“Noto che ci rincorriamo sempre agli stessi eventi…”.
Non ricordo quando ho conosciuto Andrea per la prima volta, ma per me è stato sempre presente a ogni evento a cui andavo nella mia città (Firenze). Una sorta di sindaco della notte.
Non penso di scrivere papiri e tessere lodi infinite come nella migliore tradizione necrologista. Lui si sarebbe annoiato al terzo rigo.
“Ci stiamo mettendo un grande sforzo”, diceva degli eventi che seguiva
Quando abbiamo passato la soglia della semplice conoscenza da avventori di feste, mi ha tempestato di comunicati stampa, di cose da fare, da sentire. Lui era così: un distributore automatico di conoscenza, quando parlava non lo fermavi più, non si stancava mai, mai domo nonostante la malattia (sì, stava combattendo contro un brutto male, ma dandosi da fare in tutto e grazie alla musica in primis ne stava venendo fuori, ndr).
Aveva una passione trascinante, inarrestabile nel fare cose, raccontare esperienze suoni, musica, visioni anche solo per la gloria. “Ci stiamo mettendo un grande sforzo”, diceva degli eventi che seguiva.
Una volta ci stavano pure arrestando.
4 Agosto 2016. È tardi. Uno degli eventi del Mukanda Festival di Vico del Gargano in Puglia è finito e io offro ad Andrea a al suo amico Antonio (Palma, ndr) un passaggio all’hotel dove alloggiavano in occasione del festival. In macchina ci si perde in mille discorsi sui set e i live appena ascoltati. Andrea a un certo punto prova a dirmi che c’era una volante dei carabinieri sul ciglio della strada, ma io faccio finta di non ascoltare. Continuo a guidare come se niente fosse. Continuiamo a parlare e sempre tra mille discorsi Andrea urla: “Elisa fermati, ci stanno inseguendo!”. Non so che mi è preso, forse la paura di quel prosecco di troppo, ma per istinto ho affondato il piede sull’acceleratore. “Elisa ma che fai? Fermati!”. I carabinieri ci stavano alle costole, e alla fine Andrea urla “Dai fermati!”. Stringo il suo braccio per l’adrenalina e accosto.
“Documenti…”. Prova del palloncino, 0.0 (meno male).
“Signorina, perché non si è fermata?”
“Boh non vi ho visto”.
In realtà li ho praticamente evitati.
Da quel momento, per lui ero diventata la Bonnie Parker in versione mora.
“Ammutolita?”.
Un’altra volta lo incontro in treno di ritorno verso Firenze dopo una trasferta e anche in quell’occasione mi aveva predetto il futuro: “vai all’estero a fare il master”. Ok.
Londra. Master e tante serate, ma ci sentivamo sempre.
Anche se non abitavo più a Firenze, i messaggi esordivano con: “Vieni davvero o per finta? Dai che sei sempre l’ultima della lista”. “Ciao beddha ti risulta che hai ricevuto il comunicato sull’evento X?”, oppure “Molla la mail che ti metto in contatto con” e quella mail gliel’avrò mollata più di 10 volte.
Perché se ho scritto di eventi e di alcuni artisti lo devo anche a lui
Poi quando ero io a proporre l’evento dove andare mi rispondeva: “io ho già fatto intervista a quegli artisti. Anzi, ascolta un po’ qui del materiale inedito”, però sempre senza il tono del professore, ma anzi con l’entusiasmo di chi voleva renderti partecipe di una figata: un divulgatore.
Come sempre dieci passi avanti a me e a tutti. Se non fosse stato per lui a quest’ora non sapevo chi fossero Bill Kouligas, Nicola Ratti, non avrei parlato dei progetti paralleli di Matthew Herbert o di quelli di Max Casacci, per citarne alcuni. E se per caso volevo scrivere di un articolo su di loro la risposta era sempre “smetti di ascoltare le tastierine di Bonobo e vatti a rileggere le interviste che ho fatto sul blog/giornale X nell’anno X o il podcast che ho fatto uscire per Mixology”.
Perché se ho scritto di eventi e di alcuni artisti lo devo anche a lui che mi indicava cosa c’era in programma. “Urge sentirci oggi” vuol dire che qualcosa bolliva in pentola. “E poi mi daresti la tua mail”. Di nuovo?!
E poi l’invito a fine 2019 a intervenire a una sua iniziativa nella mostra sulla storia della club culture, nella quale era coinvolto anche Zero. Tutto all’ultimo minuto, tutto nella sua solita confusione.
Dentro di me, in disparte mentre lui parlava, pensavo: “ma che ci sono venuta a fare?”; un flusso di parole continuo per quell’argomento che gli faceva brillare gli occhi e di cui lui ne era parte attiva come dj, promoter, organizzatore, comunicatore e anche – ma soprattutto – semplice appassionato.
Conviveva da qualche anno col tumore: “Andrea ce la fai di sicuro, lo so cercherò qualche vinile anche per te quaggiù, sempre che tu non ce l’abbia già”, gli dissi ultimamente da Londra. Ci tenevo a raccontargli di tutti quei dischi che avevo trovato qui, come l’ultima volta che ci siamo sentiti per il suo compleanno. Sicuramente avrebbe avuto qualcosa da dirmi anche su quelli, ma era il confronto che volevo.
Purtroppo adesso mi hai seminato davvero questa volta. Dietro o davanti a me non vedo più nessuno da rincorrere. Ciao Clyde…
P.S. L’unico rimpianto è quell’intervista di Virgo Four che non abbiamo mai pubblicato, e ti inseguirò per questo.