Pochi libri sono noiosi, prevedibili e accademici come quei testi di storia della musica rock e dintorni con le stanche classifiche in cui cima trovi sempre i Beatles. Scriviamo un libro nuovo che racconti la storia dei grandi inventori di ritmi meccanici. Di quei folli visionari che hanno conferito al nostro orecchio il piacere di scoprire nuovi spazi in cui fluttuare e contorcersi, la lascivia di sensazioni nuove di fronte alle quali sentirsi nudi, eccitati e spaesati. Al capitolo 1 ci mettiamo i quattro di Düsseldorf, ovvio, i primi a concepire il ritmo non come accompagnamento, ma come spazio fondante “da riempire” con qualsivoglia sinfonia. Il secondo capitolo, però, riguarda Giorgio Moroder. Gli dobbiamo l’atto quasi evangelico di aver preso quel battito aristocratico, intellettuale, divino e portarlo in terra, offrirlo al mondo come un grande banchetto a cui tutti potessero attingere, santi e peccatori, da Frankie Knuckles, ai Daft Punk agli Eiffel 65. Quella epifania è I Feel love, atto fondativo di una nuova religione di “music for the masses” divenuta paradigma. La cosa affascinante di questa storia è che davvero quel vortice erotico, naïf eppure scaltrissimo, di macchine e synth, di voci e idee è ancora in nuce, più o meno consapevolmente, a ogni essere umano che tenti di far ballare l’umanità stando ai comandi di una console. Roviniamoci allora: in quanto profeta del verbo della disco music nel mondo, fenomeno da cui passa l’intrattenimento di almeno quattro elle ultime generazioni, Giorgio Moroder è davvero uno degli uomini più importanti della storia della cultura di massa dell’ultimo secolo. Alle 22:15, poi, qualcosa di completamente diverso: il rapper più hype del momento, Ghali, e una delle pop star più amate dagli italiani, Elisa, si alterneranno sullo stesso palco. Le prenotazioni per entrare (rigorosamente ormai sold out) erano distinte, e chi ha voluto assistere al set del Maestro avrà modo di fuggire per tempo per non rovinarsi il ricordo della serata.
Scritto da Angelo Manganello