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Le opere di street art tra le rovine dell’Ex-Staveco

Ecco le foto del reportage di Bianca Arnold uscito su Piazza Grande.

Scritto da La Redazione il 13 marzo 2019

Foto di Bianca Arnold

Doveva essere la grande cittadella universitaria, oggi sappiamo quasi per certo che diventerà una cittadella giudiziaria. Quando parliamo di Ex-Staveco parliamo di oltre 90mila metri quadrati tra porta San Mamolo e Porta Castiglione che nascondono officine, depositi, grandi padiglioni, strade, piazze e cunicoli. Una vera città nella città che è stata tante cose: ospedale e caserma durante l’occupazione dei francesi nel 1796, poi stabilimento per la produzione e lo stoccaggio del materiale bellico durante il Regno d’Italia e la prima guerra mondiale, officina per la riparazione dei mezzi militari e, dal 1978, STAVECO (Stabilimento Veicoli da Combattimento). Fino al 1991, quando ogni attività cessò e per i bolognesi rimase soltanto il grande parcheggio che nasconde l’abbandono retrostante. Oggi la vegetazione della collina di via Codivilla avanza inesorabilmente (nel nuovo progetto i tre ettari di terreno non edificabile saranno destinati ad un parco urbano che ricucirà il centro con la collina) aggiungendo fascino alla decadenza e fornendo un’ulteriore cornice per le opere di decine di street artist che nel tempo sono andate ad abitare sulle pareti scrostate di quel relitto: Ericailcane, Andrea Casciu, Zolta, Crisa, Tellas, Argonaut, Void, Rmogrl8120, Luogo comune, Dielis, Claudio Sale, Dissenso cognitivo, Sharko, Bibbito, Lo Sbieco, James Boy, Brome, Awer e molti altri. A ricordarcelo oggi il reportage di Bianca Arnold uscito sull’ultimo numero di Piazza Grande, che ogni mese racconterà un luogo dimenticato. L’Ex-Staveco – scrive la fotografa – “dopo quasi trent’anni, invece di dare vita a macchine per la morte, fa germogliare immaginari artistici e (non meno importante) dà un (quasi) tetto a molte persone. Non è una frontiera. È un confondersi di confini fra la città e i colli. Ed è per questo che non si limita all’essere muro per graffiti, ma molto di più. Un orto, per esempio. Come artista che si vive questo spazio, non bisogna considerarsi soli e padroni del luogo, perché nessuno è solo alla Staveco, e soprattutto nessuno ne è il padrone”.

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