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Se i colli diventano l’Ikea

Scritto da Salvatore Papa il 23 novembre 2020
Aggiornato il 24 novembre 2020

Una foto del 25 aprile a Montesole di qualche anno fa. Fonte: notiziefabbriani.blogspot.com

Con il coprifuoco, il divieto di andare fuori porta, i bar chiusi e i centri commerciali pure, chi vive a Bologna sta riscoprendo i tesori della propria città. In particolare i colli sono diventati l’attrazione principale del weekend, presi d’assalto come l’Ikea nel periodo natalizio. Complici le belle giornate, tutti i parchi si sono riempiti di gente e ieri una fredda domenica di novembre si è trasformata in una preview di Pasquetta con pic-nic, chitarre, racchettoni e palloni.

Al contrario, in città c’erano pochissime auto e in bici si pedalava che era un piacere. Quasi una sorta di redistribuzione dell’inquinamento acustico che generalmente caratterizza alcune parti di città.

Ma c’è chi non è contento. Tra questi Benito Fusco, religioso dei Servi di Maria che abitano all’Eremo di Ronzano, che ha sbottato così: “Avete presente un’invasione di cavallette? Ebbene la stiamo subendo all’Eremo da stamattina – ha scritto ieri su Facebook – la pazienza è finita… Chiuderemo la chiesa, non diremo più messe fino al 13 dicembre e metteremo barriere metalliche in ogni sentiero. Alberi di cachi spogliati dei frutti, flora protetta asportata a mani basse… orti self service di ladruncoli furbetti, prati e aree scoscese con i cespugli di alberi appena piantati, divelti o calpestati o tramutati in aree di sport a cielo aperto, vigna scambiata per piazza Maggiore…il silenzio, patrimonio di Ronzano, completamente inesistente… pallonate a gogò, dissacrato il giardino della memoria con i cippi dei nostri frati defunti, cartacce e bottiglie scolate dappertutto, vergognatevi!!!”

Uno sfogo che ha trovato concordi in molti, contro i “barbari” e la “gentaglia” della domenica.

Ora, a prescindere dall’Eremo, che è un luogo religioso e in un certo senso “privato”, pare un po’ di essere alle prese con una “de-gentrificazione” dei colli. Chi ha pagato a caro prezzo la quiete e guarda dall’alto la città, si trova improvvisamente a dover fare i conti con la “città in basso” abituata alla caciara.

Vorremmo una città verde, ciclabile e con poche auto, ma appena ce l’abbiamo vorremmo che non fosse per tutti.

La soluzione avanzata, come spesso accade, è la chiusura: è già successo con le piazze e potrebbe toccare di nuovo anche ai parchi. E davanti a una massa “irrispettosa” di persone smarrite dall’assenza di luoghi dove spendere il proprio denaro, l’unica speranza per gli “autentici fruitori della natura” è che presto si ritorni a una normalità fatta di shopping e vuote passeggiate tra negozi. Insomma, vorremmo una città verde, ciclabile e con poche auto, ma appena ce l’abbiamo vorremmo che non fosse per tutti.

E in questo modo, purtroppo, non ce la faremo mai. Perché non si può pretendere che una città come tante, trasformata in un enorme centro commerciale, invasa da costanti stimoli pubblicitari, soffocata dal rumore e la puzza del traffico si trasformi improvvisamente in una valle di ambientalisti ascetici che accarezzano gli alberi in religioso silenzio. Non va così.

Nessuna trasformazione avviene senza fastidi. Quello di cui avremmo bisogno è invece una Città che cambia le proprie abitudini: i centri commerciali e i negozi la domenica chiudiamoli sempre; le auto vietiamole il più possibile; le strade sui colli rendiamole pedonali; i sentieri facciamoli partire dal centro; aumentiamo il verde, eliminiamo cemento, non distruggiamo i parchi!

Certo che gli incivili vanno criticati, anche puniti magari, ma se continuiamo a prendercela con “la gente” e non con chi ha il compito di dare e anticipare l’esempio, le cavallette continueranno a consumare e distruggere perché non c’è nient’altro che possano fare.