Nel decreto del 17 maggio si parla finalmente anche di spettacoli dal vivo. La data prevista per la ripartenza di sale da concerto, cinema, sale teatrali è il 15 giugno, anche se dall’appello mancano ancora le sale da ballo. Le regole a cui attenersi sono tuttavia molto stringenti, non solo per le capienze (1000 persone per spettacoli all’aperto, 200 luoghi chiusi) ma soprattutto per il divieto esplicito di somministrare cibo e bevande, che rende quasi impossibile rifarsi dei costi soprattutto per chi si occupa di musica. Tant’è che proprio nelle ultime ore sono stati in molti a decidere di rimandare tutto al 2021, come Bologna Sonic Park, Sequoie Music Park o Oltre Festival.
Come sarà, quindi, la prossima estate musicale bolognese con queste premesse? Abbiamo sentito un po’ di operatori per capire cosa pensano di fare.
Molti si stanno attivando per collaborare con coloro che hanno problemi di spazio, mettendo a disposizione le proprie metrature, come Dumbo: «Ci piacerebbe – dice Andrea Giotti – diventare una sorta di catalizzatore per le tante realtà che sono in questo periodo rimaste orfane di spazi. L’idea è quella di mettere in piedi una programmazione settimanale fissa e gratuita da inizio luglio a fine settembre e allestire lo spazio che abbiamo chiamato “Baia” con qualche food truck stanziale, tanti posti a sedere e un palchetto per la musica. Più tante altre iniziative: campi estivi per i bambini, laboratori di street art, street sport, i laboratori sulla sostenibilità, proiezioni di film e altro. Speriamo comunque che riescano a trovare la quadra formale per autorizzare la somministrazione di cibo e bevande con l’intrattenimento, per rendere tutto più accogliente e sostenibile».
Così pure il Locomotiv, che quest’anno non potrà probabilmente contare sul Biografilm Park nel Cavaticcio, punta sul network: «Stiamo studiando le varie possibilità – ci anticipa Giovanni Gandolfi – tra cui un calendario di attività culturali in collaborazione con alcune realtà che hanno problemi di capienze. Come Modo Infoshop, ad esempio, al quale abbiamo proposto di fare un paio di appuntamenti alla settimana nei nostri spazi all’aperto fino a settembre;renderemo noto il calendario appena sarà confermato. Abbiamo poi uno studio di registrazione che avevamo inizialmente fatto per registrare non solo live, ma anche dischi e adesso lo stiamo sistemando per sfruttarlo proprio in questo periodo di stop. La cosa che ci spaventa di più è ovviamente l’inverno perché in questa situazione sarebbe molto difficile immaginare qualcosa».
Anche per quel che riguarda gli spazi interni del Covo se ne riparlerà ovviamente in autunno, ma per per affrontare l’estate, Daniele Rumori è certo, bisogna collaborare: «Già prima che uscisse il regolamento, seguendo le parole dell’Assessore Lepore, avevamo pensato che il cortile del Casalone potesse essere uno spazio perfetto per attività in questa fase, perché ha a disposizione circa 500 mq ed entrata e uscita separate. Per questo abbiamo proposto all’Amministrazione di ragionare su quella location. La speranza è che il Comune sia in grado di prendere la palla in mano e attraverso una regia unica riesca a coinvolgere le varie realtà in ambito musicale per fare una programmazione in vari spazi, come appunto anche il nostro cortile esterno. Questo perché, in una situazione come questa e con il danno economico già avuto, noi da soli non potremmo prenderci alcun rischio economico».
Riguardo alla Montagnola e ai circoli Arci, invece, la presidentessa del circuito associativo bolognese Rossella Vigneri, avanza alcune proposte pur confidando in una rimodulazione dei protocolli: «Aumentano i costi per adeguarsi alle norme, ma non si capisce ancora quali siano le risorse su cui gli operatori culturali potranno contare. Il Comune ha assicurato un sostegno per l’estate ma non può essere sufficiente; trovare sponsor è praticamente un miraggio e a questo si aggiunge l’impossibilità di somministrare che è davvero una condizione troppo punitiva. Io spero che nei tavoli tecnici (tra cui quelli del Forum arte e spettacolo ai quali partecipa anche Arci) e nelle interlocuzioni con Governo e Regione si riesca a lavorare su un decreto che permetta davvero una ripartenza pur sapendo che delle restrizioni sono necessarie. Per quanto riguarda Arci, su Montagnola stiamo provando a re-immaginare l’estate, pensando a una proposta che provi a rispondere ai bisogni delle famiglie e dei bambini, tra i più penalizzati da quest’emergenza, senza perdere però l’anima musicale e popolare che aveva contraddistinto negli ultimi anni la programmazione ideata insieme al Circolo Binario69. La volontà è quella di esserci. E poi potremmo sfruttare le potenzialità dei tanti circoli Arci diffusi e radicati nei quartieri, cercando di mettere in connessione le nostre realtà associative giovani con i circoli tradizionali che spesso hanno a disposizione spazi aperti, giardini, chiostri. Penso ad esempio al Circolo il Casalone in San Donato o Caserme Rosse al Navile. Si tratterebbe di organizzare eventi “leggeri” e fare una proposta di “prossimità”. Stiamo anche ragionando su Porta Pratello, lo spazio di via Pietralata che da poco meno di un anno gestiamo insieme a Caritas e Coop. Idee in Movimento».
Possibilista anche Lele Roveri di Estragon sul Botanique: «Io a priori non scarto l’ipotesi che si faccia il Botanique. Però è fondamentale capire le regole di ingaggio. I mille posti sono anche buoni, voglio dire meglio di niente, chiaramente non sono i numeri sui quali lavoriamo di solito, però potremmo lavorarci. Ma molto banalmente, se non si prevede anche la somministrazione di cibo e bevande, saremmo costretti a fare cose solo a pagamento, eliminando i concerti gratuiti che sarebbero la parte principale della nostra programmazione. Detto questo, confidiamo che i comuni impugnino il decreto e trovino una soluzione. Ora aspettiamo le nuove linee generali del Comune di Bologna per l’estate, ma se si risolve la questione della somministrazione, qualcosa potremmo farlo. A Estragon riaprire invece con 200 posti in autunno sarà praticamente impossibile perché avremmo costi troppo alti».
Resta il fatto che non sarà possibile ballare e alcuni dovranno per questo in parte re-inventarsi, come il Cassero: «Per noi è un momento molto difficile – rivela Giuseppe Seminario. I servizi che eroghiamo e gli stipendi che paghiamo dipendono dalla discoteca che è il nostro grande polmone economico, oltre a essere il luogo dove la città si connette alla comunità lgbt. Lanceremo, quindi, a breve una campagna di crowdfunding chiedendo a tutti di sostenerci. Ciò non toglie il fatto che ci stiamo reinventando: abbiamo già messo molti dei nostri servizi online e abbiamo intenzione di riaprire a breve il bar per l’estate nel Cavaticcio, ovviamente nella maniera più sicura possibile. Certo, è un po’ come ripartire da zero, ma in questo momento il nostro obiettivo è riuscire a immaginare un Cassero che resiste alle turbolenze nelle sue forme multiple per rispondere ai bisogni della comunità lgbt e della città. Ci saremo, quindi, e continueremo a essere un presidio. Per questo invitiamo tutte e tutti a venirci a trovare appena riapriremo».
Prova a reinventarsi anche Link: «ll decreto – secondo Gianluca Giangiobbe – non è purtroppo sufficiente per le attività che facciamo e non prende in considerazione la parte club che è quella con cui finanziamo molti dei nostri progetti. Per come sono state strutturate dai protocolli, le esperienze culturali hanno tutto fuorché qualcosa di rilassante e piacevole. Speriamo, quindi, si possa passare a norme precauzionali un po’ più morbide come già avvenuto per bar e ristoranti, in modo da potere essere anche noi un minimo accoglienti. Dal 3 giugno vorremmo comunque mettere a disposizione i nostri ampi spazi all’aperto che potrebbero essere sfruttati ad esempio per piccoli concerti, mercati, conferenze o cinema e proporre alle persone di venirci a trovare in bicicletta utilizzando le ciclabili già esistenti».
Ma chi vive al momento la condizione peggiore sono certamente i piccoli spazi che non hanno uno sbocco esterno adeguato, come Granata: «Purtroppo – sostiene Alice Marras – i centri culturali come il nostro continuano a non essere contemplati in decreti e protocolli. Avremmo il permesso di aprire come bar, ma non siamo un bar, il bar è subordinato alla nostra produzione culturale e senza questa noi non esistiamo. L’apertura agli eventi formulata dal nuovo decreto per spazi come il nostro non solo non è sostenibile economicamente, ma rischia di snaturare progetti costruiti negli anni negandone i principi fondamentali di inclusione, relazione, connessione, condivisione dal basso. Non vogliamo cadere nella vecchia trappola che associa gli spazi sociali e culturali a un problema di ordine pubblico. Ci stiamo confrontando anche con altri spazi culturali e useremo questo tempo per provare a salvaguardare un esistente prezioso che di fatto costituisce l’anima di questa città».