Un’edizione che proprio non puoi dire di no. Sì, certo, qualcuno di noi questa cosa la pensa ogni volta che esce il cartellone, da almeno dieci anni a questa parte – i più severi in quanto a gusti e festival estivi, magari, l’avranno pensata ad anni alterni – ma per questo sedicesimo giro di boa, il Primavera Sound ha fatto sciogliere le riserve anche a quelli che «No, un chilometro per andare da un estremo all’altro del Parc del Fòrum quest’anno non lo faccio». Come? Con una line up che sotto degli headliner da sold out più o meno immediato, nasconde diversi livelli di godimento anche per le orecchie più esigenti. Se mettere insieme una tripletta come Radiohead, PJ Harvey e Lcd Soundsystem è gioco di prestigio che, in Europa, può riuscire a pochi altri oltre al Primavera Sound (pochi e sicuramente più mastodontici), la vera sorpresa sopraggiunge nella visione d’insieme dei nomi medio-piccoli.
Oltre alle band puramente primaverili come Sigur Rós, Tame Impala, Animal Collective, Moderat, Beach House, Battles ed Explosions in the Sky, oltre agli illustrissimi John Carpenter e Brian Wilson (performing Pet Sounds), ai pezzi di cuore più o meno immancabili come Deerhunter, Ty Segall and the Muggers, The Chills e Thee Oh Sees, all’hype buono di Floating Points e Goat o al puntuale ossequio all’hip hop – da Pusha T agli Ho99o9, fino a Vince Staples e Action Bronson – c’è il volto alternativo del Primavera Sound.
Quello che in un’unica soluzione vi infila gli sbalzi emotivi procurati da Lubomyr Melnyk, quelli psicofisici dei Boredoms, i bristoliani kraut guidati da Geoff Barrow (Beak>), il sound afrocubano dell’Orchestra Baobab, l’elettronica ipnotica del nuovo progetto di Tim Gane degli Stereolab, Cavern of Anti-Matter, il dub sognante degli A.R. Kane e lo shoegaze caramellato degli Autolux. Senza poi voler stare a scomodare Julia Holter, Current 93, Six Organs of Admittance, Psychic TV, Alessandro Cortini, Holly Herndon e una valanga di altri.
C’è poi tutto l’aspetto logistico del Primavera Sound: un festival dalle presenze a cinque zeri in un’area innegabilmente molto, forse troppo, grande (ma con delle venue per le feste di inizio e fine festival, sparse per Barcellona, che qui ce le sogniamo), che contrappone una gestione divenuta negli anni assai efficace, un programma di concerti interamente gratuiti – Primavera al Raval – nel centro della città (provate a pensare solo per un attimo se una cosa del genere sarebbe mai lontanamente possibile in Italia) e una nuovissima location con dj set vicino alla spiaggia, il Beach Club, adiacente al Fòrum, che per tutto il giorno e la notte ospiterà nomi più o meno celebri dietro la consolle – il cuore mi impone di citare almeno Bob Mould. Il Primavera Sound è uno dei primi banchi di prova della nostra forma fisica e mentale alle soglie dell’estate. Con la timetable davanti, c’è da stare male e fare scelte di cuore. Uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo.