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TERRAFORMA: la colonna sonora di L.U.C.A.

Per arrivare preparati alla tre giorni di musica e sostenibilità ambientale nel parco di Villa Arconati, una playlist a cura di Francesco De Bellis aka L.U.C.A. - in line up sabato 24 - che racconta il rapporto tra uomo e natura.

Scritto da Chiara Colli il 15 giugno 2017
Aggiornato il 26 giugno 2017

Foto di C. Rainbow

Di tutto il (notevole) cartellone della terza edizione di Terraforma – che, per inciso, include tra gli altri Suzanne Ciani, GAS, Laraaji, Mala e Arpanet – il progetto L.U.C.A. e l’orizzonte che fa da sfondo al suo bellissimo album dello scorso anno I semi del futuro sembra quello più immediatamente affine con la “ragione sociale” del festival che dal 23 al 25 giugno tornerà con palchi e campeggio sostenibili nel parco di Villa Arconati. La coesistenza di uomo e natura in una stessa dimensione, che nel tempo si trasforma e trova un equilibrio, quella che potremmo definire la “terraformazione” spontanea di un ambiente, è lo snodo della questione: l’occasione è perfetta per chiedere a Francesco De Bellis – il produttore romano dietro al progetto L.U.C.A., noto ai frequentatori del dancefloor come Francisco – una selezione di dieci brani che raccontino del rapporto tra uomo e natura. Un fil rouge che parte dall’aspirazione naturalistica e quasi documentaristica della sua etichetta Edizioni Mondo e giunge al percorso sulla creazione de I semi del futuro attraverso un’attitudine quasi hippie e una passione per colonne sonore e musica per sonorizzazioni che arriva da lontano .

A Terraforma, Francesco De Bellis sarà ai piatti per un lungo set al sabato pomeriggio dove mescolerà «da pezzi italiani di Radius a effetti sonori, colonne sonore e library music ma pure qualcosa di hippie in senso ampio – un concetto che è alla base di tutto ciò che ho pubblicato come L.U.C.A. – e che magari possa includere anche soul classico anni 70, e poi parti elettroniche, passaggi più ritmati e altri più d’ascolto e d’atmosfera». A luglio uscirà un suo nuovo 10″ per l’etichetta napoletana Really Swing e dopo l’estate un nuovo album su Edizioni Mondo per gli Odeon. Nell’attesa, preparatevi alla tre giorni immersiva nel parco di Villa Arconati con la sua colonna sonora.

terraforma

 

ARMANDO TROVAJOLI – Angola Adeus (1968)
Oltre a essere un grandissimo fan del film in cui è contenuto questo brano, Riusciranno I Nostri Eroi A Ritrovare L’Amico Misteriosamente Scomparso In Africa?, credo che la musica sia perfetta per rappresentare il discorso del rapporto tra uomo e natura. Protagonista della commedia è Oreste Sabatini/Nino Manfredi, che durante un viaggio in Angola scompare e resta a vivere lì: essendo stato più volte in Africa e vivendo ogni volta il mal d’Africa è proprio come se lo riconoscessi, se lo sentissi molto presente sia nella storia sia nella musica. Nella colonna sonora ci sono delle parti di percussione che riportano inevitabilmente al tema africano e c’è un’atmosfera molto intensa, che riesce a raccontare bene il senso del Mal D’Africa… Si percepisce proprio questo calore che c’è tra l’uomo e la Terra e quindi era giusto iniziare con questo brano.

 

GUIDO & ALBERTO DE ANGELIS – Il cacciatore di squali (1979)
Un pezzo di cui mi sono innamorato appena l’ho sentito, ma non per via del film, che vidi in passato sulle reti private e che neanche mi colpì particolarmente. Gli autori sono Guido e Maurizio De Angelis, al centro della storia c’è il rapporto con il mare legato ai cacciatori di squali – c’è questo confronto tra Franco Nero, che è il protagonista, con gli squali e il mare: ci sento proprio questa atmosfera anni 70 legata al mare e poi lo squalo rappresenta completamente la visione del mare come ce l’ho avuta io, che sono cresciuto in quegli anni, intorno al ’75. Guido e Maurizio De Angelis sono in realtà gli Oliver Onions, il gruppo che faceva le colonne sonore di tutti i film di Bud Spencer e Terence Hill e hanno anche una carriera a loro nome: sono stati autori di tantissime colonne sonore, e come Trovajoli hanno lavorato nel cinema soprattutto negli anni 70. Hanno questo suono che come stile è un po’ americano, legato al country, ma in realtà con arrangiamenti molto italiani e, allo stesso tempo, usano tante percussioni, che in quanto strumenti primordiali a mio avviso richiamano sempre l’elemento naturale.

 

STELVIO CIPRIANI – Summer And Winter (1977)
Rimaniamo sempre in tema acquatico. In breve, Tentacoli era il tentativo italiano di rifare un film in stile Squalo, stare appresso a quel tipo di successo lì, ma invece dello squalo che stava in America in Italia avevamo la “piovra gigante”. Fin da piccolo mi piaceva tantissimo la colonna sonora di questo film, che sapevo a memoria perché lo davano in continuazione su Odeon – guardavo molta televisione, sono cresciuto da solo, in camera, vedendo di tutto… Film, documentari, telefilm: la maggior parte delle mie influenze arrivano dalla tv e a rimanermi impressa era soprattutto la musica, attraverso i temi musicali riconoscevo tutto ciò che guardavo. Anche in Tentacoli c’è sempre lo stesso discorso del mare e la musica di Stelvio Cipriani racconta l’acqua anche a livello di suoni, non solo in questo brano ma in tutto l’album. C’è proprio il suono del Moog che è presente in tutta la colonna sonora, che dà questo suono acquatico ed è un altro di quei pezzi che sento molto legato alla natura e in questo caso al mare.

 

L.U.C.A. – In the Sun (2016)
Tutto I semi del futuro racconta questo percorso dal principio, dalla nascita della vita sulla Terra e del rapporto che nel tempo la vita ha nei confronti della natura, dallo spazio che l’uomo deve percorrere e occupare al rapporto con gli animali e l’ambiente in generale. C’è poi un discorso più ampio relativo alla crescita e alla violenza della natura, che per crearsi e continuare a evolversi deve distruggere qualcos’altro. La scelta specifica di In the Sun è legata a un rapporto con la natura che ho vissuto personalmente, insieme a un amico – Carlo Alberto Dall’Amico (aka Cècile) degli Esperanza – con cui ho lavorato a quattro mani su questo pezzo. Eravamo a Sabaudia per fare un brano sul sole e, prima di iniziarlo, ci siamo fatti dieci giorni consecutivi di mare e di tramonti per entrare realmente nella giusta atmosfera. Dovevamo diventare un tutt’uno con quegli elementi, quindi per quel tempo non abbiamo toccato uno strumento – che poi era una scusa per farsi una vacanza, ma stavamo anche studiando e c’è stato effettivamente un rapporto diretto alla composizione. Non so se hai presente la spiaggia libera di Sabaudia, che dà ancora proprio quell’idea di selvaggio: in questo pezzo sento molto il legame tra noi, la terra, il sole e la spiaggia.

 

STELVIO CIPRIANI – Papaya Island (1976)
Altro brano di Cipriani, decisamente sensuale. Anche qui, influenzato dalla visione del film, non posso fare a meno di ritrovarmi immediatamente circondato da palme, sdraiato su una spiaggia caraibica. Basso Phaser, percussioni, sospiri, archi e pianoforte: il suono tipico della colonna sonora “erotica” all’italiana, con un pizzico di tocco hippie!

 

ROCKIT – Amblin’ (1968)
Questo è un pezzo americano ed è la colonna sonora del primo cortometraggio di Steven Spielberg – scoperta che in realtà ho fatto solo un po’ di anni fa. Si tratta di un corto super hippie, molto bello, che parla di due ragazzi che si incontrano, camminano e fanno autostop sulle strade americane, sotto il sole cocente delle highway che attraversano il deserto. Non so se dopo molti hanno copiato da lui il tipo di regia, perché ci sono già tutti i cliché degli anni ’70: l’atmosfera, l’America on the road, il deserto, questa natura imponente dentro cui i protagonisti sono completamente immersi… La musica ha un suono quasi antico, ovviamente alle nostre orecchie essendo dei Settanta suona vintage, ma senti proprio che c’è un suono malinconico d’altri tempi, che rende molto l’idea del mito americano on the road, che mi avvicina al rapporto dell’uomo a stretto contatto con la natura. Anche qui c’è il discorso delle percussioni, una voce molto dolce che canta il tema di Amblin’ e che dà proprio l’idea del tramonto nel deserto americano e di queste strade costruite in mezzo alla natura, l’idea del viaggio ma senza meta, tanto per spostarsi da una parte all’altra.

 

BRIAN BENNET – Earthborn (1982)
Qui passiamo alla library music, Bennet è un autore francese che ha fatto diverse produzioni in questo ambito. In Francia alcune musiche per sonorizzazioni non erano affatto male, soprattutto le sue cose e quelle di Claude Larson, entrambi vicini a una library più elettronica: sull’orchestrale in Francia non avevano guizzi particolarmente assurdi come in Italia – o almeno ne avevano di meno – mentre in ambito elettronico c’è più materiale. Di questo disco, all’inizio, mi ha incuriosito molto la copertina, che poi ricorda anche quella de I semi del futuro. Del resto, tra fine 70 e inizio 80 gabbiani e uccelli facevano parte di uno stile che andava molto forte ed era anche molto richiesto… Io stesso a casa posseggo veramente tanti dischi di quel periodo con i gabbiani in copertina, sia per il concetto di libertà che rappresentavano, sia perché le library dovevano essere legate alla natura, quindi dove li infilavi stavano bene e i grafici avevano anche il lavoro semplificato. Il brano di Bennet è super sospeso e mi fa subito pensare a questo mondo – evocato fin dalla copertina – dei boschi, degli alberi, della natura. Queste sonorizzazioni erano realizzate dai musicisti sperando che venissero utilizzate in documentari o telefilm, ma non erano su commissione per qualcosa di specifico, si trattava di musiche generiche pensate per essere vendute alla televisione in base alle eventuali necessità. Gli autori sceglievano un tema – un disco sull’acqua, l’inverno, la psicologia, i lavori in fabbrica… – argomenti che se usati anche come titoli potevano già dare potenzialmente delle indicazioni per chi aveva bisogno di musiche per accompagnare le immagini.

 

THE MILLENIUM – To Claudia On Thrusday (1968)
Disco scoperto tramite degli amici che me lo avevano fatto ascoltare in macchina per tutta un’estate, peraltro in cassetta e con nastro anche un po’ rovinato, il che rendeva il suono ancora più antico. Si tratta di un gruppo californiano anni 60, ci sono alcune tracce fra beat e rock americano di quel periodo, ma in realtà l’album ha parecchi suoni esotici e percussivi. In particolare in questo pezzo c’è la cuica, un membranofono brasiliano, una specie di bonghetto che però nella parte inferiore è aperto, ha un bastone all’interno e per suonarlo non devi percuotere ma semplicemente premere la pelle e sotto con un panno bagnato scuotere su e giù questa specie di legno. Il risultato è un suono molto particolare, che dava sempre questa idea di atmosfera esotica… Un pezzo anni 70 con percussioni di questo tipo, la copertina con uccelli, una sorta di rock tropicale con chitarre distorte che poteva essere intesa come psichedelia, anche se poi non è un disco effettivamente collocabile in questo genere.

 

AUGUSTO MARTELLI – Ma ne vale la pena (1973)
Questo pezzo è pazzesco e tutto il disco è molto bello, mi dà l’idea di quelli che erano i Mondo Movie e c’è anche un brano che si chiama Mondo… NO!, ha quell’atmosfera da documentario cinico e pessimista/positivo. Il pezzo parla della vita, della morte, dell’inutilità delle cose ma che poi hanno sempre tutte un senso, quindi alla fine rappresenta un tipo di discorso legato all’evoluzione della vita che c’è anche nel mio disco, seppur in maniera diversa. Anche con questo album di Martelli mi sono ispirato per una delle tracce de I semi del futuro, Nuovo Ordine… Equilibrio, per le percussioni e soprattutto per il suono e l’atmosfera. Tutto questo disco rappresenta molto il discorso che stiamo facendo sul rapporto anche costruttivo/distruttivo tra uomo e natura. Il brano è parlato più che cantato ed è questa voce fuori campo che riporta un po’ alle atmosfere dei Mondo Movie.

 

ALBERTO RADIUS – California Bill (1979)
Chiudiamo di nuovo con il discorso sul mare, in fondo siamo in estate! Questo è un pezzo che ho scoperto non tantissimo tempo fa, ma sono impazzito completamente per la produzione, del resto faccio tantissimo riferimento alle produzioni dei dischi italiani dal ’75 all’82 e spero di essere un po’ arrivato a quel tipo di suono. Erano produzioni particolari sia per le modalità di registrazione sia per la strumentazione usata, sempre abbastanza ampia, da strumenti classici a sintetizzatori e piani elettrici. Tutto veniva registrato con effettistica allora molto moderna e alla fine pure se si faceva qualcosa di pop il suono era sempre un po’ strano, i musicisti che allora giravano tanto nella musica leggera quanto nelle colonne sonore o nella library erano spesso gli stessi: molti venivano dal jazz, al jazz c’erano arrivati per stravolgere tutto quello che era classico, quindi a fine 70 l’idea era comunque di stravolgere le cose, compreso il pop, con arrangiamenti particolari, effettistica tipo eco a nastri. In quegli anni non c’era molta differenza tra ciò che doveva essere commerciale e le cose più underground, erano mondi che si incrociavano e potevi trovare cose sconosciute con lo stesso suono di altre più popolari. Dopo, poi, la differenza tra gli ambiti è diventata netta ed evidente. Questo brano rappresenta quel tipo di italianità di metà Settanta, la cosa che mi dà fortissimo il senso del mare è lui che parla di quest’onda blu e fa proprio il verso dell’onda quando stai sott’acqua, lo fa cantando e sento proprio il movimento come stessi nel mare. Radius ha prodotto tantissimi cantautori pop italiani, dalla Bertè a Battiato, era uno dei più grossi di quel periodo, ma poi alla fine erano sempre gli stessi con gli stessi musicisti, alla batteria trovavi sempre Tullio De Piscopo, lo stesso Radius era bassista ma faceva anche il produttore. E si trattava di musicisti tutti con un gusto simile ma particolare, che venivano prima dal jazz, poi dal fusion, poi dalle cose sperimentali. Perché diciamoci la verità: in quegli anni se non eri sperimentale non eri nessuno.
https://www.youtube.com/watch?v=UpVx6kT__XQ