Solo quattro anni fa inaugurava negli spazi dell’allora abbandonata Autostazione, SetUp Contemporary Art Fair, nuova fiera bolognese dedicata all’arte emergente. Anime dell’impresa sono Simona Gavioli e Alice Zannoni, rispettivamente presidente e direttore. Le ragazze sono tostissime e da qualche mese hanno anche costituito l’associazione Caravan, che vive proprio al primo piano della stessa autostazione, fra mostre, coworking e tè pomeridiani, fino ad aprile 2016, quando sarà poi aperto un bando comunale per l’assegnazione (e speriamo bene…).
In occasione della , quarta edizione di SetUp, abbiamo quindi chiesto a Simona cosa è successo in questi anni e cosa ne sarà del futuro.
Zero – Come sei arrivata alla presidenza di SetUp?
Simona Gavioli – Il progetto di SetUp è nato da un’idea avuta con Alice Zannoni per dare anche a Bologna un’esperienza della quale c’era bisogno. Inoltre, dal 2009 sono direttore della collezione di Zingarelli Rocca delle Macie e dal 2010 curo il loro premio d’arte. Faccio anche il curatore indipendente e sono parte del comitato scientifico di Drawing Room, una giovane fiera di Madrid alla prima edizione che si occupa prettamente di disegno contemporaneo. Nei prossimi mesi curerò una mostra al Marca di Catanzaro di Veronica Montanino, con una doppia curatela con Giorgio De Finis.
Come è cambiata la fiera in questi primi quattro anni di vita? Le attese sono state soddisfatte? E che cosa ti aspetti invece da questa edizione?
In questi quattro anni la fiera è cresciuta molto, sia per la presenza di gallerie, passate da 23 a 44, sia per la risposta del pubblico che ogni anno è sbalorditiva. Ma è cresciuta soprattutto a livello commerciale: la nostra proposta di progetti curatoriali ha avuto un riscontro commerciale interessante. Mi pongo sempre grandi obiettivi: mi aspetto di raddoppiare le vendite e avere una presenza di collezionisti internazionali sempre più attenti alla nostra realtà.
Da dove nasce la necessità di inaugurare una nuova fiera dedicata all’arte emergente? Credi che Bologna possa essere ancora quel serbatoio di giovani talenti che è stata in passato?
Se non ne fossimo profondamente convinte non l’avremmo fatta. Quella di Bologna è stata la fiera più importante e ha ancora oggi grande potenzialità sia dal punto di vista geografico che culturale. Bologna è una fucina di teste interessanti e noi, nel nostro piccolo, stiamo cercando di farla tornare un punto di riferimento imprescindibile per la cultura europea e non solo.
Quale credi siano la forza e l’innovazione del progetto di SetUp in relazione alla ormai consolidata ArteFiera?
La forza di SetUp è quella di saper lavorare con i giovani artisti in tandem con i giovani curatori. Andare non solo a scovare le tendenze emergenti, ma cercare di anticiparle. Ma anche quello di essere un progetto culturale, con una forte valenza commerciale. Questi due aspetti non li abbiamo mai visti in antitesi, anzi crediamo si rafforzino a vicenda. E anche questo credo sia un punto di forza.
Che cosa ti piace e cosa non ti piace di ArteFiera?
ArteFiera è una risorsa imprescindibile perché nel fine settimana dell’Art Week porta a Bologna migliaia di persone che parlano tutte la stessa lingua, quella dell’arte. Cosa non mi piace di ArteFiera? Forse il fatto di essere poco visionaria e un po’ troppo “la stessa”; i tempi cambiano, bisognerebbe cambiare anche l’approccio.
Com’è stato lavorare e relazionarsi con la storica direttrice di ArteFiera, Silvia Evangelisti?
Sono stata una studentessa di Silvia Evangelisti, la conosco da tanti anni ed ero presente negli anni in cui è diventata direttore di ArteFiera. Lavorare con lei è stato ed è fantastico. Silvia è una donna straordinaria, generosa e con grandi capacità. Da grande mi piacerebbe essere come lei.
A cosa ti sei ispirata per costruire SetUp? Hai qualche modello curatoriale di riferimento? Quanto ha pesato il background culturale della “dotta” Bologna?
Per costruire SetUp mi sono ispirata a quello che succedeva nel resto del mondo. Tutte le grandi fiere hanno almeno un satellite che contribuisce a creare un clima ricco e interessante nei giorni della fiera. Ho guardato le esperienze migliori e ho riportato tutto a casa, trovando, nella dotta Bologna, un terreno fertile che aspettava di essere seminato.
Credi che Bologna un giorno possa diventare come Torino?
Bologna e Torino sono due città diverse, ognuna con le sue specificità. Certo è che Torino e la provincia sabauda in questi anni hanno fatto un lavoro meraviglioso e sono senz’altro un modello da seguire. Ma Bologna, per tutte le ricchezze umane che possiede e per i valori che rappresenta, può diventare anche meglio di Torino. Deve solo volerlo.
SetUp ha come sede la vecchia autostazione: quanto credi sia importante in città la riconversione di questi edifici a strutture in grado di accogliere la creatività contemporanea?
L’autostazione ha un potenziale immenso, perché ogni giorno ci passano decine di migliaia di persone, sono ben cinque milioni i transiti annuali. La zona in cui è collocata è uno dei punti nevralgici della città, è un luogo sempre in movimento, aperta a chi arriva da fuori, proiettata verso il mondo. L’autostazione è straordinaria, anche simbolicamente, per fare arte. Qui nascerà il nuovo distretto dell’arte: questa zona sta cambiando e quattro anni fa io e Alice avevamo visto lungo sulle potenzialità del luogo. Oggi qui c’è SetUp a gennaio, e Caravan SetUp il resto dell’anno e poi c’è la neonata velostazione. Quando penso al distretto penso al nuovissimo memoriale della Shoah e comincio a sognare che Bologna, un giorno, segua questo esempio.
Come è stata la reazione della città a questa nuova fiera?
Esplosiva. La città ha bisogno di qualcosa che continui a parlare di arte dopo la chiusura della fiera. Bologna vive di notte, la città non si ferma, le persone stanno in giro ed è importante dare un prolungamento. La città ha capito che questa fiera non fa che arricchirla e renderla più appetibile nel week end di ArteFiera.
Ci puoi dare un’anticipazione degli special project di SetUp?
Per questa quarta edizione abbiamo in serbo due progetti imperdibili dedicati al disegno. Il primo è Drawing the World, un focus su 4 gallerie spagnole di Santander a cura di Monica Alvarez Careaga e l’altro Un grande disegno a cura di Valerio Dehò. Un’attenzione particolare è stata riservata ai locali dall’autostazione di Bologna, che sono stati riportati a nuova vita grazie all’intervento del Cerchio e Le gocce e lo scalone di ingresso a SetUp, dove l’artista RAUL ha dato sfogo alla sua creatività con i suoi Symbols.
Leggendo il vostro programma mi sono incuriosita riguardo un argomento di grande attualità, il connubio tra arte e nuove tecnologie. Come è stato declinato dalla fiera?
La tecnologia è un tema centrale. Le nuove tecnologie sono importanti anche per l’arte e lo sono sempre state nel corso della storia. Per questo ci sembrava interessante fare una riflessione, soprattutto sui nuovi mezzi di comunicazione che entrano di prepotenza anche nella sfera dell’espressione artistica.
Il programma dei talk sembra focalizzarsi in parte sul rapporto ben preciso tra arte e innovazione, intesa appunto come approccio con i social network e il mondo digitale in generale. Quali pensi che sia il futuro dell’arte relazionato al continuo rinnovamento della sfera digitale?
L’Arte è una disciplina che, fin dalla sua nascita, ha dovuto relazionarsi con la tecnologia (basti pensare all’etimologia e al significato di technè/ars). Per esempio, cinque secoli dopo l’invenzione della prospettiva in relazione alla tecnologia della stampa, l’arte contemporanea non può dunque prescindere da rispecchiare il suo tempo e noi di porre uno spunto per la riflessione.
Puoi indicare ai lettori cosa non si devono perdere di questo weekend bolognese, oltre ovviamente alla visita a SetUp?
Quest’anno SetUp Plus, il circuito degli eventi in città sotto promossi da SetUp, si distingue per numero e spessore dei progetti espositivi, ma anche per la ricca varietà di location coinvolte, alcune davvero particolari e suggestive. Per citare qualche esempio, la Basilica di san Bartolomeo in Strada Maggiore ospiterà la personale di Filippo Porcelli, il Royal Hotel Carlton aprirà la sua hall alle fotografie di Paolo Balboni, la Miro Gallery esporrà le opere di Veronica Montanino e la serie Eden Valley del fotografo Nino Migliori. Uscendo dal nostro circuito da vedere sono la mostra a Palazzo Fava Guido Reni e i Carracci. Un atteso ritorno. Capolavori bolognesi dei Musei Capitolini e sicuramente la prima nazionale al Teatro Comunale di Matthew Barney River of Fundament.
I tuoi posti preferiti a Bologna e dintorni? Bar? Ristoranti?
Il miglior vodka sour della città a Casa Minghetti, il miglior ristorante della città un po’ fuori Bologna ma imperdibile è il Ristorante Marconi di Aurora Mazzuchelli a Sasso Marconi.
Quali sono i tuoi amici e colleghi in questa città? Cosa fai dopo il lavoro?
Alice Zannoni con cui ormai viviamo in simbiosi, Maria Letizia Tega, giovane curatrice che sta lavorando per un interessante progetto di mostra su Fermi, ed Enrica Chicchio della Galleria Spazia. Poi naturalmente altri come Raffaele Quattrone e Valerio Dehò, persone che stimo molto e con le quali si è instaurata una bella e sana amicizia. Non ho molto tempo libero, ma quando ne ho un po’ sono un appassionata di cucina e mi concedo una cena nei grandi ristoranti stellati in giro per il mondo.
L’ultimo evento interessante che hai visto a Bologna?
La proiezione di Foolish Wifes (femmine folli), un film del 1922 che è stato proiettato al Teatro Manzoni di Bologna e l’ultima mostra che mi è piaciuta molto in città è Lawrence Carrol al MAMbo. E poi il capolavoro di Paolo Fiore Angelini, Germano Sartelli. La forma delle cose. Conversazioni.
Della generazione di artisti bolognesi, hai uno storico artista che ha influenzato il tuo percorso? E un giovane con cui vorresti lavorare?
Un artista che stimo molto è Raimondo Galeano. Un giovane col quale spero di lavorare è Luca Moscariello.