Dopo cinquanta giorni di occupazione, questa mattina le forze dell’ordine si sono presentate davanti alla Vivaia, in via della Certosa 35, per eseguire lo sgombero. Lo spazio, diventato un punto di riferimento per il mondo transfemminista e non solo, era stato occupato l’8 aprile scorso e la denuncia del proprietario era arrivata una settimana dopo, seguita da diverse contrattazioni che però non hanno avuto l’esito sperato.
Proprio ieri era stato diffuso un comunicato dalla Vivaia stessa in cui, rendendo pubblica la trattativa in corso e la mediazione del Comune, si preannunciava lo sgombero imminente: “Ci sono state proposte due possibilità – scrivevano: la prima opzione, da parte del proprietario, è quella di uscire dallo spazio, per poi rientrarvi in seguito al raggiungimento di un accordo, che vedrebbe il Comune come garante; proposta che per noi risulta politicamente inaccettabile. Nel secondo caso invece il Comune si propone di accelerare il passaggio di proprietà in un tempo di dieci giorni, dopo il quale l’area diventerebbe definitivamente di proprietà pubblica per essere poi a noi ceduta con una concessione temporanea della durata di dieci mesi”.
La palazzina, parte dell’ex vivaio Gabrielli posta tra le vie della Certosa e delle Tofane, è infatti oggetto di un’operazione di perequazione urbanistica messa in atto dal Comune nel 2019 quando la società EDILBO si accordò con l’Amministrazione per cedere una grossa parte dell’area verde, a fronte del permesso per la società di costruire “nel lotto contiguo di proprietà della medesima e l’eventuale incremento volumetrico del 10%” per “abitazioni singole permanenti e temporanee, bed and breakfast, affittacamere“. Cessione da perfezionarsi entro il 2025 e che il Comune, quindi, aveva proposto alla Vivaia di accelerare entro 10 giorni per avviare in seguito una concessione a patto di alcune condizioni (coprogettazione, formula associativa, raggruppamento di altre realtà transfemministe ecc.) rifiutate però dal gruppo occupante.
“Non usciremo dallo spazio durante la trattativa – si leggeva nel comunicato di ieri. È imprescindibile il riconoscimento dell’assemblea e dell’autogestione. Sarà quindi necessario trovare una formula che non sia associativa, ma che riconosca il gruppo informale che gestisce lo spazio […] Non possiamo accettare soluzioni con scadenza nel breve periodo; […] Come espresso chiaramente nel comunicato di apertura dello spazio, non riteniamo il meccanismo della coprogettazione un metodo adeguato per il confronto politico tra le parti sociali e le istituzioni;[…] Vogliamo che tornino a esserci tanti spazi transfemministi queer in città perché per noi è impensabile poter condensare tutte le esperienze appiattendo le specificità dei percorsi politici”.
A fianco della Vivaia anche il comitato di quartiere formatosi per sostenere l’occupazione e fare luce sulla destinazione futura dell’area, Viva la Vivaia, definitosi “un gruppo di abitanti e di cittadine che grazie all’occupazione dell’ex vivaio Gabrielli hanno avuto l’opportunità di scoprire una radicale modifica del territorio in cui vivono”.
Viva la Vivaia aveva lanciato una petizione contro lo sgombero raccogliendo più di mille firme e oggi scrive: “L’occupazione ci ha aperto gli occhi e continuiamo a volerli tenere aperti, perché siamo residenti e proprio per questo portatori di interesse. Abbiamo verificato di persona come l’occupazione abbia garantito, oltre a una riflessione che altrimenti non avremmo potuto maturare attraverso i muti canali istituzionali, la possibilità di partecipare ad attività e pratiche basate sull’apprendimento e la consapevolezza rivolte a tutte le età, gratuitamente, con un coinvolgimento spontaneo e libertario. Sosteniamo e difendiamo l’occupazione di VivaiaTFQ come spazio fuori dalle logiche di mercato e aderiamo alla richiesta delle occupanti di un luogo di socializzazione autogestito. Vogliamo che l’area dell’ex Vivaio mantenga la propria vegetazione, non vogliamo sia sostituita da cemento e giardinetti senza vita. Vogliamo un luogo che abbia un impatto educativo e di cura condivisa. Il progetto edilizio che insiste su questa area mette a rischio tutto questo. Per questo motivo ci muoveremo per richiedere tutte le informazioni necessarie per avere contezza di quanto il Comune di Bologna prevede per il nostro futuro: documenti, atti, pianificazioni e analisi tecniche post-alluvione. Ci muoveremo per essere coinvolti nella progettazione urbanistica“.