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Dai rave all’antiproibizionismo: il Livello 57 e le Street Parade

Eventi e luoghi che hanno cambiato le città: Bologna, capitolo 2

Scritto da Salvatore Papa il 30 aprile 2020
Aggiornato il 5 maggio 2020

Quante volte siamo partiti DA ZERO?
Quante volte eravamo lì, abbiamo visto cambiare tutto ma ce ne siamo resi conto solo dopo, come se fosse successo per magia? Qual è il segreto?

Zero riparte dalla città, in un viaggio avanti e indietro sulla linea del tempo. Dagli ultimi 30 anni del passato, da cui sembriamo lontanissimi e da cui prendere il meglio. Dal presente in cui è impossibile andare avanti, è impossibile tornare indietro, in cui siamo immobili e soffriamo. Dal futuro che pretende immaginazione.

“La tekno sta all’estasi come il canto degli alpini sta al vino”. È la sintesi che un occupante del Livello 57 fece a un giovane Bernardo Iovene, videogiornalista per una vecchia trasmissione di Rai 3. E sta tutta in quel particolare rapporto tra musica, sostanze e stati modificati di coscienza l’importanza storica di quel luogo che ancora oggi lega la propria memoria alla Street Rave Parade Antiproibizionista, che per 10 anni fu probabilmente l’evento di punta della scena rave italiana. Ma andiamo con ordine.

Nel 1991 l’Isola nel Kantiere viene sgomberata. Parte di quel gruppo disponibile a fare accordi col Comune finisce nel Link Project, mentre i duri e puri vanno per la loro strada prima occupando nel 1993 un’ex-mensa universitaria in piazza Verdi (le Scuderie che per pochi mesi diventarono il Pellerossa), poi unendosi con alcuni studenti reduci dalle lotte della “Pantera” per irrompere nell’ottobre 1993 in un edificio dell’ACOSTUD in via dello Scalo 21, ovvero il primo Livello 57. Fin da subito il focus si concentra sulla sperimentazione musicale e la contro-informazione, dal “NoCopyright” agli abusi della psichiatria. I concerti e le feste fanno il resto, con la musica elettronica e i rave che offrono la base perfetta per sperimentare gli effetti di alcune droghe di cui ancora si sapeva poco. Purtroppo nell’estate del 1995 arriva la minaccia di sgombero, seguita da una trattativa che porta il Livello in una nuova sede sotto il ponte di Stalingrado, in Via Muggia 6.

Fin da subito il focus si concentra sul mondo delle sostanze stupefacenti. I concerti e le feste fanno il resto, con la musica elettronica e i rave che offrono la base perfetta per sperimentare gli effetti di alcune droghe di cui ancora si sapeva poco

La produzione creativa e musicale del nuovo Livello si articola in particolare su due progetti: le autocostruzioni e il riciclaggio creativo di matrice “cyborg” dei Mutoid (la cui comunità è ancora oggi di base a Santarcangelo) e la cultura hip hop e street (Zona Dopa), radunando musicisti, urban artist e skater nella più grande rampa al coperto esistente in quel periodo in Italia. Ma ci sono anche il movimento NoCopyright, la letteratura Cyberpunk, il primo free Internetpoint di Bologna, le autoproduzioni musicali, le battaglie contro la censura o i convegni assurdi come quello della Associazione Astronauti Autonomi. E poi la tekno, ma anche tantissimi concerti rock, prog, industrial, trash, e talvolta anche teatro (vedi le esibizioni di Gary Brackett e Judith Malina del Living Theatre).

Nel nuovo Livello nasce anche il nuovo Laboratorio Antiproibizionista (Lab57), serissimo osservatorio che si interroga sugli effetti e i modi d’uso delle sostanze stupefacenti. Il Lab57 (ancora oggi attivo dopo una lunga esperienza dentro XM24) rifiuta l’approccio della tolleranza zero e della cristoterapia di San Patrignano (ovvero: “la droga fa male sempre e l’unico modo per uscirne è l’astinenza totale”) e con l’ausilio di medici, infermieri, chimici e tossicologi inizia a lavorare sulle pratiche di riduzione del danno, producendo opuscoli informativi, collaborando col SERT e con l’Ausl e allestendo, per primo in Italia nel 1998, una chill-out, sala di decompressione con personale specializzato nel primo soccorso.

Proprio dal laboratorio e dai Mutoidi arriva nel 1997 l’idea di una street rave antiproibizionista con camion e soundsystem che portano in giro per Bologna un messaggio forte e chiaro: la depenalizzazione dell’uso personale di tutte le sostanze psicoattive, a partire dalla cannabis. Dopo le prime piccole edizioni raduno di giocolieri, l’evento cresce velocemente e l’organizzazione passa all’MDMA, movimento di massa antiproibizionista, che chiama a raccolta tutte le realtà autogestite e quei collettivi musicali basati su principi antidiscriminatori e antifascisti. I carri diventano sempre più esuberanti: quello del 2001/2002 dei Mutoid che apre il corteo è un enorme camion militare tedesco; «gli buttavi qualsiasi cosa nel serbatoio – racconta Max del Lab57 -, acqua, diesel, qualsiasi cosa; aveva delle ruote così alte che facevano paura ai furgoni della celere che all’epoca non avevano mezzi del genere…non c’era niente di simile nemmeno nell’esercito»; il rinoceronte sputa fiamme che apre quella del 2003 è invece riciclato da una ritmo fatta a pezzi: «aveva nel retro – ricorda Mitch del Livello che insieme a Jay dei Mutoid è autore di quell’assurdità – uno splendido divano con tessuto viola che faceva da cocktail bar. L’ospite d’onore del carro era Don Gallo che quell’anno benedì la street parade. Dopo aver fatto un tiro da uno spinello dichiarò: “Accetto questo come provocazione, perché in realtà non posso staccarmi dal mio toscano che purtroppo non ha effetti positivi mentre la marijuana sì”. Facevamo comunque controlli severissimi sui mezzi – continua; se non avevi i copriruota o non volevi stare alle regole studiate anno dopo anno non ti facevamo partire in più. La sicurezza per noi era tra le cose più importanti. Insomma non eravamo del tutto degli scappati di casa, lo sapevano anche le forze dell’ordine…sennò col cavolo che ci facevano partire gli ultimi anni».

Nell’inverno del 2001 si aggiunge anche una gigantesca “Caccia allo spazio” con un meeting point in ogni porta di Bologna, finché dal centro parte un corteo aperto da due cammelli per occupare uno spazio in via Donato Creti fino alla mattina.

Il primo salto avviene nel 2002, quando per affrontare l’arrivo di 50mila persone viene richiesto l’ausilio delle unità di strada di Bologna. Iniziano ad arrivare le prime laute offerte pubblicitarie – sempre rimandate al mittente – e Bologna sui giornali diventa la “città dello sballo”.

Diffondendo dalla musica latino americana al rock la parata si trasforma in un evento di dimensioni impressionanti arrivando così a raccogliere nelle due ultime edizioni a Parco Nord e Villa Angeletti più di 300 mila i partecipanti, una distesa impressionante di gente dietro a 50 camion con impianti che raggiungono i 30mila watt.
“Il battito sonoro che sale dai giardini Margherita – scrive lo scrittore Paolo Ruggiero – è talmente forte che potrebbe anche squarciarle le nuvole e far piovere. Ma ancora non piove. La miscela di tekno-d’n’b-goa-trance-industrial rimbalza anche in Via San Donato. Frusta l’intonaco, rotola tra le vie deserte”.

L’ultima edizione, nel 2006, parte nonostante il divieto del sindaco Cofferati determinando la rottura delle relazioni con il Comune. In estate arriva così il sequestro giudiziario e la fine del Livello per un inchiesta per spaccio di stupefacenti poi caduta nel vuoto senza nessuna condanna.

«In quegli anni, come anche oggi, c’era una forte richiesta di spazi autogestiti – conclude Max. Dovevamo trovare un modo nuovo per prenderceli, e lo abbiamo fatto con la musica e la danza, invadendo tutta la città. Anche per questo nacque la “Street”, che in pratica era come un grande carnevale liberatorio. Lo spazio è stato eliminato, ma l’esperienza vive ancora».

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