Poche cose mi hanno folgorato da adolescente come gli Arctic Monkeys. A pensarci bene, più che l’irruenza di uno sbarbatello Alex Turner in I Bet You Look Good On The Dancefloor, la prima immagine che mi torna alla mente pensando alla band di Sheffield è il ragazzo col parka che suona la batteria nel video di The View From The Afternoon: l’emblema di un’estetica brit che in quegli anni aveva sulla mia generazione un effetto simile a quello che ebbero i fratelli Gallagher solo un decennio prima. Senza cedere alla nostalgia di un indie che fu, è palese che di quel periodo gli Arctic Monkeys siano l’unica band invecchiata bene e ancora con tanto da dare. Superata l’infatuazione con Josh Homme, il gruppo era tornato alla grande cinque anni fa con AM, probabilmente il loro disco migliore insieme al fulminante debutto del 2006. Abituati alle folle open-air dello scorso tour, sarà strano rivederli ora alla Cavea dell’Auditorium – con platea senza posti a sedere! – per i due show di presentazione del nuovo Tranquility Base Hotel & Casino. Si torna eccezionalmente alla misura d’uomo, sperando che ciò non corrisponda al ritorno della band tra i comuni mortali. In questa epoca di proclami anti-chitarre, gli Arctic Monkeys sono il nostro ultimo baluardo di speranza.
Scritto da Livio Ghilardi