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L’abito è una pelle che ci abita: intervista a Sissi

L'artista bolognese presenta a Palazzo Bentivoglio la mostra ”Vestimenti” nei giorni di Arte Fiera 2020.

Scritto da Valentina Rossi il 2 gennaio 2020
Aggiornato il 3 gennaio 2020

Foto di Alessandro Trapezio

Luogo di nascita

Bologna

Luogo di residenza

Bologna

Attività

Artista

Dal 21 gennaio al 19 aprile 2020 Palazzo Bentivoglio presenta Vestimenti, una mostra personale di Sissi, artista bolognese che negli anni si è distinta in Italia e all’estero per il suo lavoro che spazia dalle performance alle sculture, dai video alle fotografie, dai disegni ai dipinti. Per questa occasione Sissi espone un’ampia selezione delle sue sculture-abito dagli esordi ad oggi. Vent’anni di ricerca artistica sintetizzati con un nucleo ben definito di opere e un particolare progetto installativo, pensato dall’artista stessa, che consente diversi livelli di lettura, molto intimi e personali.
La mostra è a cura di Antonio Grulli e inaugurerà nelle giornate di Arte Fiera, accanto a un catalogo edito da Corraini con i contributi anche di Mariuccia Casadio, critica d’arte, curatrice e giornalista, e dell’artista Christian Holstad.

 

Come è nata l’idea di questa mostra?

L’altorilievo di Benedetto Antelami “La deposizione della croce” ha unito le mie visioni con le riflessioni vestimentali del curatore della mostra Antonio Grulli.
In particolare il dettaglio – che rappresenta la contesa della veste di Cristo – innesca diverse fascinazioni che si uniscono alle riflessioni di alcuni miei lavori.
La composizione e la profondità dell’opera di Antelami è innovativa per il suo tempo, questo emerge soprattutto nello stile della veste fatta di un panneggio mosso e tempestoso, così dinamico che dà l’illusione che possa uscire per essere presa in salvo da chi l’ammira.

Come hai strutturato questa esposizione? Ci sono diversi livelli di lettura connessi alle differenti fasi di produzione e ad alcuni tuoi criteri intimi, legati principalmente alla sfera privata.

Lo spazio espositivo di Palazzo Bentivoglio si articola in suggestive sale sotterranee dal forte carattere spaziale. Mi piace leggere nel luogo in cui espongo un senso di appartenenza in cui la mia anatomia possa espandersi. I muri dello spazio, fatti di mattoni cinquecenteschi, sono scorticati e e sembrano rappresentare la pelle viva del palazzo stesso, pelle che viene strappata suggerendo una disposizione verticale ai telai metallici visti e interpretati come di impalcature ossee che sostengono le case emotive, gli abiti.
La mostra inizia nel cortile ed è introdotta dalla scultura “Corpo libero”, un cubo di due metri articolato da tubi di ferro che descrivono un interno, una visione astratta dell’intimità che accompagna il visitatore nella mostra. Entrati nella prima sala ci troviamo in nello spazio mentale dell’esposizione, un luogo bianco dove ho riposto la costruzione dell’abito, rendendo visibile la genesi dell’essere. Arrivati alla seconda stanza si scivola dentro una cavernosità più ventrale, le luci e i materiali ci collegano ad uno stato transitorio, quello della nascita che ogni giorno “ci veste” del nuovo, nell’ultimo spazio – che io chiamo la manica – sono appesi le creazioni che indosso nella mia quotidianità.

Mi puoi dare una definizione di sculture-abito?

L’abito è la cosa più simile al corpo, siamo noi, ma visti svuotati.
L’abito esprime umanità quando appeso, pesante della forza gravitazionale che lo tende al basso come la pelle di San Bartolomeo tenuta nella sua mano.

Durante i giorni di Arte Fiera è prevista anche una performance (domenica 26 gennaio, ore 14.30-16.30). Ce ne puoi parlare?

La performance “Abitare l’altro” è un dispositivo scenografico laboratoriale. Inviterò sul palco il pubblico a partecipare alla costruzione e vestizione del proprio essere.
La performance si sviluppa nell’ordine di una “catena di montaggio”: stoffe, macchina da cucire, tavolo da lavoro, cartamodelli biomorfi e infine, un plinto per alzare la figura del partecipante.
La nostra identità si costruisce attraverso la maturità, l’esperienza e le difficoltà della vita, così come la costruzione dell’abito è un campo di battaglia che può raccontare quello che la pelle non rivela. L’abito è una pelle che ci abita e che ci introduce emotivamente nel quotidiano.

Non è la prima volta che esponi i tuoi vestiti: mi viene in mente la mostra alla Fondazione Pomodoro del 2010 e quella, sempre in occasione di Arte Fiera, al Museo Archeologico. Che differenza c’è tra quelle mostre e Vestimenti?

Nella personale “Addosso”, a cura di Angela Vettese e Milovan Farronato, l’installazione si presentava come un armadio esploso, 60 metri di tubi innocenti disposti su due file di diverse altezze. Un corpo di lavori che appariva come un esercito, una grande famiglia messa in ordine sotto forma di archivio da cui deriva il lavoro tassonomico “Archivio addosso 1998in progress”.
Invece la mostra personale “Manifesto Anatomico”, a cura di Gianfranco Maraniello e Sabrina Samorì, era dislocata negli spazi dei Musei di Bologna. In particolare al Museo Archeologico erano installate alcune mie sculture nella sala della Gipsoteca, in questo allestimento i gessi antichi – intesi come modelli di proporzioni e bellezza – erano stati messi in confronto con abiti e sculture, queste considerati come testimonianze destrutturate dall’ibridazione della nostra contemporaneità.

Com’ è il tuo rapporto con la moda?

La moda ha un’aritmia velocissima e questo può togliere energia a un settore in cui la creatività è sempre messa in discussione.
Collaborare con il settore moda è una sfida, ma quando è successo mi ha sempre coinvolto positivamente.

Hai qualche referente legato a quel mondo? Mi viene in mente il tuo Chanel fatto di stracci, ad esempio.

Non in particolare, è importante essere informati quindi seguo e mi appassiono, ma soprattutto sono interessata ai cartamodelli.

L’abito è centrale nella tua ricerca, è sicuramente legato al corpo ma non si può certo negare una sorta di affinità con le fasi della progettualità sartoriale. Ci puoi raccontare come nasce un tuo abito?

Mi piace cucire al mattino, come un rito seleziono lo scampolo lo appoggio addosso per sentire come plasmarlo e cucirlo. Aggiungo, tolgo, taglio e sovrappongo punti come con qualsiasi altro materiale.È sempre fare scultura.
Questo processo deve essere veloce e istintivo, essendo un idea che stai assaporando.

In questo periodo stai lavorando anche ad altri progetti? Ci puoi dire qualcosa su quello che farai in futuro?

Ho appena realizzato un abito in jacquard riproducendo con la maglia un disegno di una fioritura linguale, tema ricorrente nei mie disegni anatomici. Questo è il mio primo progetto realizzato in collaborazione con uno storico maglificio in provincia di Bologna, Luciano Benellli.
Ora sono entusiasta di mettermi nuovamente in gioco con una ricerca simile, quindi la realizzazione di un abito di Haute Couture, questa volta partendo però da una ricerca all’interno del generoso archivio dello CSAC dell’Università di Parma.

Cosa fai quando esci? Che locali frequenti?

Guido sulle creste dei calanchi. Attorno a Bologna i colli incoronano di verde la città ed è bellissimo nel weekend percorrerli e fermarsi a mangiare nei dintorni ed allungarsi per mercatini dell’antiquariato ascendendo verso la provincia.
Non sono una notturna quindi la frequentazione è una scelta casuale degli amici.

Quale è il tuo luogo preferito in città?

Il negozio di tessuti vicino casa, Zebra, che frequento tutti i giorni per verificare tessuti, tele, passamanerie e corde, ma soprattutto perché nulla mi sfugga.