Nei giorni scorsi Agenzia del Demanio, Ministero della Giustizia e Comune di Bologna hanno lanciato il concorso di progettazione per la rigenerazione urbana dell’area dell’ex STA.VE.CO. L’obiettivo è farne un Parco della Giustizia e concentrare in un’unica sede la maggior parte degli uffici giudiziari distribuiti in città.
Parliamo di quei 90mila metri quadrati tra porta San Mamolo e Porta Castiglione che nascondono officine, depositi, grandi padiglioni, strade, piazze e cunicoli. Una vera città nella città che è stata tante cose: ospedale e caserma durante l’occupazione dei francesi nel 1796, poi stabilimento per la produzione e lo stoccaggio del materiale bellico durante il Regno d’Italia e la prima guerra mondiale, officina per la riparazione dei mezzi militari e, dal 1978, STAVECO (Stabilimento Veicoli da Combattimento). Fino al 1991, quando ogni attività cessò e per i bolognesi rimase soltanto il grande parcheggio che nasconde l’abbandono retrostante.
Lo stanziamento ministeriale per la rigenerazione ammonta a 105.750.000 euro, ma non tutto sarà demolito: il restauro e l’adeguamento sismico riguarderà, infatti, circa 35 mila mq di edifici, oltre 7000 mq saranno demoliti e circa 3000 mq saranno invece oggetto di nuove costruzioni.
Molte di quelle pareti, oltre ad essere state rifugio per senzatetto, hanno ospitato negli anni decine di street artist: Ericailcane, Andrea Casciu, Zolta, Crisa, Tellas, Argonaut, Void, Rmogrl8120, Luogo comune, Dielis, Claudio Sale, Dissenso cognitivo, Sharko, Bibbito, Lo Sbieco, James Boy, Brome, Awer e molti altri.
È per questo che il Comune – si legge nella nota – ha previsto “il recupero conservativo degli affreschi presenti all’interno dell’area e delle più recenti opere di street art, per mantenere la memoria artistica del bene anche nelle sue più moderne evoluzioni. Il bando prevede una valutazione del recupero e lo spostamento dei murales in un nuovo spazio museale nell’area“.
La questione è delicata per vari motivi: non tutti gli/le street artist amano, infatti, finire nei musei; gli “strappi” delle opere dalle pareti sono percepiti come un’appropriazione indebita e/o un atto contro la natura stessa della street art; e, soprattutto, l’ultima volta che in città qualcuno ha provato a spostare un murales dalla strada al museo è successo il finimondo. Ci riferiamo, ovviamente, alla mostra Street Art – Banksy& Co. L’arte allo stato urbano del 2016 che provocò la famosa cancellazione di tutte le opere di Blu. Anche in quel caso l’obiettivo dichiarato di Genus Bononiae che promuoveva la mostra era “salvarle dalla demolizione e preservarle dall’ingiuria del tempo”.
C’è poi una questione più complessa e riguarda l‘ipocrisia di chi vuole “valorizzare” la street art dichiarando contemporaneamente guerra sia al “vandalismo grafico” sia ai luoghi occupati che sono la culla di certe espressioni artistiche; STAVECO stessa è stata terreno di occupazioni “abusive” – sebbene non in forma di centro sociale – e chi è intervenuto sulle sue mura l’ha fatto contro una legge che prevede talvolta fino a 3 mesi di reclusione e fino a 3mila euro di multa (10mila per le recidive).
Sarebbe, allora, meglio abbattere le opere presenti alla STAVECO? Probabilmente sì.
Ad ogni modo, da poco è nata una commissione comunale composta da esperti ed esperte che avranno proprio il compito di decidere su progetti e opere d’arte nello spazio pubblico. Vedremo quanta voce avranno in capitolo e cosa ne pensano anche di quest’idea, sperando di uscire finalmente dalla dannosa retorica della street art buona contro quella cattiva.