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Daniele Francesconi

Verità, fiducia, opinioni: intervista al direttore del FestivalFilosofia

Scritto da Elisabetta Modena il 27 agosto 2018
Aggiornato il 14 settembre 2018

Luogo di residenza

Modena

Attività

Direttore artistico

Quasi 200 appuntamenti gratuiti tra lezioni magistrali, mostre, spettacoli, letture, giochi per bambini e cene filosofiche organizzati su tre giorni (14, 15 e 16 settembre) in 40 diversi luoghi di Modena, Carpi e Sassuolo: è la diciottesima edizione del festivalfilosofia dedicata al tema verità. Abbiamo intervistato il direttore Daniele Francesconi, che ci ha parlato di verità, menzogne, prove, tracce, di Socrate, dei Sofisti, di Platone…e anche di Pinocchio e della Fata Turchina.

Elisabetta Modena (ZERO)Si è sottolineato come il tema di quest’anno non sia la verità, ma verità “preso come costitutivamente singolare-plurale”. Noi siamo sempre alla ricerca della verità, ma l’idea che ci siano più verità è difficile da comprendere.
Daniele Francesconi – Sì, ma dobbiamo considerare che prima di tutto le verità sono legate all’epoca storica e a quello che le culture riconoscono come “vero”, per cui le verità cambiano, e quello che era vero ieri diventa falso oggi e viceversa. Le ipotesi geocentriche, per esempio, sono state considerate vere da una grande cultura scientifica; poi c’è stato un cambio di paradigma, ed è emersa una prospettiva scientifica – che è quella in cui ci muoviamo oggi – che le ha smentite sperimentalmente e considera vero un altro modello. Se pensiamo alla scienza, dobbiamo sempre ricordarci che il test per verificare che una teoria sia scientifica è che essa sia potenzialmente falsa, altrimenti non è scienza, ma è letteratura, mistica ecc. C’è in questo da considerare il carattere fertile dell’errore cosa di cui si occuperà Carlo Sini nella sua lezione: l’errore fa parte della verità e questo è valido sia sul piano teorico, sia per i percorsi biografici. Noi sappiamo che il mettersi alla prova e il fallimento, sono step anche dell’appropriazione del sé.

Tutti abbiamo bisogno di verità…
Ne abbiamo bisogno: è un elemento di rassicurazione per dare forma e ordine al mondo.

Negli ultimi anni ci sono però frequenti esercizi di “decostruzione” della verità, pensiamo al web…
Sì, questo è l’altro grande tema. Il primo tema è che la verità è plurale: non c’è un’unica verità. L’altro tema è però capire – e questa è la sfida che ci pone soprattutto il mondo dell’informazione – in che modo si possono discernere le prospettive, le opinioni, i punti di vista, per separare quelli manifestamente truffaldini, da quelli attendibili.

Chi ne parlerà durante il festival?
Ci saranno molti interventi su questo, come quello di Maurizio Ferraris o la lezione di Anna Maria Lorusso, filosofa e allieva storica di Umberto Eco, che ha scritto un bellissimo libro sulla post-verità che è uscito in queste settimane (ndr: Postverità. Fra reality tv, social media e storytelling, Editori Laterza, 2018) e che si occuperà del fact checking, che è di nuovo uno dei grandi miti: lo farà per mostrare come, nel campo comunicativo e della relazione, il tema è quello dell’accuratezza e non è mai quello del vero assoluto contro il falso assoluto. È il tema dell’attendibilità di chi trasmette l’informazione e delle credenziali. C’è una parola chiave che apparentemente non c’entra nulla con il tema che è la fiducia: la verità si fonda sulla fiducia.

In che senso?
È nel mondo antico che si costituisce il discorso sul vero prima in senso logico con i Sofisti, poi con Socrate e infine con la dottrina di Platone, nel confronto tra verità e opinione: la verità platonica è quella assoluta, che si raggiunge solo intuitivamente, ma per il mondo sublunare – quello delle argomentazioni – ciò che vale sono le opinioni, che sono l’unico tipo di conoscenza a cui si ha accesso. E il tipo di ragione con cui si attingono le opinioni Platone la chiama pistis, che si può tradurre come fiducia o come credenza. Le credenze stesse possono essere più o meno argomentate e non devono essere per forza dominio del pregiudizio. Noi cercheremo di lavorare su questo.

Molti degli ospiti del Festival sono ormai habitué, da Marc Augè a Remo Bodei, che fanno parte del comitato scientifico, fino a Massimo Cacciari, Enzo Bianchi e Umberto Galimberti solo per citarne alcuni. Tra le “novità” chi c’è quest’anno?
Quest’anno sono 24 gli autori “nuovi”, quindi la metà dei relatori. Tra loro per esempio c’è Mauro Bonazzi che discuterà sui sofisti, che citavamo poco fa, perché la loro esperienza è cruciale ed è il momento in cui la questione della verità, della credenza, dell’attendibilità, della falsificazione e della menzogna diventa cruciale. La nostra epoca ci chiama a ripercorrere questa strada.

Daniele Francesconi con Zygmunt Bauman
Daniele Francesconi con Zygmunt Bauman

Perché la semplificazione è più di moda, ma la complessità è la risposta…
Sì. Poi c’è anche un altro tema molto interessante e cioè che la verità è anche un diritto, a vari livelli. C’è il diritto che il potere ci dica la verità. Pensiamo a Giulio Regeni: c’è il diritto di conoscere la verità, di fare luce su fatti di rilevanza pubblica rispetto ai quali si vuole conoscere l’effettiva realtà. Poi c’è un significato un po’ più complesso, per il quale si può dire che ne abbiamo diritto come frontiera dei diritti di cittadinanza: tra i nostri relatori ne parlerà Franca D’Agostini. Era un tema che Stefano Rodotà aveva cominciato a studiare: si tratta del diritto a entrare in rapporto con fonti di trasmissione delle informazioni che siano accreditate. Pensiamo ai vaccini: tutti dovremmo avere diritto ad avere informazioni su questo tema da strutture affidabili. Questo ha a che fare con la comunicazione e quindi anche con il web.

Il tema in effetti è politico.
È interamente politico e di grande attualità. Da un certo punto di vista doveva forse essere il primo tema del festival, perché la filosofia è nata con l’invenzione della verità, ma fino a qualche tempo fa era una parola molto tecnica di dominio della logica, della filosofia del linguaggio e non adatta a una manifestazione come la nostra. Negli ultimi tempi ci sono stati cambiamenti forti che hanno politicizzato questo concetto – che è sempre stato politico – e ora questo elemento è entrato nel senso comune, proprio perché siamo esposti a un diluvio di opinioni, informazioni, teorie e pseudo teorie rispetto alle quali non riusciamo a farci una idea, o perché non abbiamo gli strumenti per farlo o perché non riusciamo a distinguerne la provenienza.

È il tema delle fonti.
Sì, ed è il tema della prova, che accomuna la scienza, la storia, il diritto… Nessuno di noi crede ormai in modo ingenuo al fatto che uno storico o uno scienziato trovi l’unica prova inconfutabile di una teoria.

È messo in crisi tutto il Positivismo…
Sì, e il ragionamento è complesso in diversi ambiti. Per esempio pensiamo al punto di vista storico: c’è il tema della pluralità delle interpretazioni, ma dall’altro c’è l’idea che ci sono delle realtà che sono incontrovertibili. La questione più scottante dal punto di vista politico è quella dell’avanzare dei negazionismi. Sul tema della Shoah, per esempio, avremo molte cose, soprattutto a Carpi, che per vocazione è il luogo migliore per parlarne: le posizioni negazioniste in questo caso sono totalmente inaffidabili, ma continuano a dilagare. E qui sta la complessità, perché la verità è plurale, ma questo non vuol dire che i negazionismi si potranno un giorno rivelare veri! Avremo un’interessante lezione di Christian Delage sul processo di Norimberga, perché è stato il primo grande processo in cui sono stati ammessi documenti audiovisivi come prova. Dal punto di vista dei vincitori quelle erano prove incontrovertibili, ma i negazionisti si appigliano a quelle stesse prove denunciandole come messe in scena.

Come lo sbarco sulla luna…
E come tutti i discorsi sul complotto. Sulla prova lavoreremo con l’Istituto di Fisica Nucleare e loro ci spiegheranno come è affrontata oggi la questione della verifica delle ipotesi, e cioè con la ricerca di quelle che loro chiamano rivelazioni. Si rintracciano ipotesi di cui si vedono delle scie, delle tracce.

© Serena Campanini e Elisabetta Baracchi
© Serena Campanini e Elisabetta Baracchi

Per questa edizione l’immagine guida è Pinocchio, che però è un famoso bugiardo!
Sì, perché a noi interessa anche il rovescio, quindi anche la bugia e la menzogna. Verità e menzogna sono molto contigue. Noi tutti viviamo in regimi di finzione, simulazione e verisimiglianza.
Pinocchio è per questo; dobbiamo essere meno ingenui anche quando ci poniamo l’esigenza di sincerità, cioè: come dire la verità? Come dirla in privato, in pubblico, in tribunale, di fronte al potere o nelle relazioni umane? Lì c’è il paradosso: dire tutta la verità è un mito! In molti casi è anche controproducente…La verità non è mai tutta. C’è da un lato un’opacità che è menzognera, manipolatrice e addirittura dittatoriale – pensiamo ai totalitarismi anche moderni – ma c’è anche un’opacità che è positiva, come quella sul nostro privato.
Pinocchio è una grande icona della bugia, ma anche della verità. E poi lui dice tante bugie, ma ci sono anche altri che ne dicono: la Fata Turchina si finge morta…

A fin di bene…
Certo! Il burattinaio Mangiafoco si commuove, ma fa finta di starnutire per nasconderlo. La simulazione è umana.

Il tema è complesso.
Il nostro messaggio è questo: la verità è plurale, ha un impatto politico e dipende fortemente dalla credibilità.

Anche la città è coinvolta da più punti di vista e i numeri sono più che positivi. Si parla di 192 mila presenze nell’edizione dell’anno scorso e di 2 milioni nell’intera storia del festival, dal 2001 a oggi. Un pubblico così numeroso va anche ospitato e…sfamato!
Sì, avremo quasi 80 ristoranti coinvolti sulle tre città e poi anche quest’anno Tullio Gregory ha firmato 8 menu filosofici (ndr: tra cui le verità prime dove trionfa la pasta declinata all’emiliana, le verità liquide sul pesce o un menu per le ore piccole nelle enoteche: in vino veritas che permette di gustare un pasto più rapido, all’insegna di gnocco ingrassato e pane comune che accompagnano prosciutto e affettati del territorio, Parmigiano Reggiano e formaggi dei colli modenesi…).
Per quanto riguarda i numeri noi cerchiamo sempre di calcolarli con precisione, cosa che tutte le realtà culturali dovrebbero fare.
Ma occorre tenere presente anche indicatori qualitativi di gradimento, come potrebbero essere gli applausi al termine delle lezioni magistrali, un po’ come veniva fatto nelle recensioni teatrali e della lirica di un tempo!

Per concludere, cosa ne pensa della vita culturale di Modena oggi?
È in una fase di grande trasformazione. Modena, per le attività che svolge, è una “capitale della cultura”. Ha un calendario di attività diffuse che ne fa una città culturalmente avanzatissima. Sta convertendo la sua identità, e questo richiede tempo: da una vocazione solidamente manifatturiera sta andando verso un’identità culturale e dei servizi, quindi immateriale. Ci sono stati alcuni grandi eventi, come il concerto di Vasco Rossi, che hanno prodotto anche un indotto di memorie ed esperienze indimenticabili. Modena deve consolidare la sua identità verso il resto del mondo e trovare il suo stile. Questo non può avvenire in poco tempo, ma il festival stesso è una piattaforma, una dimostrazione che questo territorio può collaborare.