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Oltre la diaspora, le spore contaminanti delle comunità di Bologna

Scritto da Salvatore Papa il 16 settembre 2025

Sofia Jernberg - Photo Jon Edergren

Elementi contaminanti e in grado di produrre un cambiamento: queste sono le Spore dell’omonima rassegna multidisciplinare curata da Kilowatt e Wissal Houbabi, che torna alle Serre dei Giardini Margherita dal 19 al 21 settembre tra performance, installazioni, musica e pratiche collettive. Spore che si pongono, all’opposto della parola “diaspora”, intesa come disgregazione e dispersione, nel tentativo di creare una mutazione fisiologica della contemporaneità. «Le nostre comunità – spiega la curatrice – danno un contributo poco riconosciuto nella città di Bologna, penso in particolare artisti/e e attivisti/e, parte del tessuto sociale, di un sottobosco che è conosciuto davvero per il suo valore da chi lo vuole vivere e riconoscere, il resto è speculazione».

«Persone – spiega – che sono fuori dal circuito del “mondo della cultura e dell’arte” perché magari sono rifugiati politici o perché limitati dal permesso di soggiorno, e quindi non possono fare questo lavoro con grande spensieratezza e serenità, perché costretti a fare tutt’altro e perché il cosiddetto “mondo della cultura e dell’arte” è fin troppo istituzionale per accrescersi con ciò che davvero si muove. L’obiettivo è, quindi, costruire un punto di riferimento per la comunità ‘sporica di Bologna e creare un ponte internazionale con altre comunità connesse ai nostri immaginari.»

Il titolo scelto per questa edizione – Anime della mia anima – diventa filo conduttore per una riflessione che unisce memoria, resistenza e poesia, partendo dalle parole con cui ricorderemo il palestinese Khaled Nabhan. «Rouh rouhi, anima della mia anima, è un invito a riconoscersi come comunità interconnessa, a ricordare l’arte come atto di resistenza, di amore e come contributo per immaginare un futuro che veda le nostre relazioni al centro. L’oppressore ha già fallito non calcolando l’amore che produce irragionevole capacità di resistere.»

«Questo è l’anno in cui si completa, in qualche modo, una trilogia – racconta Wissal Houbabi. Il primo anno l’abbiamo dedicato alla Tenerezza Radicale, all’idea che la radicalità possa essere affrontata anche come un atto di cura verso la comunità, esprimendosi, ad esempio, attraverso la poesia o la sperimentazione di Marlon Riggs. Il secondo anno il claim è, invece, stato, “Non era previsto che noi sopravvivessimo“, un verso della poeta Audre Lorde, che fa comprendere chiaramente quanto tutto ciò che siamo è stato duramente represso per secoli e a diverse latitudini, ma anche tutta la nostra capacità di costruire una visione alternativa. Continuiamo a non essere previsti ma sopravviveremo. Come la canzone dei Fusai Fusa, l’arte è una Amana (responsabilità). Il nostro essere, esistere e immaginare non era previsto che sopravvivesse, quindi abbiamo celebrato ciò che facciamo e che è sopravvissuto all’oblio.
Anime della mia anima riguarda invece la gratitudine, partendo da noi e ciò che difende quotidianamente la nostra dignità. Vorremmo affermare che siamo ciò che siamo perché abbiamo una comunità attorno a noi e molto spesso lo dimentichiamo o la rabbia prende il sopravvento. E che prima dell’odio per l’oppressore, la fonte della nostra energia è l’amore verso la nostra comunità e il nostro desiderio di vivere. Perché se la rabbia corrode e rende sempre il nostro oppressore protagonista di questo film, l’amore ci permette invece di dare priorità a qualcos’altro di più importante».

Zahma

Il programma si apre il 19 settembre con una performance corale che intreccia moda, danza, parola e musica: sul palco Zineb Hazim, designer marocchina accompagnata dai suoni di BooggaZogga e dalle parole di Houbabi. La serata prosegue con Yunis, artista elettronico sperimentale, si conclude con Janubi, piattaforma fondata da Elyes Fatnassi che porta nei club i ritmi del sud globale contro l’omologazione occidentale.

Il 20 settembre la rassegna si sposta sul terreno dell’audiovisivo e della riflessione: l’installazione Abito di Confini di Opher Thomson racconta la migrazione attraverso il cammino e ciò che segna, mentre l’incontro A Seventh Man, mette in dialogo Justin Randolph Thompson, Pierluigi Musarò e Jermay Michael Gabriel a partire dall’opera di John Berger e Jean Mohr. In serata arriva Men Bled Le Bled, cartografia audiovisiva firmata da Houbabi insieme a Houssem Ben Rabia e Francesco Fiore De Conno, seguita dalla doppia performance di Sofia Jernberg, cantante etiope-svedese dalla vocalità radicale, e dello stesso Gabriel con Colonna አም, indagine performativa sulla monumentalità coloniale italiana. La giornata si chiude con il djset Zahma del producer egiziano Adù, un viaggio sonoro che intreccia Mediterraneo e dancefloor globali.

Il 21 settembre si inizia invece con il workshop Embodied Explorations di Michael Hanna, danzatore e attivista egiziano, che propone un lavoro sul corpo come archivio di resistenza e immaginazione. Ci sarà un laboratorio con il gruppo Tatreez Napoli e un dibattito aperto con i Giovani Palestinesi di Bologna, partner del festival insieme a Capovolte Edizioni. In serata, spazio alla musica di Samah Boulmona e Ali Hout con Shurum Burum, un set che reinterpreta i maestri della canzone araba e le voci della resistenza, seguito dalla performance di Hanna Kinetic Echoes: A Solo of Sumud, solo esplora il viaggio somatico del superare le avversità, riecheggiando sia la forza personale che la resilienza collettiva riscontrata nella storia. La chiusura sarà accompagnata da un aperitivo il cui ricavato sarà interamente donato alle attività che i Giovani Palestinesi di Bologna portano avanti.

«Il festival – conclude Houbabi – è espressione di un lavoro complesso e collettivo, il risultato di una serie di stimoli che ho ricevuto dalla comunità presente qui in città e dalla maggior parte delle persone che ne fanno parte. Qui, però, non è il pubblico che definisce che tipo di ambiente deve essere. Qui non accettiamo il feticismo dell’esotico. Qui non ci interessa centellinare le parole da dire e non dire affinché la bianchezza non si scomodi troppo. Perciò dico: se questo non è uno spazio che non comprendete ancora, nonostante sia molto chiaro, non venite. Non venite.»