La gloriosa storia del Covo Club l’abbiamo raccontata qualche tempo fa qui. Marco fa parte del cosiddetto “nuovo corso” alle prese con un quarantennale che il Covid ha messo in stand by. “Sandonater” da sempre, ci ha raccontato il suo rapporto col quartiere e con lo storico locale che rappresenta la sua anima multigenerazionale.
Ciao Marco, com’è vivere a San Donato e cos’ha significato per te crescere lì?
Per me significa casa. Sono nato in Mazzini ma mi sono trasferito attorno ai tre anni nell’estrema periferia del quartiere, vicino alla fiera ma ancora tra i campi, una parte ancora abbastanza contadina e poco conosciuta della città. Ho frequentato le scuole in paesi limitrofi e poi mi sono iscritto al Liceo Copernico e ho iniziato a capire bene cos’era il mio quartiere, essendo questa scuola (soprattutto ai tempi) un vero fiore all’occhiello della zona. Una palestra culturale di tutto rispetto e già un contesto super accogliente verso qualsiasi tipo di persona, caratteristica che penso racconti al massimo anche il quartiere stesso. Ora mi sono trasferito in una parte di San Donato più vicina al centro, evidentemente non posso fare a meno di vivere qui.
Qual è secondo te l’anima del quartiere?
Se dovessi identificare il quartiere in una serie di luoghi, direi sicuramente quelli che hanno fatto parte della mia vita. Quindi l’anima del quartiere San Donato la trovi a San Donnino e al Casalone, al Liceo Copernico e ai giardini che lo circondano, alle zone super popolari dal Pilastro fino all’area tra i Magazzari e via della Torretta, praticamente una versione più pop della declamatissima Cirenaica. In modo più poetico, rispondo che il quartiere San Donato si nasconde nel suo animo popolare ed emiliano, profondamente bolognese. In una città che si è evoluta tantissimo, anche in positivo ma anche in maniera profondamente turistica, fa piacere ritrovare un po’ della Bologna di una volta. Detto ciò, penso che anche quest’anima popolare debba evolvere un pochino, facendo tornare a essere San Donato una zona più vissuta anche di giorno.
Uno dei luoghi simbolo è certamente il Covo. Tu sei uno del “nuovo corso”, come ci sei arrivato e dove vorreste andare (Covid permettendo)?
Ho iniziato a frequentare il Covo verso i 17-18 anni, forse anche prima, per vedere un sacco di concerti e per vivere la parte iniziale del djset a seguire, principalmente per la scelta artistica… Erano anni dove la musica indipendente internazionale era davvero super di qualità, e al Covo semplicemente passava tutta. In più c’erano anche dei gran dj! Per quanto riguarda il nostro nuovo corso (del quale facciamo parte io, James, Lorenzo ed Enrico – che è nuovo corso solo anagraficamente, ma che rappresenta già un bel pezzo di storia del Covo), ci siamo ritrovati 5-6 anni inizialmente in una situazione difficile perché, come spesso avviene nel nostro mondo, eravamo nel mezzo di un momento di passaggio tra generi e tendenze. Abbiamo indovinato e sostenuto fin dal primo momento la “nuova scena italiana”, abbinandole a concerti rock e punk più nei canoni del Covo “classico”, ed è andata bene, in quanto abbiamo raggiunto i 40 anni di storia. Ora la nostra direzione musicale era quello di seguire le tendenze internazionali, che vedono un lento ritorno del rock, del post punk e dell’alternative pop. Molto in stile Covo Club. Abbiamo impostato un percorso, vedremo se riusciremo a seguirlo nel breve.
Per quel che riguarda invece il lato più “umano” del Covo, ovvero quello dello staff, abbiamo seguito l’esempio dei “vecchi”: abbiamo creato un bel gruppo di ragazze e ragazzi che sono, in sostanza, veri amici. Un gruppo di persone davvero amiche tra loro, sorridenti e sempre felici di stare assieme: è un punto di forza del Covo che spero si percepisca all’esterno, perché siamo davvero tutti molto legati e legati al Covo (alcuni si sono anche tatuati il pozzo del Casalone!) e abbiamo continuato a sentirci, a vederci e a collaborare anche durante questo noioso periodo.
Abbiamo raccontato tempo fa la storia del Casalone, un luogo che aveva una determinata funzione nel quartiere. Oggi qual è secondo te la funzione del Covo?
Il Casalone è un luogo storico: basti pensare che il pozzo al centro del cortile interno è il simbolo del quartiere. Purtroppo ora è un posto che sembra essere diventato un po’ remoto, fuori dalle rotte più percorse della città. La vita si è spostata molto in centro e non mi sembra che il quartiere San Donato si trovi al centro dei progetti più imminenti di riqualificazione o ammodernamento previsti in città: non parlo di strade o servizi, perché è tutto sostanzialmente perfetto, ma di attività, iniziative, vita. La conformazione del quartiere, anche e soprattutto in Viale Zagabria dove il Covo ha sede, mi ricorda da sempre quella dei quartieri delle immediate periferie di città tedesche come Amburgo, Monaco di Baviera o Berlino. Parchi al centro con tanta gente che studia, prende il sole e sta tra amici e in famiglia, abitazioni attorno, con attività imprenditoriali e culturali portate avanti dalle giovani generazioni con tanto piglio e moltissima proposta. Qui c’è il verde, ci sono le case e poi c’è tanta, troppa tranquillità, rispetto al potenziale che San Donato tutta può avere. Non servono interventi strutturali di chissà che tipo, serve una spinta sociale e culturale che possa trasformare il quartiere da pseudo-dormitorio a un luogo ricco di realtà che possano davvero dare una spinta alla città intera. Per rispondere quindi alla tua domanda: mi auguro che il Covo sia una sorta di faro per una futura rinascita del quartiere, che San Donato tutta possa fare tesoro di ciò che il Covo ha fatto (e farà!) per la cultura nella nostra città. La proposta musicale, il nostro approccio all’intero sistema culturale e il nostro essere accoglienti penso che siano sinonimo di San Donato a tutto tondo.
Oltre al Covo, cosa fai nella vita?
Lavoro nell’ambito della comunicazione e del marketing, in un’importante agenzia nel panorama cittadino, occupandomi soprattutto di progetti nei mondi food, sport, teenager e bambini.
Quali i tuoi luoghi preferiti del quartiere?
Il parco attorno al Covo, quello di San Donnino, merita di essere più vissuto, come è molto carino su via San Donato vicino al Comune e al Liceo Copernico e quello sotto al ponte di via Libia. Mi piace la mentalità ultra-pop di via Eleonora Duse. La ristorazione è l’aspetto più carente nell’intero quartiere, c’è pochissima proposta; c’è una pasticceria incredibile in via dell’Artigiano e una gelateria davvero di livello in via Beroaldo. Poi, tra qualche posto storico, risplendono i due ristoranti dell’hotel Savoia, un sunto perfetto della cucina della zona, oltretutto sorprendentemente alla portata di tutti. Spesso le band che ospitiamo dormono lì ma purtroppo non credo abbiano il tempo per fare una cenetta, ed è un peccato!
I punti fermi del quartiere, quello popolare di una volta, sono la Sala Sirenella e La Fattoria, frequentatissimi dagli anziani ma che possono avere un certo fascino anche sui più giovani in cerca di esperienze real e di un’estetica difficilmente rintracciabile in buona parte della città.
Consigliaci un paio di pezzi da ascoltare passeggiando tra le vie di San Donato
La mia playlist, per ovvi motivi, è sempre ricca di musica nuova, testarla camminando per le vie del quartiere è un ottimo modo per capire quanto mi piacciono. Nel concreto, consiglio sicuramente due-tre classici da Covo, durante il giorno “All My Heroes Are Weirdos” dei !!!,la sera “One Rizla” degli Shame e di notte “Heart Skipped a Beat” dei The XX. Bonus track, “Crystal Clear” di AMA.