanali…
– Anche noi. Il problema non penso che siamo noi…
– Ha capito? Cioè il problema è questo: ci sono decine di cani, personaggi che mi fanno paura, come credo che facciano paura a voi.
– Infatti è un problema più che altro… il problema lì è la sala studio.
– Il problema è questo qui, voi non c’entrate, l’ho capito benissimo, cosa c’entrate voi? Siete persone per bene.
– Infatti il problema è la sala studio che hanno purtroppo fatto lì e non a caso.
– Guardi mi creda che anche prima non è che fosse…

Franceschino

Andrea
Gli spazi del TPO erano aperti a chiunque.
Anche se la cosa era abbastanza frenata dagli stessi professori – da alcuni – dell’Accademia, che portavano avanti una campagna di terrore psicologico su di noi, sulle cose che facevamo dentro, allucinante.

Archivio – documentazione audio di un incontro fra il di rettore dell’Accademia di Belle Arti Vittorio Mascalchi e due rappresentati del collettivo TPO (1998)
– A me sarebbe piaciuto farle… farle vedere quando mi hanno piantato la siringa col sangue contro la porta del mio… Lei capisce, sono segnali che fanno paura.
– Ma questo è un problema della zona universitaria nel suo insieme…
– Ma questo è successo.
– È un problema della zona universitaria, via Zamboni, Piazza Verdi…
– E’ una zona questa verde che…
– Cioè sarebbe peggio se non ci fossimo noi questo glielo posso garantire.
– Non lo so...

Bettina
Ci siamo imposti da subito, cioè non abbiamo fatto sì che diventasse l’appuntamento dello spacciatore di turno che sapeva che là aveva, diciamo così, via libera.

Vincenzo
Per anni sono stato là davanti alla cassa, poi a un certo punto come con tutte le cose, cominci a capire i corpi, il linguaggio del corpo… capisci chi è il capo, capisci come cercare di fare in modo di non arrivare mai allo scontro… perché l’obiettivo è quello.
C’è un grosso problema conflittuale.
Cioè io voglio che qui tu non spacci, però allo stesso tempo non voglio neanche che tu questo posto non lo fruisca, perché io questo posto non lo occupo per chi ha già gli strumenti per andare nei locali.
Quello che fai è un problema, e lo stai facendo nell’unico posto dove tu sei libero.
Abbiamo fatto anche dei volantinaggi sull’uso responsabile delle sostanze, ci abbiamo pensato no? Ragionato…
perché poi alla fine voglio dire…

Archivio – documentazione video interna TPO (1997)
Andrea e Franceschino
– Ma io direi di andare ad attacchinare a quest’ora.
– Secondo me è una puttanata sai? Un’iniziativa anti-proibizionista senza intervenire in qualche maniera più decisiva.
– Decisiva come?
– Ci sono diversi modi, però una proposta è necessaria…

Vincenzo
Cioè il ragionamento di uno spacciatore è: sto qui.
Profitto.
Ho dei tempi, calcolo che tre anni di guadagno sono cinque di carcere.
Questa è più o meno la relazione.
Quindi se io con te ho un problema tu sai che per un po’ te la cavi, dopo ti fai la tua galera ed è finita lì.
Ma per me quel problema può essere talmente grave che non mi bastano tre anni per ammortizzarlo.

Bettina
Cioè li abbiamo tenuti fuori proprio perché l’unica cosa che facevano era spacciare.
Poi spesso e volentieri le casse erano gestite da noi donne, quindi grazie al cielo le risse erano ben poche anche per quello.
Eravamo un sacco di donne che insomma…

Archivio – documentazione video interna TPO (1997)
– Perché stai in teatro?
– Ah, perché sto in teatro? Ehm… ancora non l’ho capito. Faremo un’assemblea con gli studenti e poi una conferenza stampa e poi si pensava appunto di mettere una bomba in Pinacoteca. Io sono per questa soluzione qui. Così il cantiere non se ne andrà mai via perché dovrà ricostruirla tutta.


IV. Via del Pallone

Ascolta “Via Del Pallone” su Spreaker.

Archivio
Bettina e Elena
– Cosa fai in teatro?
– L’ho detto, pulisco il palco, a volte mi sposto anche un po’ al bar, un po’ ai bagni. Però adesso sto girando una soap opera femminista eh… In collaborazione con le donne del teatro.
– Parlaci di questa soap opera.
– Questa soap opera deve essere un prodotto artistico in primo luogo, quindi ci si dovrà divertire molto nel montaggio, cercando insomma delle formule magari diverse dalle solite riprese. Anche se inizialmente sarà molto simile a una soap opera vera, ma poi alla fine le protagoniste faranno un bel macello agli uomini e questo è il succo della storia.

Anna
Avevamo una pratica molto equa, cioè le donne si sentivano autorizzate a guidare, orientare il pensiero, orientare il linguaggio e soprattutto fare.
Prendersi lo spazio per fare.

Elena
Era uno spazio dove la presa di parola pubblica e la rappresentanza politica era in mano alle donne.
Secondo me questo è riuscito un po’ proprio per questioni individuali di carattere delle donne che c’erano all’interno del TPO.
Credo anche, grazie in un certo senso a una mascolinità, che non era per nulla interessata ad applicare quella sorta di machismo politico che c’era invece negli altri spazi.

Archivio – documentazione video Assemblea TPO (1996)
Andrea
… Io sono d’accordo al che ci siano momenti come questo, però come uomo poi a livello personale io ti dico che quelle sono le questioni che le donne portano avanti. E questo allora vi chiedo di… sì, perché se voi state cercando di sviluppare una vostra autonomia, beh allora io cerco comunque… di capire in quanto uomo in cosa devo cambiare, qual è il mio atteggiamento…

Riccardo
Era un po’ come un alveare.
Nel senso che c’erano tutti i maschi che svolgevano la funzione operaia di tecnici, macchinisti, lucisti, ecc, e poi c’era tutta la parte femminile, che svolgeva appunto come in un alveare, la funzione regina della promozione, dell’ideazione, della programmazione.

Franceschino
Vigeva una sorta di matriarcato, la forma tradizionale della cultura sarda.
Le donne del TPO avevano, credo, senza dire cazzate, sia la prima parola che l’ultima.
Proprio perché non avevamo una forma assembleare classica.
Quindi il tutto avveniva con delle discussioni che portavano sempre all’accrescimento e a delle migliorie, mai agli scazzi.

Valentina
C’era sicuramente una fortissima componente di donne molto forti che venivano da percorsi politici molto chiari, appunto.

Anna
Allora, tutto questo era più semplice, ovviamente prima dell’ingresso di Radio K.
Perché Radio K era una struttura un po’ più maschile, perché c’erano molte figure dominanti lì dentro, ma anche perché nella nostra, diciamo, inesperienza della gestione dell’assemblea, non abbiamo realizzato che nel momento in cui è entrata la riflessione politica più strutturata che Radio K portava, è entrata anche una modalità della gestione del logos che era più maschile.

Archivio – documentazione audio trasmissione Radio K Centrale (1996)
Trasmissione psicogeografica del mercoledì notte, in onda su quali frequenze?
107 e 05 di Radio K Centrale

Franceschino
Diciamo che la svolta avvenne quando in un’assemblea dei rappresentanti di Radio K vennero a dirci: “Abbiamo le bazze per fare dei concerti”.
Quindi decidemmo a livello assembleare di ospitare Radio K una volta al mese per far sì che loro si autofinanziassero la radio.

Archivio – documentazione video Assemblea TPO (1996)
… In più come radio ci stiamo interessando, la radio ha avuto quattro mesi di blocco quest’estate, ha riaperto poche settimane fa. Da un punto di vista sostanziale adesso io difficilmente trovo delle incompatibilità tra quello che diciamo noi e quello che state operando voi…

Meco
Allora Radio K si propone, e inizia a entrare in relazione con questo collettivo appena nato, che era un collettivo di ragazzi più che altro dell’Accademia di Belle Arti.

Franceschino
Loro avevano una struttura già bella consolidata.
Comunque gente che da anni faceva già eventi.
Loro ogni volta che si facevano degli eventi ci affittavano il gruppo elettrogeno, arrivavano i camion con amplificazione, le luci…

Meco
Poi tutti noi comunque arrivavamo da centri sociali precedenti, avevamo molte relazioni coi gruppi di allora, abbiamo iniziato a proporre cose… mi ricordo i 99 Posse…

Archivio – documentazione video di concerto dei 99 Posse (1997)
… Vabbuò ja, già sai… guagliò… ca no? Ce sta…

Bettina
Poi alcuni di loro comunque partecipavano anche all’interno delle iniziative nostre…
perché succede così, è chiaro: dopo che tu vieni, fai le tue cose, poi cominci anche ad interessarti al resto delle cose che facevamo noi.

Elena
Eravamo attraversati un po’ da tutti.
Attraversati da persone più grandi di noi, 30-35enni, che venivano a raccontarti la storia del movimento a Bologna.
Io in particolare insomma, in un certo periodo ero molto affascinata da un certo tipo di discorsi che erano i cosiddetti discorsi Negriani.
Toni Negri era un po’ il guru che dettava la linea.

Andrea
All’interno del TPO stesso c’era un gruppo, diciamo, più legato all’attività politica tra tutti gli altri gruppi. Che magari erano compagnie, che erano gruppi di management per lo spettacolo…c’era anche un gruppo politico: YaBasta.

Meco
In quegli anni noi avevamo un fortissimo rapporto con il movimento Zapatista e con le comunità Zapatiste.
Infatti proprio dal primo incontro intercontinentale del ’96 nasce l’idea dell’Associazione YaBasta.
Nasce da anime diverse italiane che decidono di creare questa rete di realtà che è in solidarietà con gli Zapatisti.
Il TPO è un po’ il centro di questa cosa.
È dove poi è anche nata YaBasta Bologna.

Elena
Avevano sicuramente contribuito no?
Portando appunto anche solo semplici testi da leggere, nuove conoscenze, creando un anche networking del TPO fuori dal TPO.

Andrea
Che era quello che in qualche modo faceva arrivare le informazioni, coinvolgeva gli altri all’interno di quel gruppo politico, legato in modo generale all’autonomia, alla post-autonomia, e a livello territoriale insomma, come gruppo poi si concentra nel Triveneto.
Lì dove c’è questa fortissima struttura politica d’indirizzo, anche, no?
E quel gruppo promuove YaBasta, che si organizza anche come un gruppo all’interno della comunità del TPO.

Archivio – documentazione video interna TPO (1995)
Riccardo
… legata a una concezione della società che ormai è finita, alle aggregazioni di massa, non esiste più basta… qui stamo a cercà de costruì i Rizomi…

Riccardo
L’area gestionale fondata da studenti dell’Accademia – che andrà a formare un nucleo di giovani lavoratori del settore culturale – si trova a convivere con l’ingresso di altri giovani che sono però legati all’attivismo politico, o all’area della sinistra di movimento dei centri sociali.
Noi partivamo dal discorso di creare un’agenda politica legata alla nostra attività di produzione e loro più sul discorso invece di politica pura, legata all’agenda politica nazionale dei centri sociali.

Giangi
C’è l’adesione, però questa roba sono i primi elementi anche di contraddizione.
Perché, cosa succede: quando tu porti degli elementi così forti lì dentro, succede sempre che alcuni accelerano, nelle scelte e nei cambiamenti, altri no.
E quindi queste accelerazioni iniziano a produrre delle contraddizioni.
Questo è secondo me nella natura delle cose.
Via del Pallone è uno di questi momenti.
In cui c’è un’occupazione in via del Pallone, c’è uno sgombero e chiedono al TPO di ospitare i migranti.

Meco
Ci furono degli sgomberi, case occupate da migranti e da lì i collettivi che seguivano queste occupazioni di migranti portarono a fare un’azione molto forte: l’occupazione della chiesa di San Petronio.

Archivio – documentazione video dell’occupazione della Chiesa di San Petronio (1998)
Manda fuori qualcuno a prendere la roba da mangiare, Boghetta ad esempio! C’è la roba da mangiare qua, venite a prenderla voi che non ce la fanno passare i poliziotti!
Se qualcuno portasse un paio di biberon non è che farebbero schifo… Non fan passare neanche la roba da mangiare…
hanno paura che ci mettiamo una bomba…

Meco
Lo sgombero della chiesa portò a una mediazione e vennero accolte in via del Pallone una serie di famiglie.
Quando finisce questo periodo succede che le famiglie vengono buttate per strada.

Andrea
Forse perché erano troppi, forse perché erano scaduti i termini e non potevano più stare lì… vennero buttati fuori, messi in strada.
Era dicembre.

Vincenzo
Una serata freddissima, me la ricorderò sempre.
Poi io ho un brutto rapporto col freddo.
A me il freddo mi paralizza, lo considero un’ingiustizia.

Andrea
Un centinaio di persone, bambini, in mezzo alla strada ormai da due giorni…

Archivio – documentazione video occupazione Via del Pallone (1998)
– Non ci vogliono dare una casa, nessuno, ci hanno buttato fuori. Ho visto che qui è tutto sporco, pieno di polveri, le finestre non hanno i vetri. Tutto con il fuoco, anche tutto rotto. Tutte le finestre sono rotte, sono sporche, non sono pulite come tutte le case. Sono come la camera dove abitano gli animali, però neanche gli animali possono vivere così.
– Quanti anni hai tu?
11
– E vieni?
Dal Marocco

Andrea
A quel punto, ma lì proprio per una questione di pietà umana, non tanto di atto politico, ma pietà umana, gli proponemmo di venire a dormire sul palco del teatro.

Vincenzo
Non avendo ben chiaro cosa sarebbe successo.
D’istinto.
È come quando tu vedi qualcuno che annega: ti viene da salvarlo, fine.
Cioè quello è stato.

Franceschino
Era come a dire “o ce li prendiamo o ce li prendiamo, sennò questi stanno in mezzo alla strada”.
Fu così che il palcoscenico divenne un accampamento magrebino.
La cucina che funzionava 24 h su 24.
Bambini, nonni, anziani…

Archivio – documentazione video occupazione Via del Pallone (1998)
– Non parlo bene in italiano mi scusi.
– No, non si preoccupi guardi neanche io parlo bene l’italiano anche se sono italiana.
– Non è italiana lei… va bene (ride).
– Non è importante parlare correttamente in questo momento.
– Non è giusto per degli stranieri, non è una situazione bene.
– No. Certo.
– Anche il bimbo… anche che sono incinta io.

Anna
Ecco.
E una volta che sono sistemati lì sul palco – decine e decine di bambini, decine e decine di adulti – lì inizia il problema.
Cioè: “e adesso che si fa?”

Meco
Il TPO non permetteva di fare due cose insieme.
Questa cosa ha creato anche delle piccole frizioni.
Alcuni dicevano: “però non possiamo bloccare tutto”.
Però alla fine l’assemblea ha deciso che era prioritaria questa cosa.

Anna
Quindi c’è una presa di coscienza che inizia una battaglia politica.
Una battaglia politica incentrata sul diritto alla casa, sul diritto alla casa universale, quindi diritto alla casa per gli italiani che hanno i documenti, ma anche diritto alla casa per tutti.
Tutti quelli che ne hanno bisogno.
Volevamo ovviamente lavorare sulla messa in condizione dell’autodeterminazione delle persone che volevano iniziare questo percorso.
E quindi abbiamo iniziato con quelli che erano i nostri strumenti:
abbiamo indetto un’assemblea, abbiamo chiesto “chi volete come rappresentante?”. Abbiamo cercato di evidenziare dei portavoce… insomma tutti quegli strumenti dell’autogestione occidentale.
Senza però renderci conto che la situazione invece era molto più complessa.

Elena
Poi succedono i casini perché c’erano tante famiglie…
Poi c’erano algerini, c’erano marocchini, c’erano eritrei, insomma anche…
che non è che l’immigrato è un soggetto neutro in quanto immigrato, e li metti tutti assieme.
No, non è così.

Anna
Quali sono le relazioni fra tunisini, algerini, marocchini?
Quali sono le esperienze condivise?
Qual è il passato di queste persone, quali sono i traumi?
Quali sono le dinamiche di gerarchia, di sottomissione, di violenza non dichiarata tra uomini, donne?

Elena
Poi c’era anche questa cosa che le donne dovevano mangiare separate dagli uomini.
Quindi per me, che ho appunto un percorso femminista, è stato un po’ uno shock.
Perché non è che perché sei emigrato non sei uno stronzo, no?
E quindi perché ti devo aiutare se sei uno stronzo?Quindi insomma tutti questi pensieri.

Anna
Avevamo di fronte a noi tutta una ricchezza umana che non c’era completamente chiara.

Vincenzo
Lì è stato il momento in cui il TPO ha avuto una visibilità nella città come luogo dove si facevano delle azioni politiche.
Di colpo non siamo più stati visti come un gruppo innocuo.
Siamo visti come un gruppo che comunque spostava consensi e faceva azioni pratiche.


V. Conflitto

Ascolta “Conflitto” su Spreaker.
Giangi
A un certo punto arriva la notizia che Marco è morto.
È morto in Sardegna per un attacco di cuore.

Mario
Aveva 33 anni se non sbaglio.
Marco Morri fu la prima persona che mi disse: “Benvenuto al TPO”.
Era un giornalista.

Giangi
Lui era una figura centrale e un po’ il pivot del TPO, era quello sempre calmo.

Vincenzo
Ed era Marco insomma quello che, bene o male, diciamo, aveva anche una certa preparazione culturale da gestire un po’ gli indirizzi, se vuoi.

Mario
Una persona attivissima, non si fermava mai, andava avanti e indietro nello spazio.

Giangi
Anche in mezzo ai casini, a gente che non voleva pagare, non voleva uscire, deliri, cani, punkabbestia: io lui non l’ho mai visto agitato veramente.
Non me lo ricordo agitato.

Morri

Mario
Voleva bene a tutti quanti, era disponibile con tutti.
Dalla morte sua cambiarono un po’ di cose.
Io spaccai il vetro di una macchina dal nervosismo.
La macchina del direttore dell’Accademia, con un pugno.

Giangi
E quindi manca Marco.
A un certo punto, adesso non mi ricordo più, ci chiedono “per favore dateci una mano”.

Archivio – documentazione convegno spazi sociali occupati (1996)
Marco Morri
… Siamo un po’ gli ultimi arrivati di questo scenario bolognese che per anni ha dispensato molti più sgomberi, molte più trattative fasulle, molte più difficoltà di comunicare fra chi si prendeva appunto la responsabilità di occupare un posto, aprirlo, lavorarci e produrre, e un’amministrazione, il più delle volte molto ambigua, molto assente anche…

Meco
Allora io penso che in quegli anni Bologna sia stata all’avanguardia su alcune cose rispetto ad altre città.
Ha saputo tenere uniti ambiti politici, sociali e culturali insieme.
Il TPO per me è riuscito a tenere insieme queste anime, non con semplicità comunque, anche con molte frizioni, anche tensioni, in vari passaggi che hanno portato poi alla nascita dentro al TPO del percorso delle Tute Bianche.

Andrea
Quando si inventa questa figura della Tuta Bianca come elemento anonimo di una comunità che si riconosce, c’erano segni di questo tipo dovunque:
così come il passamontagna di Marcos che viene indossato da tutte le donne, bambini, uomini in Chiapas.
Tu ne vedi uno di passamontagna, non ne vedi mille, ne vedi uno.
Lo stesso meccanismo era quello legato ad un altro segno come la tuta, la Tuta Bianca.
Noi siamo stati tutti Tute Bianche.

Riccardo
Le Tute Bianche erano la ricerca di un’iconizzazione, di un’immagine uniformante che desse valore al dato collettivo piuttosto che a quello individuale.

Giangi
Diciamo, chi teneva il cordone ed era in Tuta Bianca, aveva dei sistemi di protezione in maniera tale da non scappare.
Cioè si accettava il contatto con la polizia e non si è più scappati.

Archivio – documentazione audio manifestazione contro Forza Nuova (1999)
… C’è stato un accenno di carica, i compagni poi sono retrocessi, ma adesso a migliaia…

Giangi
È il conflitto, che dal mio punto di vista, dal nostro punto di vista, era un seme della democrazia.
Decidemmo di dire: “ok, noi i nostri corpi li portiamo lì e facciamo conflitto”.

Anna
Rappresentiamo il conflitto sociale di una generazione che si sente esclusa, che si sente senza parole, non rendendoci a-conflittuali.
Cioè indire delle manifestazioni pacifiche, avere degli striscioni, fare degli appelli pubblici…
No: lo rappresentiamo con uno scontro fisico.
Cioè con uno scontro che ha la forma di uno scontro militare che però ha tutto del teatrale.
Cioè abbiamo degli scolapasta in testa, siamo protetti da pezzi di polistirolo, non è che abbiamo i caschi da motociclista e il manganello in mano.
Non c’è quel tipo di immaginario simbolico.
Tutto questo è un sistema di immaginazione che gioca appunto sui segni più che sull’impatto, sul contundente…

Riccardo
Il primo atto bolognese delle Tute Bianche (che avevano cominciato già ad apparire in altre città italiane) fu legato proprio alla nostra dimensione specifica teatrale.
Cioè fu un atto di contestazione durante l’attribuzione della laurea honoris causa da parte dell’università di Bologna a Eugenio Barba.

Archivio – documentazione video intervento delle Tute Bianche in Università (1999)
Riccardo
… Questa è la risposta che la pratica delle autogestioni sta dando alla situazione disastrata del mercato del lavoro: la produzione autonoma di reddito con criteri alternativi di cooperazione e organizzazione.
Grazie dell’attenzione.

Riccardo
Gli eventi che seguirono invece non furono originati cioè da un’agenda politica nostra, sviluppata da noi, ma furono collegati all’agenda nazionale del nascente movimento no-global.

Elena
Era il periodo in cui tutti i movimenti a livello globale si muovevano contro le cosiddette Zone Rosse.
Quindi le zone dei potenti e dei ricchi che si blindavano dentro a delle strutture, perimentrando tutta la zona per evitare contestazioni.
E tutti i movimenti della rete a livello globale – parliamo di Praga, Seattle, Roma, Milano, Bologna – si mobilitavano per provare a contestare e a raggiungere la Zona Rossa.
Ed era diventato un momento molto divertente perché era permesso portare anche pratiche differenti.

Vincenzo
Noi siamo stati, diciamo, il banco di prova di alcuni strumenti di lotta di piazza.
Avevamo progettato una serie di sistemi per difenderci nelle manifestazioni, ma erano comici.
Un’idea che è venuta a me era questa rete gigante, tenuta su da tre persone in testa al corteo, con una scritta.
In caso di carica l’avremmo dovuta calare verso la polizia in maniera da fare un “pallottone di digossini” che s’arrabattavano…
ovviamente ci hanno tirato quattro lacrimogeni e noi siamo scappati, la rete è andata addosso…
Ma erano queste le nostre forme. Cioè la genialità del fatto che io faccio una puttanata così non si è mai vista…
e situazionista se vuoi…
perché comunque noi quella radice ce l’avevamo…

Giangi
Abbiamo capito che c’era un cambio di fase.
Cioè, Forza Nuova fa ogni tanto periodicamente comizi in zona piazza San Domenico, quella zona lì, e noi indiciamo una manifestazione.

Archivio – documentazione video manifestazione contro Forza Nuova (1999)
… Per Bologna è un pomeriggio ad alta tensione: da una parte i militanti di Forza Nuova – il movimento di estrema destra che oggi ha indetto nel capoluogo emiliano il suo raduno – dall’altra i giovani dei centri sociali decisi a contestarli. Le vie del centro sono bloccate, polizia e carabinieri hanno blindato la città. In testa ai ragazzi del centro sociale c’è un sacerdote, ma dietro, un centinaio di loro sono equipaggiati per la guerriglia. Il corteo non risulta autorizzato. Sono istanti di tensione, poi iniziano i tafferugli…
… La polizia ha attaccato improvvisamente facendo indietreggiare gli esponenti dei centri sociali. In questo momento tutta la strada è piena di gas lacrimogeni, ecco i poliziotti! Stanno ritornando indietro da questa prima carica e si posizionano ancora una volta a questo incrocio di via Farini, a 800m dal Baraccano, dove appunto ci sono gli esponenti di estrema destra…

Giangi
Partiamo, un migliaio o forse qualcosa in più, andiamo, scontri in via Farini, torniamo in 10.000.
E lì abbiamo capito che era cambiata. Quando succedono quelle robe capisci che una fase è cambiata.
E noi da allora ci siamo trovati, diciamo, tra virgolette, protagonisti.
Perché tu quando parti in mille, fai gli scontri e torni e diventi quattro volte tanto hai vinto.
E lì ci siamo gasati.

Elena
Una parte del TPO – maschi non a caso – si erano presi bene da questa modalità degli scontri, degli scudi, dell’allenarsi fuori dal cortile del TPO, simulando gli scontri.
Invece io preferivo andare con Bifo nuda davanti al McDonald a portare i tortellini.

Anna
Per me in quel momento era molto importante distinguermi dalla dinamica anarchica o anarcoide.
Da quella sorta di libertarismo un po’ vago, quel certo edonismo.
Invece ero molto più attratta da un percorso più strutturato, più politico con dei riferimenti anche molto più chiari a quella che era l’Autonomia Operaia, con cui la soggettivazione si integrava con un’idea di prassi, con un’idea anche di generosità rispetto al comune.
Quindi non dare sempre priorità a quelle che erano le esigenze legittime degli individui, dei singoli, che in realtà finivano per parcellizzare una pratica, una prospettiva comune.
Io ero molto favorevole che ci fosse una prospettiva più forte, più coesa, più strutturata.
Ecco, tutto questo quando non è macinato bene, con un’ideologia più femminista, ecco il rischio grosso è che ti perdi per strada dei pezzi.
Pezzi importanti che non necessariamente si uniformano bene, fluidamente, con questa visione così compatta, così strutturata.
Questa visione così pam! La conquista del territorio organizzata.

Elena
Questo è tipico proprio dell’Autonomia: o con noi o contro di noi.
Quindi se tu porti delle critiche, la critica è nemica, non è un modo di riflettere.
Quindi molto teatrale anche in un certo senso.
Dove tu vai che hai già un’idea e l’assemblea non è il luogo dove tu ti confronti e cambi idea, ma è il luogo dove tu porti la tua linea, la tua scelta, la tua idea e devi convincere gli altri a seguirti.
Quindi tu diventi un numero, che è tipico delle strutture molto organizzate e verticiste.

Bettina
Erano sempre le stesse persone che parlavano.
E le altre non è che non volevano parlare… ma non c’era lo spazio psicologico e tranquillo per poter dire la tua.
Cioè, quando tu sei un gruppo di 50 persone, dove in 40 avete un unico pensiero che è quello, e fra le altre 10, due non lo sanno, due non gliene frega niente e le altre quattro o cinque vorrebbero…
è chiaro che quelle 40, magari non lo fanno neanche apposta, ma è così che vieni schiacciato.
È come l’animale grosso che schiaccia quello piccolo.

Elena
Finché sono rimasti un po’ ai margini la cosa ha funzionato.
Quando invece sono entrati con la struttura organizzativa – quindi appunto un’assemblea già strutturata che entra dentro un’altra assemblea tra l’altro piccolina – lì si è rotto qualcosa.
Era comunque un meccanismo fragile, interessante ma molto fragile. Due strutture in una non possono convivere.
Cioè o si condividono proprio gli orizzonti o si va allo scontro.
E infatti.

Mario
Il 21 agosto c’era un caldo bestiale.
Eravamo io e il mio cane.
All’improvviso una mattina sentii tantissimi rumori venire dal palco.
Scesi dal camerino e in lontananza vidi appunto tantissime persone.
Una persona di queste mi vide da lontano e mi raggiunse tranquillamente.
Fui preso dal poliziotto, dal collo, mi diede quattro calci nel culo e mi buttò fuori in mutande, col mio cane.

Andrea
E l’esperienza di via Irnerio finisce.
Cinque anni intensissimi.
Io non penso di essermi mai divertito così tanto nella mia vita.
Quello che si respirava era… era una sensazione di libertà.
E di poter immaginare di fare delle cose, di poterle fare.
Quella sensazione lì.


 

Con le voci di:
Vincenzo Bonaffini, Francesco Carta, Elisabetta Cottone, Anna De Manincor, Elena Lolli, Andrea Masu, Valentina Medda, Marco Morri, Domenico Mucignat, Otto Marco Mercante, Riccardo Paccosi, Mario Paolicelli, Anna Rispoli, Gianmassimo Vigazzola, e DJ Zeta (Giulio Furbetti)

Materiali d’archivio:
Elisabetta Cottone, Francesco Vacca

Musiche:
Steve Lacy, Steve Coleman Five Elements, Paolo Fresu, Furio di Castri, Antonello Salis, Carlo Atti, Jamaladeen Tacuma, Banda Roncati, Recycle, Basse Sfere, Lullo Mosso, Riccardo Pittau, Guglielmo Pagnozzi, Stefano de Bonis

Immagini:
Gabriele Orsini, Massimo Sciacca