«Le idee originali non esistono più, le abbiamo finite tutte prima dei social». Così la pensano le Parini Secondo, collettivo di coreografe classe ’97 tra Cesena e Bologna, nate da un’idea di Sissj Bassani e Martina Piazzi, insieme alle danzatrici Camilla Neri e Francesca Pizzagalli. Lo ammettono sin da subito: «in genere copiamo e incolliamo» ed è questa la cifra distintiva del loro lavoro, ovvero mettere in discussione il rapporto tra arte e originalità, sfruttando le potenzialità dell’open source e l’etica/estetica DIY.
Nelle loro produzioni si intrecciano fenomeni come l’Eurobeat (SPEED, 2020), headbanging e cheerleading (What will happen tomorrow, 2022), meme (be me, 2022) e balli di gruppo (ROCCO, 2018), e diverse e ripetute collaborazioni con musicisti e video-artisti e designer in un processo di creazione in cui la danza è solo una parte del tutto.
E in questo loro percorso, si inserisce anche la loro prima esperienza curatoriale di nuova rassegna del Teatro Petrella di Longiano (FC), Tra questa gente esiste un sentimento, quattro serate, tra febbraio e marzo 2024, dedicate alla ricerca prima che alla creazione, in un’esperienza che mescola tradizione teatrale e cultura dal basso, con un sentimento tutto romagnolo (chiusura il 23 marzo con Lorenzo Senni, Deriansky, Kuzu Kenopsia e altri).
Partiamo dal principio: come nasce Parini Secondo e come vi siete conosciute?
Sissj: Parini Secondo è nata nel 2017 sul tavolo da pranzo di casa dei miei, a Savignano sul Rubicone. All’epoca, Martina e io avevamo 19 anni e frequentavamo un percorso di formazione per giovani coreografe sul territorio toscano, AZIONE!: in quel contesto, e in alcuni ritrovi nelle sale del Laboratorio Danza e Teatro di Heidi Pasini a Crocetta di Longiano, qualcosa ha iniziato a “sfrigolare”. Al Laboratorio io ho iniziato a studiare danza a 3 anni, era come casa per me. E infatti nella famiglia Parini Secondo sono subito entrate anche Camilla Neri e Francesca Pizzagalli, entrambe allieve di Heidi e mie storiche amiche. Inizialmente c’era la volontà tutta giovanile e tutta incosciente di divertirsi in sala come in discoteca, ispirate dal kitsch, dal trash e dai meme. Poi abbiamo iniziato a girare qualche piccolo video, a caricarlo su YouTube e da lì la domanda: Che account usiamo? Il tuo? Il mio? Ce ne vuole uno nuovo… Ed ecco che compare Parini Secondo: ci piace dire che è il nome del liceo che abbiamo frequentato.
Siete molto legate al vostro territorio? E in che modo riesce a influenzare la vostra ricerca artistica?
Sissj: sono nata e cresciuta in Romagna, come direbbe Martina ‘cresciuta a piadine e Santarcangelo Festival’. In Romagna è dove ho studiato e imparato a conoscere la danza. È un territorio possibile, è un luogo in cui le cose se vuoi accadono, in cui c’è ancora una comunità legata alla cultura. Una cosa forte di Parini è che a noi un no ci sfiora. Se vogliamo fare qualcosa, noi la facciamo. Un po’ alla volta, ma la facciamo. Questo ce lo insegna la Maestra Romagna, questo luogo bizzarramente romantico, con quella follia texana da villaggio di provincia e la creatività grezza di chi non conosce la raffinatezza perché guarda all’efficacia prima che all’apparenza. Ma poi, le palme (di plastica) e le crociere (alla piattaforme metanifere) perché “Non vorremo mica farci ridere dietro?”
Martina: La Romagna è un luogo che mi ha accolta subito. Io ci arrivo da Bologna, da unica emiliana del gruppo, cosa che mi viene ricordata spessissimo. Tra una battuta e l’altra, diciamo che quel trattino nel nome ci unisce, non ci divide. Attraverso l’amicizia con Sissj, Camilla e Francesca, sono stata introdotta a persone e ambienti che “fanno”, come dice Sissj, e continuano ad essere grande fonte di ispirazione. Aggiungo che non è un caso che Parini sia un gruppo: la nostra ricerca è sempre condivisa con molte persone, come i gruppi di studio del liceo. Il territorio favorisce questa rete di connessioni che si trasforma in pratica artistica. Creiamo partendo dalle persone e in sala ci piace favorire questa atmosfera collettiva. Poi ci sono momenti in cui si ha bisogno di stare da soli e va bene lo stesso.
I vostri lavori partono quasi sempre dal web e dai social. Per citarne uno, be me era ispirato al concetto di meme. Perché questa fascinazione?
S e M: Ci interessa la profondità di Internet, descritta dall’infinità di finestre che puoi aprire su uno schermo piatto: il potere di uno strumento che puoi tenere in mano, ma di cui non conosci la fine. Siamo affascinate da artisti come Jon Rafman, Valentina Tanni o dalle estetiche post-Internet, ci piace affondare nelle paludi dei forum di appassionati, dei blog e in generale delle community online, trovare fenomeni marginali e osservare come, attraverso l’anonimato, vengano costruiti oggetti che finiscono nelle mani di chiunque. Cerchiamo la Riviera sul web. Citi giustamente be me: volevamo portare in scena i meccanismi anonimi di creazione di contenuto dei meme per sviluppare una coreografia. Crediamo fortemente nel potere della community e stimoliamo l’open source come strumento di conoscenza e sviluppo del pensiero. SPEEED, per esempio, è nato dopo che Bienoise ci ha mostrato questo video: incredule, ci siamo innamorate della Para Para, siamo entrate a far parte della community mondiale dei/delle paralist e a scambiarci video tra noi e con loro, fino a che non abbiamo deciso di collezionare qualche routine, metterla in fila e creare qualcosa di nostro. SPEEED alla fine è un collage, copiamo e lo ammettiamo.
La danza nel vostro caso, potremmo dire, è solo il punto di partenza, mai l’arrivo. Ma - domanda marzulliana - dove vorreste arrivare?
S e M: Hai ragione, infatti specifichiamo sempre che Parini Secondo si occupa di coreografia. In poche parole MUSICA, RITMO, STILE (cit).
Dove vogliamo arrivare? A Las Vegas: Parini Secondo in tour mondiale, tour degli stadi però. Miriamo al pop, quello vero; miriamo a Parini Secondo come punto d’incontro tra quello che viene definito ‘basso’ e il presunto ‘alto’, verso una cultura popolare erudita. Ci occupiamo in prima persona del nostro pubblico, lavoriamo quasi sempre in urbano perché ci riferiamo alla gente, a chi guarda la tv. Per noi i teatri vanno bruciati, un bel fuoco purificatore da cui ricostruire il senso della parola teatro. Lungi dal rinunciare alla profondità, ci interessa il confronto e il rapporto tra, che so, Bolzano Danza e Sanremo: sarebbe bello poterci vedere debuttare a Bolzano (e accadrà, il 15 luglio 2024) e poi guardarci in tv sul palco dell’Ariston, no?
Collaborate spesso con musicisti e videomaker che come voi hanno un approccio sperimentale. Come avviene il processo di scambio e cosa vi interessa del lavoro degli altri?
S e M: come già detto, la danza per noi è un pretesto, ma ci interessa la coreografia. E crediamo, reduci da pensieri come quello di Forsythe o da esperienze come quelle di Societas, che la coreografia si riferisca a tutti i linguaggi. Ogni volta che ci viene un’idea, immediatamente ci poniamo anche il problema del linguaggio: qual è il modo migliore per portare a galla quella sensazione, per comunicare quel senso? Per questo, dobbiamo ringraziare un bel dialogo avuto con Pier Paolo Zimmermann, amico, performer e fotografo, che ci ha sempre affiancate con la sua telecamera e il suo occhio magnetico. Il dialogo con le persone collaboratrici è il centro della nostra creazione. In sala, via mail, Parini discute tantissimo, proprio perché abbiamo bisogno delle parole per far lavorare le idee. Bienoise (Alberto Ricca) ci affianca dal 2019 in tutte le produzioni, curandone il suono e la musica e aiutandoci a scovare, da roditore dell’Internet, i fenomeni che ci ispirano – tendenzialmente anacronistici e provenienti dalle periferie del pop. Crediamo che la coreografia sia una forma fisica di montaggio, per questo collaboriamo con Pier Paolo e, recentemente, con Bianca Peruzzi, regista e lighting designer, che proprio per sottolineare la qualità del suo intervento sui nostri lavori, chiamiamo direttrice della fotografia di scena. Ma anche con Giulia Pastorelli, costumista; Glauco Salvo, musicista ed esperto di field-recordings; Margherita Alpini, temeraria giovane organizzatrice; Bremo (Sara Pizzinelli, Nicolò Mingolini), grafici e musicisti: l’autorialità è per Parini un concetto rizomatico che si sviluppa a partire dalla discussione, le idee originali non esistono più (le abbiamo finite tutte prima dei social), ma c’è ancora originalità nella concretezza, nel come queste idee vengono elaborate. In tanti è più semplice realizzarle e realizzarle bene, fare roba bella, che spacca.
Vivete in un territorio che, possiamo dirlo, ha fatto la storia delle performing arts in Italia e spinge sempre moltissimo sulla sperimentazione. Com'è il vostro rapporto con questa storia e con le persone che l’hanno scritta e continuano a scriverla?
Sissj: ho sempre frequentato il festival di Santarcangelo, è sempre stato un faro su ciò che di alternativo c’era al balletto. Camilla e io abbiamo iniziato a studiare balletto con Heidi Pasini, una luminare della pedagogia della danza nella nostra regione; poi insieme a Francesca abbiamo conosciuto Valentina Pagliarani, che ci ha fatto scoprire il mondo della ricerca, Cunningham, Forsythe, Anne Therese De-Keersmaeker, Pina Bausch, Sosta Palmizi, la stessa Societas: è anche grazie a lei se ora facciamo questo nella vita. Nel 2013, appena sedicenne, ho iniziato a lavorare con gruppo nanou: dopo scuola salivo sull’autobus e arrivavo a Ravenna dove Marco Valerio, il direttore artistico della compagnia, mi passava a prendere per andare in sala. Coi nanou ho conosciuto il mondo della performance dall’interno, ho conosciuto i Fanny, i i Motus, la Valdoca, le Albe, il Club Adriatico: mi hanno insegnato tutto di questo ambiente, i nomi, i luoghi, le persone, i festival, i gossip, le storie; e soprattutto mi hanno insegnato che fare la danzatrice, in Italia, può essere un lavoro. Determinante è stato nel 2015 l’incontro con Claudia Castellucci e il Teatro Comandini: ci andavo ogni tanto per ballare ai FreddaNotte, le serate organizzate dai Dewey Dell; poi ho iniziato a frequentare la scuola Mòra (ora compagnia di cui faccio parte) che ha ridefinito il mio concetto di danza e mi ha ispirata, portandomi a Parini Secondo. E poi: il Vidia, il Cocoricò, il Velvet, tutti i locali in cui scoprivo nuova musica che poi ballavo e proponevo a Parini. E ancora Baldini, la riviera, Glauco Salvo, MU e MAGMA, NicoNote, Collettivo Scena, Bremo e tutti e tutte gli amici e le amiche che stimolano la nostra ricerca e che vivono nella nostra terra. Abbiamo vissuto la nostra adolescenza nella sperimentazione romagnola, l’abbiamo masticata come il pane. Anzi scusa, come la piada.
Martina: L’Emilia-Romagna è una regione particolarmente fortunata. Ho conosciuto molti artisti del territorio grazie alle azioni del Festival Danza Urbana. Tra il 2015 e il 2016 ho fatto parte di PHREN – performance urbane, progetto per studenti della scuola Mousikè/Giravolta di Bologna, da un’idea di Chiara Castaldini e Silvia Berti. Presentammo un esito di laboratorio con l’artista Alessandro Carboni all’interno del festival bolognese. Questo momento mi segnò molto, iniziai a pensare di voler fare della danza il mio lavoro. Negli anni immediatamente successivi continuai a studiare e lavorare con Alessandro, della cui pratica conservo il modo di percepire lo spazio urbano, fatto di architettura e relazioni. Nel 2017, grazie alle iniziative formative promosse da Cantieri Danza (Network Anticorpi), io e Francesca prendemmo parte al percorso INNESTI: studiammo con la coreografa Simona Bertozzi, tuffandoci nella profondità del suo lavoro sul corpo. Attualmente, Parini Secondo fa parte della Nexus Factory di Simona. Dopo, mi sono allontanata dalla scena italiana per continuare a studiare danza in Europa: sono stata in Portogallo e in Danimarca (Copenaghen), dove ho conseguito un bachelor in arti performative presso la Den Danske Scenekunstskole (DDSKS). Tuttavia, un richiamo forte proveniva proprio da casa. Superata l’esterofilia, nel 2023, sono tornata a Bologna per dedicarmi da vicino al progetto Parini Secondo. Da allora, sto riscoprendo la qualità della produzione culturale della nostra regione.
La vostra pratica trova la massima espressione nello spazio urbano. Ci sono dei luoghi che più di altri desiderereste “performare”?
S e M: Da anni cerchiamo di fare spettacolo sull’Adriatic Princess, la motonave che parte dal molo di Gatteo a Mare e porta a vedere le piattaforme metanifere al largo dell’Adriatico (cito: con POSSIBILE avvistamento di delfini). Nel 2021 eravamo quasi riuscite a infilare SPEEED nella pausa dove consegnano il fritto misto e il gottino, ma ahimè l’onda lunga non ci ha fatte salpare. Vediamo se quest’estate ci riusciamo… Comunque si, ci troviamo molto a nostro agio all’aperto o comunque in spazi non strettamente teatrali: questo fa un po’ il paio con la questione del linguaggio di cui sopra. Il contesto architettonico e sociale è parte integrante dell’identità di un lavoro, dunque la prima domanda che ci facciamo quando lavoriamo a nuovi progetti è DOVE e COME? Per esempio, SPEEED è un lavoro per parcheggi e automobili da tuning.
Con l’ultima produzione, HIT, ci stiamo cimentando, contraddicendo tutto quello che ho appena detto, con il teatro: ci stiamo provando, è una forma di sperimentazione per noi, lavorare con questa scatola disidratata. Ma potrebbe rinascere: prima però facciamolo bruciare un po’.
In questo periodo, tra febbraio e marzo, state curando una rassegna di eventi al Teatro Petrella di Longiano, dal titolo “Tra questa gente esiste un sentimento”, che - cito - mescola tradizione teatrale e cultura dal basso, con un sentimento tutto romagnolo. Come ci siete arrivate? E l’idea di curare altri eventi è una cosa che potrebbe far parte anche del vostro futuro?
S e M: Ci siamo arrivate grazie all’invito da parte di Cronopios, che ha in gestione il teatro, e di Sonia Bertucci, l’assessora al comune di Longiano. Visto che il Petrella non ha un’unica programmazione, ma il suo cartellone si compone di rassegne riferite a pubblici eterogenei, volevano creare qualcosa per ‘i più giovani’. Hanno pensato di affidare a noi questo compito: quella della curatela non era una prospettiva che consideravamo nel breve termine, ma l’investimento sul nostro territorio si. Tra questa gente esiste un sentimento è per noi un pretesto per stabilire la nostra identità nel luogo che ci ha formate e nel quale vorremmo che il nostro lavoro crescesse. È un modo per supportare artisti e artiste che stimiamo e per contribuire allo sviluppo intellettuale culturale del nostro territorio. Nonostante le possibilità che abbiamo fuori dalla Romagna e dall’Italia, ci rendiamo conto che, se canalizzate su un obiettivo chiaro, le energie investite in un luogo specifico rendono di più. La provincia ha ancora un po’ di spazio – la città invece soffoca – e quello che facciamo qui è un modo per assicurarci una vecchiaia felice con persone fighe.
Salutiamoci con un pezzo musicale.
S e M: Te ne lasciamo due, in un sonetto:
L’immenso Gigi Dag
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