A Palazzo Vizzani si inaugura una nuova mostra curata da Fulvio Chimento. Filigrana, dal 24 gennaio al 7 marzo 2020, propone un dialogo tra le opere, per la maggior parte inedite, di Stefano Arienti, Pierpaolo Campanini e Maurizio Mercuri.
Il titolo allude all’antica tecnica di impressione visibile su carta solo in trasparenza o in controluce, che simbolicamente costituisce anche l’anima dell’opera d’arte che può manifestarsi o rimanere quieta in attesa di un atto critico in grado di ridestarla.
Gli ambienti del palazzo settecentesco permetteranno un percorso espositivo che si pone come un “atto critico di alto valore”, “l’unico modo possibile di avvicinarsi all’anima – ovvero la “filigrana” – di un’opera d’arte”.
Come è nata l’idea di questa mostra?
Il progetto Filigrana nasce dalla volontà di dedicare attenzione ad artisti nei quali la componente manuale e concettuale/teorica è in grado di raggiungere un equilibrio elevato, cercando di inserire il tutto in un contesto ambientale di forti suggestioni. La filigrana è da intendere come l’anima dell’opera d’arte, che racchiude misteri e segreti mai svelabili del tutto, anche in presenza di un atto critico di valore.
Filigrana si lega alla mostra Alchemilla, realizzata a Palazzo Vizzani nel 2019, ma evidenzia la maggiore fragilità del processo che porta a compimento dell’opera (mentre Alchemilla dedicava attenzione a opere scultoree indefinite in continua comunicazione e rifrangenza, come se il visitatore venisse invitato all’interno della bottega di un alchimista). Le due mostre sono tra loro in relazione, come due boccioli che spuntano sullo stesso ramo in stagioni differenti. Considero il percorso curatoriale come un sentiero di ricerca al pari delle speculazioni che gli artisti spesso esercitano attraverso la materia.
Come hai strutturato questa esposizione? Ci sono diversi livelli di lettura connessi ai tre artisti che hai invitato?
Ogni opera è in grado di raccontare e di raccontarsi, e al tempo stesso si integra in un percorso organico in cui il visitatore è una componente essenziale. Tutti e tre gli artisti si sono formati tra gli anni Ottanta e Novanta, e si esprimono con differenti linguaggi che sanno rinnovarsi mantenendo spiccata coerenza. Ho cercato di far emergere le peculiarità di ciascuno calando le loro opere in un contesto unitario in grado di valorizzare i rispettivi modus operandi, anche per riportare il valore dell’opera al centro del dibattito critico. Stefano Arienti fu il primo visitatore della mostra Alchemilla organizzata nel 2019 a Palazzo Vizzani in occasione di Arte Fiera, con lui ho avuto il piacere di collaborare nel 2018 nel progetto Ailanto allestito all’interno del Parco Archeologico dell’Appia Antica a Roma. Anche Campanini venne più volte a visitare la mostra Alchemilla, poiché rimase colpito dal modo in cui la luce, penetrando dalle grandi finestre esposte su via Santo Stefano, si riversa sugli elementi all’interno delle stanze. Maurizio Mercuri è un artista sorprendente, dotato di animo poetico e di forte spiritualità, il suo lavoro mi è sembrato il collante ideale per collegare la leggerezza di Arienti e la raffinatezza di Campanini.
Cosa intendi per “atto critico” in grado di disgregare la “filigrana”, ossia l’anima dell’opera d’arte?
ntendo affermare che un atto critico di alto valore è forse l’unico modo possibile di avvicinarsi all’anima – ovvero la “filigrana” – di un’opera d’arte. La filigrana è antica tecnica di impressione visibile su carta solo in trasparenza o in controluce, che rimanda alla preziosità e alla sapienza del processo di elaborazione artistica. Nella mostra a Palazzo Vizzani questa riconoscibilità potrà sembrare più accentuata perché sono presenti molte opere su carta, o che evidenziano la preziosità del lavoro manuale, o che cercano di cogliere l’essenza del luogo ospitante. In relazione a quest’ultimo aspetto risulta particolarmente significativo un intervento di Maurizio Mercuri intitolato Stella di polvere, nel quale l’artista marchigiano realizza a pavimento una stella di polvere, meticolosamente raccolta nelle stanze di Palazzo Vizzani. La filigrana, dunque, rappresenta anche l’azione del tempo esercitata sulla materia, sulla storia dell’uomo e sulla volontà di agire. Spesso questa azione del tempo lascia segni tangibili, violenti ed evidenti, altre volte risulta invisibile o appena percepibile attraverso minime tracce. Ecco perché considero la stella di Mercuri un intervento tra i più importanti della mostra.
Un fattore molto importante della mostra è la produzione di alcune opere. Ci puoi raccontare qualcosa?
La maggior parte dei lavori sono stati realizzati appositamente per Filigrana, oppure mai mostrati in precedenza. È questo un aspetto di grande valore, poiché significa che gli artisti hanno sposato a pieno il progetto e che il luogo li ha ispirati al punto di mettersi in discussione. Arienti presenta otto lavori nuovi, tra cui solamente uno è stato mostrato di recente in altro contesto. Campanini ha realizzato due opere frutto del suo lavoro degli ultimi mesi, uno dei quali prevede un invito-collaborazione-dialogo con Luca Bertolo. Mentre Mercuri presenta un elevato numero di opere nuove accanto ad altre che attingono alla sua produzione passata (alcune tra queste potrebbero sfuggire a un primo sguardo, poiché risultano volutamente “incastonate” nella struttura del Palazzo). Oltre al valore delle opere in sé, ciò che sorprende è il fatto che tra i lavori degli artisti si crei una dimensione di dialogo spontaneo, in grado di affievolire confini linguistici per restituire unitarietà al valore assoluto dell’arte.
Come si è costituita questa nuova realtà bolognese, l'Associazione Alchemilla?
Il nome dell’associazione deriva da quello della fortunata mostra dello scorso anno, che prevedeva la presenza di David Casini, Cuoghi Corsello, Dado, Claudia Losi, T-yong Chung. La forza che quella mostra ha avuto ha permesso a un gruppo di professionisti dell’arte e della comunicazione di conoscersi meglio e di organizzarsi in associazione. Alchemilla è uno spazio indipendente, che, oltre a prevedere momenti espositivi e performativi, ospita sette artisti in studio e dispone di uno spazio per residenze. L’idea di partenza è stata quella di dare vita a uno spazio dedicato all’arte, un luogo di conoscenza, di cultura e di incontro, che dialoga con il territorio (inteso in modo ampio) e che vive di arte in modo continuativo, non solo durante eventi o esposizioni, ma anche attraverso lo studio e la libertà di sperimentazione.
Ci puoi dire qualcosa sulla progettazione espositiva futura?
Nei prossimi mesi attiveremo delle residenze dedicate alle arti visive e performative e stiamo lavorando a una programmazione organica. Il nostro progetto iniziale era di partire a inizio 2020 con una serie di momenti culturali in grado di caratterizzare la nostra volontà di azione: una mostra di livello, l’assegnazione di tutti gli studi e l’organizzazione di una residenza (al momento sono presenti il duo Saggion-Paganello). Tutti gli obiettivi sono stati pienamente raggiunti.
Anche se non sei di Bologna immagino che frequenti la città da parecchi anni. Che posti ti piace frequentare quando sei in città?
Sono di Roma, dalla quale “idealmente” non mi sono mai totalmente distaccato, fortunatamente ci torno spesso per lavoro. Dal 2010 vivo con la mia numerosa famiglia a Modena, una città protettiva che mi ha accolto con generosità. A Bologna vengo almeno due mattine a settimana per accompagnare le mie figlie alla scuola steineriana Maria Garagnani, una istituzione che dedica estrema cura all’educazione artistica dei bambini. I luoghi che frequento maggiormente a Bologna sono le biblioteche di quartiere, quelle che prediligo si trovano a Borgo Panigale e Zola Predosa. Mi affascina particolarmente il Baraccano, che di notte sembra un’isola di lava scura e magnetica (cerco di passarci davanti tutte le volte che torno da Palazzo Vizzani), così come i Giardini Margherita, che mi riconciliano con una qualche forma di natura. Sono affezionato particolarmente alla cupola del Santuario di San Luca, che, come una bussola, indica sempre una direzione esatta. Sono particolarmente legato anche al quartiere Mazzini, dove abitano molti degli amici artisti con cui ho condiviso tante fortunate avventure in questi ultimi anni.