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Una cosa che ci manca: DLF e dintorni

Scritto da Guendalina Piselli il 18 marzo 2020
Aggiornato il 30 marzo 2020

Dopo una settimana di quarantena il sacchetto del rusco pieno è il tuo miglior compagno di quei dieci minuti d’aria che ti sono concessi. Non importa se abiti al quarto piano senza ascensore di una classica casa bolognese e le scale sono talmente ripide da sembrare a chiocciola, ché se le fai troppo veloce ti gira pure un po’ la testa. Mentre sali e scendi almeno una volta al giorno con la scusa che l’umido puzza e ti prepari a riscoprire capolavori come la saga di Terminator, allora capisci che anche superare le mura delle città ti darebbe la stessa sensazione di una gita fuori porta in una bella giornata di primavera.
E con la stessa nostalgia di quando i nonni dicono “ah, alla tua età saltavo i fossi per il lungo”, mentre il sole cala pensi al Kinotto, a quand’era ancora il bar dei cinesi dove bere qualcosa prima di entrare al Locomotiv, pensi al tuo posto preferito per fare l’aperitivo lontano dai turisti che affollano il centro città o bere una birretta dopo la partita di calcetto, tennis o beach volley.

E non vedi l’ora di tornare ad attraversare il ponte di via Stalingrado, i suoi muri colorati che un tempo ospitavano BLU per raggiungere il DLF, uno di quei posti che ti accolgono all’insegna della sobrietà e ti ricacciano dondolate a notte fonda. Perché ti manca la locomotiva puzzolente parcheggiata di fianco al campo di bocce; la possibilità, se lo stomaco brontola, di scegliere tra la pizza alla romana di Pizzartist, la combo eccezionale del circolo sardo-cinese di via Vestri o lo spizzico “da poracci” alla Lidl.
Ti mancano i concerti del Locomotiv, il dilemma esistenziale se lasciare la giacca al guardaroba o risparmiare per un altro drink, l’odore del locale dopo una serata; le serate dal sapore ruvido del Freakout, circondato da speculazione edilizia e street art; ti mancano le jam session del novello Sghetto Club e gli after del Mikasa, una garanzia come la pioggia il lunedì di Pasquetta, con le puntatine continue al bancone del bar, quella roba in grado di farti sentire sempre giovane.

Sempre e comunque “vicino”, che tu stia dentro o fuori le mura, grazie a quel ponte che prima o poi tornerà ad unirci.